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Interni pompeiani con vista sulla vita

Luigi Spina ha immortalato domus, terme e lupanari del parco archeologico restituendo la città nella sua quotidianità e nella sua voglia di bellezza

di Maria Luisa Colledani

La Casa dei Vettii (VI regio) apparteneva a due ricchi commercianti, A. Vettio Conviva e A. Vettio Restituto, ed è nota per le pitture di IV stile (Foto Luigi Spina)

4' di lettura

Camminare a passo lento e stupito fra le pagine sontuose di un libro, nel cuore dell’arte e della storia. Durante il periodo pandemico, il fotografo Luigi Spina ha trascorso settimane nel Parco Archeologico di Pompei e ha scattato 1.500 fotografie. Trecento di quegli scatti, quasi un fermo immagine della storia o pareti che paiono vibrare come tessuti nella brezza del mattino, sono diventati Interno pompeiano, volume prezioso e raffinato che supera il racconto archeologico e artistico per farsi quotidianità piena di voci eterne. Così ricercato che già in fase di traduzione, con il coinvolgimento di Getty Museum e Thames & Hudson per le edizioni in lingua inglese, di Elisabeth Sandmann Verlag per l’edizione in lingua tedesca e di La Fábrica per la pubblicazione in spagnolo.

Il progetto fotografico

Dopo gli interventi di messa in sicurezza, manutenzione e restauro eseguiti con il Grande Progetto Pompei, il Parco Archeologico ha commissionato il lavoro al fotografo originario di Santa Maria Capua Vetere (1966) che, con una fotocamera Hasselblad H6D-100c e senza l’ausilio di alcuna luce artificiale, ha attraversato le regiones della città romana: «Ora sono qui – scrive –. Questa è Pompei: uno squarcio temporale sulla vita di altri. Ascolto il ritmo di una città che, per quanto abbia smesso di esistere, nasconde ancora tracce di coloro che ci vissero, che pensarono, forse per un solo istante, ancorché prima dell’ultimo respiro, che nel bene e nel male era semplicemente il luogo dove nacquero e vissero. Un barlume nella mente che segna l’unica sicurezza che abbiamo. L’appartenenza».

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Le foto di Spina – così intime, iconiche, struggenti – ci fanno sentire parte della storia di Pompei: siamo davanti ai thermopolia, o meglio alle popinae, ad aspettare cibo e bevande; ci hanno invitato nella più ricca delle domus per condividere lusso e pietanze. C’è l’otium e il negotium, ci sono gli spazi pubblici e quelli privati. Dall’esterno, ogni casa può apparire come un parallelepipedo, con pochissime decorazioni e così le immagini dischiudono un mondo di sogno. Lo aveva già notato nel suo Viaggio in Italia Johann Wolfang Goethe: «Le case sono piccole e anguste, ma tutte contengono all’interno elegantissime pitture. […] Un posto mirabile, degno di sereni pensieri». Le immagini sono un faro acceso sul senso del bello, sull’orgoglio di presentare agli ospiti i fregi più moderni o i tratti artistici più eleganti. Ogni foto è un mondo: fontane, mosaici, affreschi, rivestimenti parietali, architetture fantastiche e miti a profusione, quasi un manuale di arte antica. Gli edifici fotografati nel volume appartengono a otto delle nove regiones del sito archeologico e sono accompagnate da schede molto puntuali curate da Domenico Esposito, archeologo e ricercatore dell’Istituto Archeologico Germanico di Berlino.

La tradizione fotografica di Pompei

Il lavoro di Spina si inserisce in una lunga tradizione fotografica della città, come ricorda Giuseppe Scarpati, responsabile dell’archivio fotografico: dalla metà dell’Ottocento le immagini andarono a sostituire le incisioni come illustrazioni degli opuscoli e dei libri sulla Pompei romana e fu a inizio Novecento, con la direzione di Antonio Sogliano, che venne aperto a Pompei un laboratorio fotografico, con fotografi che dall’Italia e dall’estero si misero al servizio delle esigenze di studiosi, antiquari e artisti, senza trascurare le richieste di un turismo ormai di massa. Altrettanto interessante è il saggio di Massimo Osanna, direttore generale dei Musei e già responsabile generale della Soprintendenza di Pompei, sulla storia del sito: «Pompei città romana per antonomasia, eppure non nasce come città romana ma è luogo dalla lunghissima storia che affonda le radici nel VII secolo a.C. e richiama alle origini della sua vicenda insediativa un altro grande popolo, gli Etruschi. Percorrendo le sue strade non si percepisce questo spessore temporale che ha segnato dinamicamente gli spazi urbani e tantomeno si capisce che queste strade spesso erano state già tracciate – con lo stesso andamento e nella stessa posizione – molti secoli prima del 79 d.C., l’anno della tragica eruzione che cancellò il centro urbano dalla faccia della Terra».

Nove regiones e 1.500 scatti

Lungo quelle strade, le immagini di Luigi Spina ci fanno varcare la soglia di tante case: oltre i secoli, è lo sguardo, sono certi punti di vista a portarci in un altro tempo, in un’altra dimensione. Quella dell’arte e, ancor di più quella del sogno, perché l’oggettività delle foto lascia spazio per immaginare le voci di queste stanze, gli incontri, gli sguardi di intesa. C’è la Casa della Venere in conchiglia e quella dei Vettii, quella del Meleagro, la Fullonica di Stephanus e le Terme del Sarno. C’è poi la domus delle Pareti Rosse (VIII regio) costruita poco prima dell’eruzione su un’area danneggiata dal terremoto del 62 d.C. Il proprietario aveva fatto costruire i muri con tecniche antisismiche, impiegando sistematicamente pilastri di rinforzo in opera mista e potendo così avere anche un piano superiore. È vero, i lavori procedevano in fretta ma l’eruzione arrivò improvvisa e gran parte degli ambienti sono privi della decorazione parietale, ad eccezione del larario, quasi un tempietto decorato dal Genio del capostipite della famiglia del proprietario, tra due Lari sacrificanti. Poi, sul lato ovest, appaiono gli unici due ambienti decorati dell’atrio: gli affreschi a fondo rosso mostrano delicate e filiformi architetture, ghirlande e candelabri vegetali, e piccoli quadri mitologici con temi erotici. Tutto è minimale, tutto è di una grazia senza tempo, come la copertina del volume, che viene proprio da queste pareti.

Infine, l’ultima tappa, alla Casa degli Amanti Felici (I regio). Ci accoglie una pavimentazione in lava, ravvivata da tessere bianche e nere, le pareti sono decorate in IV stile, con medaglioni dai paesaggi immaginari, ma tutto il senso è in un graffito conservato nel cortile interno: «Amantes, ut apes, vita(m) mellita(m) exigunt» (Gli amanti, come le api, conducono una vita dolce come il miele). Dolce quanto la pace di queste linee immortali e quanto la certezza che amiamo, sogniamo, soffriamo come duemila anni fa.

Luigi Spina

Interno pompeiano

Con testi di Gabriel Zuchtriegel, Massimo Osanna, Carlo
Rescigno, Giuseppe Scarpati

5 Continents Editions-Pompeii Parco Archeologico di Pompei, pagg. 480, € 150

Riproduzione riservata ©

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