Innovazione sociale in vista di una futura Società 5.0
Nel dibattito pubblico, quando si affronta il tema di Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il focus è soprattutto sugli investimenti, sulle aperture dei cantieri e sulle scadenze. Si parla meno della trasformazione in atto e delle sue conseguenze.
di Gabriele Arcidiacono
3' di lettura
Nel dibattito pubblico, quando si affronta il tema di Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il focus è soprattutto sugli investimenti, sulle aperture dei cantieri e sulle scadenze. Si parla meno della trasformazione in atto e delle sue conseguenze.
L’auspicio è che il Pnrr possa davvero contribuire a cambiare il nostro Paese e a migliorare molti dei suoi processi. Tuttavia, come in ogni percorso di innovazione tecnologica, il pericolo è quello di una trasformazione che porti l’uomo a essere governato dalle tecnologie, piuttosto che a governarle. Il processo di digitalizzazione implica profondi cambiamenti nella società e nel mondo del lavoro. È importante che queste trasformazioni siano adeguatamente gestite, in modo da evitare effetti negativi come l’allargarsi del digital divide.
Oggi la disponibilità delle tecnologie è molto diffusa, ma non altrettanto la cultura e le competenze per utilizzarle in modo corretto. Abbiamo vissuto un’anticipazione di questa problematica con l’adozione della didattica a distanza (Dad) e le difficoltà di insegnanti e studenti. Il percorso di innovazione e trasformazione digitale è meno agevole per un Paese come il nostro che ha una popolazione che invecchia rapidamente e avrà maggiori difficoltà nell’usare le nuove tecnologie digitali.
Anche in assenza di digital divide, un altro rischio è la generazione di quel fenomeno che sono solito chiamare human divide. Il tema è ben sintetizzato dall’economista francese Daniel Cohen nella definizione di Homo Numericus: un uomo sempre più attento e fiducioso nei dati, ma sempre più dipendente dalle tecnologie digitali ed emotivamente povero, oltre che isolato a causa della crescente complessità nel creare relazioni. Condizione che Cohen chiama «disumanizzazione delle relazioni sociali».
In qualsiasi percorso di innovazione digitale la trasformazione richiede un’adeguata crescita delle competenze. Non è sufficiente avere tecnologie abilitanti, se non sono accompagnate a una cultura abilitante per l’utilizzo delle stesse. A maggior ragione questo vale per un sistema complesso come quello di un intero Paese. Per creare una cultura abilitante il Wold Economic Forum suggerisce di investire su 10 competenze: analytical thinking and innovation; active learning; complex problem solving; critical thinking; creativity; leadership and social influence; technology use and monitoring; technology design; resilience; reasoning. Soltanto se saremo capaci di sviluppare questa cultura diffusa e queste competenze, l’accelerazione prodotta dal Pnrr creerà un valore sostenibile e sarà efficace e inclusiva. È fondamentale mettere la persona al centro motivandola con la formazione, l’approfondimento e la condivisione della conoscenza.
In questo senso, un approccio lungimirante è quello del Giappone, che dal 2016 ha posto come parte centrale della propria strategia nazionale il concetto di Society 5.0: una società moderna e “super intelligente” in grado di equilibrare la crescita economica, il progresso sociale e la protezione ambientale, utilizzando le tecnologie per creare nuove forme di valore, migliorare la qualità della vita e promuovere l’inclusione sociale.
In un contesto caratterizzato da social innovation i cittadini devono essere in grado di utilizzare la tecnologia per accedere a informazioni, servizi e opportunità che erano precedentemente fuori dalla loro portata. Allo stesso tempo, le imprese sono chiamate a utilizzare la tecnologia per creare nuovi prodotti e servizi e aumentare la produttività. Infine, al governo è richiesto di utilizzare la tecnologia per fornire servizi pubblici in modo più efficiente ed efficace, oltre che promuovere politiche più rispondenti alle nuove esigenze delle persone e delle industrie.
Quello che serve oggi è un Modello Italia 5.0 che, come evoluzione di Industry 4.0, sappia declinare il concetto di Society 5.0 nel nostro Paese. Un sistema capace di investire sia sulle persone che sui processi, per definire gli spazi e i contesti in cui inserire la tecnologia digitale come acceleratore dei risultati. La creazione di una Society 5.0 richiede la cooperazione tra governo, imprese, istituzioni finanziare, enti del terzo settore, fino ad arrivare ai singoli cittadini. Non può essere solo un’iniziativa del governo, ma una sinergia tra tutti gli attori del sistema.
Occorre una profonda collaborazione tra pubblico e privato, basata sulla condivisione di esperienze e best practices, partendo dalla ricerca di un linguaggio comune per sfruttare tutte le potenzialità e il valore che strumenti come il Pnrr potrebbero generare nella comunità.
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