presentata nel 1960

Innocenti Spider, nonostante i problemi «alla nascita» oggi è un buon acquisto

La rarità degli esemplari disponibili, il tipico design Anni 60 e una meccanica robusta e di facile manutenzione sono i punti di forza

di Vittorio Falzoni Gallerani

3' di lettura

Al Salone di Torino 1960 l’ Innocenti, dopo svariate centinaia di migliaia di Lambrette costruite e vendute, fa il suo ingresso nel mondo dell’automobile; lo fa con quello che per i primi anni sarà il suo cavallo di battaglia: la versione adattata ai gusti italici della Austin A40. Probabilmente per dimostrare la propria capacità creativa, del tutto conculcata nella definizione della berline dalla necessità di usare i pezzi d’origine, l’Innocenti decide di affiancarle subito una deliziosa spiderina da loro concepita.

Chiamata banalmente 950 Spider è la versione italiana della Austin Healey Sprite e presenta una linea del tutto esclusiva firmata da Tom Tjaarda durante la sua permanenza preso la Ghia; molto piacevole, si ispira nella parte posteriore in maniera abbastanza evidente alle Fiat 1200/1500 Spider plagiandole addirittura nella disposizione dei profili cromati sulle fiancate e sulla coda; molto più originale il frontale che con il suo smagliante sorriso ed i suoi fanalini a virgola pareggia in simpatia con il musetto a rana della inglesina da cui deriva.

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Molto piccola e con soli due metri di passo, non poteva essere oggettivamente molto spaziosa e la situazione era peggiorata sensibilmente dall’adozione dell’assurdo volantone di plastica nera della Austin Healey; peccato perché l’abitacolo, pur non molto ben rifinito, aveva più di una freccia al suo arco: in primo luogo una strumentazione di primo ordine con contagiri e manometro olio oltre ai soliti indicatori della temperatura acqua e del carburante nel serbatoio, un posto guida ben allineato con sottomano la corta e ben manovrabile leva del cambio e, infine, un capiente gavone posteriore porta oggetti quando la capote è alzata.

Messo in moto il piccolo quattro cilindri dalla sonorità sportiva e mossi i primi passi sull’onda della sua relativamente buona coppia motrice, al pilota rischiano di cadere le braccia appena ritenga di esplorare la parte bassa dell’acceleratore: con 43 CV in tutto a disposizione e la nota ritrosia di questo BMC tipo A ad accumulare giri nonostante l’alimentazione a due carburatori, l’auto infatti si pianta prima di raggiungere velocità accettabili in qualsiasi marcia.

I 135 km/h promessi non si vedono neanche con il cannocchiale e agli automobilisti italiani non può bastare la indubbia maneggevolezza dell’auto e l’esposizione agli elementi climatici anche con il mantice alzato per sentirsi sportivi come accade ai loro colleghi britannici; e, parimenti, non si consolano con consumi veramente limitati: si sta spesso attorno ai 14 km/litro.

Già nel 1961 tre cavalli aggiuntivi vengono trovati attraverso una più accurata messa a punto del motore, ma per avvicinarsi alla soluzione del problema occorre attendere il 1963 con l’adozione della versione da 1,1 litri del motore: i cavalli diventano 58, o almeno così viene dichiarato; noi non ci crediamo poiché sarebbero gli stessi della prima versione della Autobianchi A112 Abarth un poco più pesante e dalla sezione frontale certamente più ampia.

Non si spiega quindi come mai la Spider S, come è stata ribattezzata, nella prova di Quattroruote ancora non raggiunga i 140 km/h e nello 0-100 impieghi circa sette secondi in più; in ogni caso però, in uniformità con quanto nel frattempo acquisito dalle sorelle inglesi (nel frattempo si era aggiunta la MG Midget), si era provveduto a montare i freni anteriori a disco ed il caratteristico specchietto laterale cromato di forma rettangolare e con un lungo gambo era ora montato di serie.

All’interno un’altra stranezza, per usare un eufemismo: si adotta il volante, sempre troppo grande e con anello lucido del clacson, una vera sciocchezza su di un’auto scoperta, della A40 S. Allora, quasi tutto è da buttare su questa automobilina? Assolutamente no. Qualora non siate particolarmente ingombranti fisicamente, essa, soprattutto nella seconda serie da 1,1 litri, consente di divertirsi guidando (in particolare se avrete l’accortezza di montare un bel volantino after market di diametro ridotto) e di acquisire un pezzo di design italiano poco conosciuto ed ancor meno diffuso, allestito su di una meccanica magari poco entusiasmante ma molto robusta e di facile mantenimento.

Pochi ma tutti belli i colori disponibili: bianco, giallo ocra e rosso con interni neri, blu con interni avorio e grigio grafite con interni rossi; oggi trovandone una in ottimo stato non è il caso quindi di impuntarsi su uno piuttosto che un altro perché la macchina, venduta in un numero di esemplari sconosciuto ma comunque basso, è diventata rarissima.

Piuttosto fare attenzione alla presenza di tutti i particolari caratteristici di finitura che potrebbero rivelarsi introvabili; la meccanica invece, come detto, ha equipaggiato milioni di auto inglesi per cui tutto è reperibile ed anche a prezzi bassi. Come quello di acquisto che è meglio non ecceda i dieci/dodicimila Euro con prospettive interessanti di investimento: la rarità, alla fine, paga sempre.

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