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Interrogare la Rivoluzione. L'arte neo-dadaista di Pablo Echaurren

La mostra “La Révolution. R.S.V.P.” è alla Galeria Zé dos Bois di Lisbona

di Luca Siniscalco

3' di lettura

Sovvertire il mondo borghese, ribaltare la civiltà del capitalismo, inaugurare una coscienza libertaria e po(i)etica. “Trasvalutazione di tutti i valori”, à la Nietzsche. Questi i cardini della traccia metapolitica sottesa all'opera artistica di Pablo Echaurren, visionario italiano di origine cilena. Questa la premessa indispensabile alla sua esposizione lusitana “La Révolution. R.S.V.P.”, recentemente inaugurata presso la galleria Zé dos Bois di Lisbona.

Indiani Metropolitani

La mostra antologizza le opere realizzate dall'artista alla fine degli anni '70, all'epoca della sua partecipazione all'ondata di contro-cultura che travolse il mondo occidentale e in Italia si manifestò, fra gli altri, nel gruppo degli Indiani Metropolitani. Movimento politico giovanile radicalmente critico del Sistema occidentale, al suo interno germinavano i semi di una contestazione “altra” rispetto a quella del '68: la questione economica, l'urgenza politico-sociale e lo sguardo ideologico erano subordinati radicalmente, laddove non rifiutati, all'urgenza dello spaesamento artistico. La “chiamata alle armi” intercettava una sensibilità neo-dadaista e situazionista (ben documentata dalla fanzine “Oask?!”): l'oppressione totalitaria dello Stato tecnocratico andava contestata alla sua radice – un fondamento culturale, antropologico e percettivo (cioè estetico), ancor prima che ideologico.

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Il non-senso

La creatività da dispiegarsi come “flusso di desiderio”, strumento di arricchimento esistenziale, spinta collettiva al cambiamento, era la linfa dell'anarchia neo-Dada.Ecco che nell'arte di Echaurren si manifesta una via lungo il sentiero di uno scardinamento del principio logocentrico, da cui, negli ultimi secoli, è germinato quell'ordinamento riduzionistico, dualistico e analitico creatore di conflitti anziché di sintesi. Il non-senso che dadaisticamente pervade le colorate tele esposte nella mostra diventa una celebrazione della meraviglia spontanea che l'artista-fanciullo sperimenta danzando fra i colori e i pennelli, gustandosi il ritmo di quell'eterno ritorno in cui ogni progettualità razionalistica da ultimo sfuma. Parimenti intervengono altre serie artistiche tanto originali quanto concettose: fra di esse, gli ironici – e iconici – “quadratini”, in cui le immagini esplicitano arguti giochi di parole, con incursioni surrealiste; ma anche i collages e disegni realizzati dal 1977-78, in cui gli Indiani d'America assurgono a simboli di una svolta linguistica e di uno scardinamento del sistema del mercato artistico. Lampeggiano i gesti di détournement, la ripresa del ready-made duchampiano, lo scardinamento dell'uso consueto dei termini, la dinamica performativa della parola che si fa arte, il superamento della distinzione fra cultura “alta” e “bassa” – via inclusiva per portare arte in quei mondi che il sistema ufficiale ha sempre snobbato.

Ma questa missione, da ultimo, si è realizzata? Nelle opere di Echaurren si respira festa, a(nta)gonismo, vitalità, arguzia. Si coglie anche, per contrasto, il fallimento politico-culturale di un’esperienza come quella degli Indiani Metropolitani che, nella sua asistematicità, non è riuscita a farsi cultura egemonica, ma, soprattutto, ha investito più nella decostruzione che nella ricostruzione. Tanto che oggi molti stilemi della contestazione, come noto, il Sistema li ha fatti propri - merce rara, di lusso, per suscitare un’estetica “rebel”, ma incapacitante.

È possibile – ci chiediamo – fondare un'etica dell'estetica attraverso opere in cui la tensione tragica verso la bellezza abbia ceduto il passo alla frammentazione dell'immagine e all'ironia ludica? Può il nichilismo, dispiegato del nonsense, essere realmente la fonte germinale di un nuovo orizzonte esistenziale? Delle domande, queste, che sicuramente lo stesso Echaurren si è posto. Emergendo anche in alcune fasi della sua produzione successiva; particolarmente incisivi, a tal proposito, i fumetti “artistici” in cui ha narrato le vite avventurose di alcuni grandi irregolari del Novecento: da Vladimir Majakovskij a Dino Campana, passando per Julius Evola, Ezra Pound e l'amatissimo Filippo Tommaso Marinetti, a testimoniare l'avanguardia della tradizione e il superamento degli steccati – disciplinari, tecnici, ideologici. Il fumetto come esercizio di sperimentazioni e divulgazione culturale, insomma.Un sentiero che Echaurren ha elaborato in particolare nello studio attento ed empatico rivolto al Futurismo, di cui, insieme alla moglie Claudia Salaris, possiede la più completa collezione al mondo di riviste, volantini e manifesti.

Nella contemporanea “società della stanchezza” (Byung-Chul Han) l'itinerario espositivo portoghese costituisce in ogni caso una ventata d'aria fresca, rappresentando una “lacerazione” simbolica quanto mai (in)attuale. Ne scaturisce un taglio, à là Fontana, di quella coscienza umana ancora bidimensionale che, proprio come la tela del maestro italiano, invoca a gran voce di essere squarciata e superata. Con una vera rottura artistica.

“La Révolution. R.S.V.P.”, mostra di Pablo Echaurren, a cura di Sara de Chiara e Natxo Checa, Galeria Zé dos Bois, Lisbona, fino al 9 settembre 2023

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