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Infrastrutture punto critico. Il conto: 100 morti in 6 anni

Sono una minoranza rispetto alle 300 vite all’anno che si stima siano state salvate col Tutor. Ma non vanno trascurate

di Maurizio Caprino

Per i Tutor riattivazione graduale su 1.000 Km

3' di lettura

I commenti delle fonti ufficiali la considerano un’eccezione. Ma, negli ultimi sei anni, in autostrada almeno 102 persone sono morte non per errore umano o difetto del veicolo, ma per l’infrastruttura. Certo, sono una minoranza rispetto alle 300 vite all’anno che si stima siano state salvate col Tutor. Ma non vanno trascurate: ormai sulle autostrade a pedaggio le vittime non superano di molto le 200 l’anno (record positivo nel 2016: 198) e anche considerando quelle gratuite si arriva su quota 300. In ogni caso, qualcosa si è fatto anche per migliorare le infrastrutture.

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Fatti e numeri

Alla cifra di 102 morti si arriva sommando i quattro incidenti che, se le autostrade fossero tenute come l’utente pagante si aspetta, non si sarebbero verificati o non sarebbero stati mortali. E altri episodi si sono persi tra le cronache “minori”.

Non ci sarebbe stato il crollo del Ponte Morandi (14 agosto 2018), che ha fatto 43 vittime ricordate dall’Istat come un’”anomalia” nella presentazione dei dati di incidentalità 2018. E neanche il crollo del cavalcavia dell’A14 a Camerano (Ancona), che il 9 marzo 2017 ha ucciso due coniugi; giovedì scorso il pm ha chiesto il rinvio a giudizio di 22 persone, tra Autostrade per l’Italia (Aspi), le sue collegate Spea e Pavimental cui aveva affidato i lavori che erano in corso e la subappaltatrice Delabech.

Stando alla sentenza di primo grado, un incidente causato da rottura del veicolo non avrebbe avuto esito mortale: è la caduta di un bus dal viadotto Acqualonga dell’A16 presso Avellino il 28 luglio 2013, costata la vita a 40 persone.

Nel caso del bus ungherese schiantatosi contro il pilone di un cavalcavia dell’A4 Brescia-Padova, con 17 morti il 20 gennaio 2017 per presunto colpo di sonno dell’autista, è in corso il processo di primo grado che coinvolge anche il gestore: il pilone, dopo l’ampliamento a tre corsie, era contiguo all’asfalto e protetto da un guard-rail parso subito inadeguato.

Gli interventi

Un altro gestore (Aspi) in alcune situazioni analoghe ha adottato protezioni con muretti in grado di deviare in modo non troppo violento i mezzi prima dell’impatto con i piloni. Questo è uno degli interventi portati a termine dai gestori negli ultimi 15 anni, gli stessi in cui la mortalità autostradale è scesa (risultato cui ha contribuito anche il diffondersi di airbag, abs e altre dotazioni di sicurezza dei veicoli).

Per esempio, Aspi (che gestisce 3.000 km, metà della rete a pedaggio) ha realizzato oltre 2.500 interventi sui Pism (punti con incidentalità superiore alla media): segnaletica più “forte”, asfalto a maggior aderenza su 80 km e con bande rumorose su 570 km e oltre 30 svincoli, box autovelox e altro. Risultati: -78% di sinistri, tanto che i Pism si sono ridotti da 477 a 113 (soprattutto per microtamponamenti in ore di punta).

L’asfalto drenante, poi, dal 2008 (anno fino al quale l’indice di qualità dell’asfalto era nella formula di calcolo dei rincari dei pedaggi) è sull’83% della rete Aspi. Cioè sulla totalità delle tratte dove il gestore reputa possibile impiegarlo.

Ma tra gli interventi c’era anche l’Overload Tutor, con sensori annegati nell’asfalto per indicare alle pattuglie i camion in sovraccarico. Sembra però un’iniziativa sul binario morto: si ha notizia di appena cinque postazioni, di cui almeno una fuori servizio (da febbraio 2017).

Lo stesso Tutor non è stato sviluppato come la tecnologia consentirebbe per segnalare in tempo reale situazioni pericolose come veicoli contromano o con velocità molto superiori ai limiti.

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