Informazioni inutili e carichi burocratici per le aziende
Il D.lgs. n. 104/2022 (c.d. Decreto Trasparenza), pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 29 luglio, si è posto l’obiettivo di rendere più trasparente e prevedibile l’occupazione
di Gabriele Fava
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Il D.lgs. n. 104/2022 (c.d. Decreto Trasparenza), pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 29 luglio, si è posto l’obiettivo di rendere più trasparente e prevedibile l’occupazione, imponendo ai datori di lavoro ulteriori oneri informativi verso i dipendenti.
Nello specifico, le aziende saranno obbligate a fornire ai lavoratori assunti dopo il 13 agosto 2022 una serie tassativa d’informazioni entro 7 giorni dall’instaurazione del rapporto; mentre, nel caso di rapporti antecedenti a tale data, le aziende avranno 60 giorni dall’eventuale richiesta dei lavoratori per fornire le medesime informazioni. Inoltre, il mancato assolvimento di tali obblighi informativi comporterà una sanzione amministrativa pecuniaria che oscilla da 250 a 1.500 euro per ogni lavoratore interessato.
Tale intervento normativo, tuttavia, più che tutelare i lavoratori, danneggia le imprese, imponendo loro l’ennesimo adempimento burocratico che, de facto, non migliora la situazione lavorativa dei dipendenti ma aggiunge soltanto nuovi incombenti in capo alle aziende.
Infatti, il Decreto Trasparenza, nel recepire la direttiva UE 2019/1152, non sono sbaglia i tempi - pretendendo che nel bel mezzo di agosto i datori di lavoro aggiungano un ulteriore trafila burocratica per procedere a nuove assunzioni -, ma erra nell’intero approccio di recezione della direttiva comunitaria. Questo perché, mentre l’impostazione del legislatore europeo presenta il meritevole intento di voler rendere più trasparente e prevedibile l’occupazione, la corrispondente positivizzazione italiana muove, più che da una necessità di trasparenza, da un presupposto di colpevolezza dei datori di lavoro.
Si crea, così, un’inutile esigenza di tutela dei dipendenti (i quali, peraltro, possono ritrovare le medesime informazioni all’interno della maggior parte dei contratti di lavoro o nella contrattazione collettiva) con la conseguente colpevolizzazione della figura datoriale la quale, in questo caso, viene ritenuta la parte contrattuale da monitorgare attraverso burocrazia e sanzioni sproporzionate.
Pur nel lodevole tentativo di voler rendere edotti i lavoratori circa le informazioni necessarie per lo svolgimento dell’attività lavorativa, tale intervento non ha colto nel segno: obbligando i datori di lavoro a fornire un’informativa inutile o, molto spesso, già nota ai dipendenti.
Si considerino, ad esempio, gli adempimenti informativi in relazione all’obbligo di indicare la durata del congedo per ferie o degli altri congedi retribuiti, nonché la durata dell’eventuale periodo di prova; o, ancora, le informazioni inerenti alla forma e ai termini del preavviso. Tutti questi dati, infatti, sono già presenti nella contrattazione collettiva e il fatto che i datori di lavoro li debbano nuovamente indicare, contestualmente all’assunzione, costituisce un inutile adempimento, che si tramuta in una perdita di tempo e risorse per le imprese. Anche l’obbligatorietà di talaltre informazioni risulta di per sé superflua: infatti, l’entità della retribuzione e le caratteristiche o la descrizione sommaria del lavoro - in quanto oggetto del contratto - sono elementi essenziali dell’accordo che vengono sempre indicati in fase di assunzione. Pure in questo caso, allora, diventa inutile prevedere l’obbligo di fornire tali informazioni.
Una siffatta impostazione, ossia dover fornire ai lavoratori informazioni già presenti in larga misura nei CCNL applicati, potrebbe portare le imprese alla mera allegazione del contratto collettivo in essere al momento della sottoscrizione del contratto di lavoro. In tale modo, i lavoratori non riceverebbero informazioni aggiuntive rispetto a quelle già in loro possesso e le aziende sarebbero gravate soltanto di un inutile e ulteriore formalismo burocratico.
In un’ottica di rilancio delle imprese e crescita economica del Paese, allora, è lecito domandarsi se tale decreto sia davvero necessario, in quanto i datori di lavoro non vanno ostacolati con inutili interventi normativi, ma devono essere agevolati attraverso una consistente riduzione degli oneri burocratici.
Si auspica, quindi, che il prossimo Governo possa modificare il Decreto Trasparenza, dando ai datori di lavoro la possibilità di rinviare alla contrattazione collettiva. Circostanza, peraltro, prevista all’interno della normativa europea e che, indubbiamente, agevolerebbe le aziende sgravandole dagli oneri previsti dall’attuale decreto legislativo. Chiudo ricordando che gli Stati membri, nel recepire la legislazione comunitaria, debbano adeguarsi agli standard europei laddove, internamente, siano in difetto in relazione alle indicazioni delle direttive stesse. Tuttavia, nel caso di specie, non v’è alcun dubbio che il nostro Stato sia già in linea con gli obiettivi individuati dal legislatore europeo e non abbia bisogno di inutili appesantimenti burocratici.
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