Intelligenza artificiale e manutenzione predittiva, Hera sperimenta l’acquedotto 4.0
L’algoritmo capace di prevedere le rotture è in fase di test su 500 chilometri di acquedotto che servono i comuni riminesi di Santarcangelo di Romagna, Riccione e Cattolica
di Michele Romano
4' di lettura
Un algoritmo e materiali sempre più adatti: il Gruppo Hera, secondo operatore nazionale del servizio idrico integrato, si affida all’intelligenza artificiale e alla collaborazione tra gli inglesi di Rezatec, tra i leader mondiali nel campo data analytics, e gli esperti di Alma Mater, con la quale c’è un accordo quinquennale sul fronte dell’innovazione, per migliorare la propria azione di contrasto al problema delle perdite. Già oggi, a fronte di acquedotti italiani che perdono ogni giorno una media di 24 metri cubi di acqua per chilometro, il territorio emiliano-romagnolo servito da Hera limita le proprie perdite a 9,1 metri cubi. Da qui la scelta di affidarsi alle tecnologie più avanzate per ottenere ulteriori e significativi margini di efficientamento.
«Tutto è partito dallo studio e dall’analisi che l’università di Bologna ha condotto sui fattori che possono determinare la rottura di una condotta – spiega Franco Fogacci, direttore Acqua del Gruppo -: da quelli endogeni, come l’età, il materiale e il diametro della condotta, a quelli esogeni, quali temperatura, tipo di suolo, profondità della falda, radici presenti nel terreno e i suoi cedimenti». Mentre solitamente vengono presi in considerazione solo i fattori del primo tipo, Rezatec è stato il primo player del settore a voler progettare l’algoritmo elaborando anche quelli esogeni, attraverso un’attività di intelligence accurata e aggiornata che utilizza immagini satellitari e altri dati derivanti dall’osservazione terrestre.
Ne è così scaturito un algoritmo a pesi dinamici, con cui l’azienda dell’Oxfordshire – sulla base dei dati di Hera sulle rotture del 2016 e del 2017 - ha provato a indovinare dove si fossero verificate le perdite che la multiutility aveva già registrato nel 2018: il confronto tra le ipotesi e la realtà ha dato risultati confortanti, tanto che l’esperienza sulla carta è diventata lo scorso anno un’attività sul campo. L’obiettivo era quello di individuare i punti dove è più probabile che la rete si rompa per prevenire le rotture attraverso una manutenzione programmata.
L’algoritmo è stato sperimentato su 500 chilometri di acquedotto che servono i comuni riminesi di Santarcangelo di Romagna, Riccione e Cattolica, permettendo di individuare, in particolare, il 35% della rete santarcangiolese su cui si è verificato il 69% delle rotture: «Il risultato – osserva Fogacci -, fondamentale se si considera che per sostituire 100 metri di condotta occorrono almeno 15 giorni di lavoro, ha suggerito l’opportunità di rilanciare il progetto anche nel 2021, ampliando la quota di acquedotto interessato». La nuova sperimentazione interesserà di 2.800 chilometri di rete che attraversano non soltanto la provincia di Rimini ma anche quella di Forlì-Cesena. Mentre a nel quartier generale di Didcot, nell’hinterland di Londra, gli inglesi hanno lavorato sull’algoritmo e continueranno a farlo per renderlo sempre più adeguato all’obiettivo, gli ingegneri dell’ateneo di Bologna, tra il 2019 e il 2020, si sono occupati dei fattori che aumentano il rischio di rottura: uno studio che ha permesso alla multiutility, che con 9.000 addetti (1.200 nel solo comparto idrico) opera fra Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Marche, di aggiornare le linee guida sulla quale vengono scelti i materiali. Ghisa, polietilene, pvc, acciaio e cemento armato hanno performance diverse e oggi vengono utilizzati a seconda dei contesti d’impiego.
«Questo progetto pilota – chiosa Fogacci - si aggiunge a un articolato programma di ricerca attiva delle perdite, che integra metodologie di tipo tradizionale con tecnologie all’avanguardia, come l’uso dei satelliti e dei raggi cosmici». Nell’ultimo triennio, sono state individuate 2.700 perdite occulte, che una volta riparate hanno permesso di recuperare circa 7 milioni di metri cubi di risorsa idrica, senza contare gli oltre 100 milioni che il Gruppo investe annualmente nel comparto idrico, con 30 milioni destinati al rinnovo delle condotte. «Ulteriori 20 milioni all’anno – aggiunge il direttore Acqua di Hera -, da considerarsi costi e non investimenti, vanno a sostenere le attività di pronto intervento, molte delle quali dedicate proprio a perdite e rotture». Una sfida, quella del contenimento delle perdite, che ha come punti di forza anche la distrettualizzazione delle reti e una gestione adattiva della pressione dell’acqua erogata, capace di rispondere in maniera performante e sensibile alle variazioni della domanda di acqua. In questo contesto, sono attese ulteriori efficienze sul fronte della telelettura dei contatori, funzionale a un controllo dei consumi massimi e minimi in tempo reale delle diverse utenze, «indispensabile per regolare in modo intelligente la pressione dell’acqua erogata e per individuare tempestivamente le anomalie».
In casa Hera è in atto un secondo impiego dell’intelligenza artificiale, sempre nel settore idrico, e riguarda l’impianto di depurazione di Modena. Insieme ad Ammagamma (ex EnergyWay), realtà modenese specializzata nello sviluppo di soluzioni e modelli matematici per l’ottimizzazione e l’efficientamento dei processi industriali, è stato sviluppato un controllore per una delle vasche di ossidazione dell’impianto di depurazione, che utilizza logiche predittive di intelligenza artificiale per prevedere l’evoluzione degli inquinanti e regolarle preventivamente, consentendo così di ottimizzare i consumi di energia (-15%) e migliorare la qualità dell’acqua in uscita, abbattendo ulteriormente rispetto ai limiti di legge la concentrazione di sostanze che vi sono inevitabilmente presenti, come l’azoto (-8,1%).
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