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Intesa, UniCredit, BancoBpm: cosa cambia per le banche italiane con i tassi su

Per Moody’s gli istituti di Italia, Spagna e Portogallo sono quelli che beneficeranno maggiormente perché qui è più alta la quota di prestiti a tasso variabile

di Luca Davi

Lagarde: tassi saliranno a livelli che facciano calare inflazione

I punti chiave

  • Si parte con il piede giusto
  • Gli effetti dei tassi record
  • Il rischio spread e il nodo dei costi

4' di lettura

Dopo oltre un decennio di tassi negativi o rasoterra, il vento sui tassi è cambiato. La mossa varata giovedì dalla Banca Centrale Europea, con un rialzo di 75 punti base dei tassi di riferimento, ha confermato il deciso cambio di rotta intrapreso a luglio. E le intenzioni di Francoforte, per quanto ancora da decriptare con chiarezza nelle modalità, lasciano comunque intendere la volontà di ridurre decisamente le aspettative di inflazione al target del 2%.

Per le banche del Vecchio Continente, manco a dirlo, lo scenario è dunque cambiato radicalmente. Spesso in meglio - e forse in questo senso le banche italiane hanno più da guadagnare rispetto ad altre - pur senza dimenticare che ogni medaglia ha inevitabilmente il suo rovescio, come vedremo.

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Si parte con il piede giusto

Il dato certo è che tassi più alti rappresentano una boccata d’ossigeno importante per le banche nel breve termine. Archiviata una lunga stagione asfittica sotto il profilo dei profitti legati all’attività di lending, ora prestare denaro sarà più redditizio, perchè tassi più elevati generano meccanicamente maggiori ricavi da margine di interesse e aumentano, di conseguenza, la redditività. Un assaggio di tutto ciò si è già avuto nelle ultime trimestrali, che hanno evidenziato, complici già solo le aspettative dei rialzi, un incremento dei margini e degli utili. Ad agosto Intesa Sanpaolo ha presentato il suo miglior semestre dal 2008, per Unicredit si è trattato del miglior risultato degli ultimi dieci anni. Un po’ come accaduto in tutta Europa, dove le dieci maggiori banche hanno registrato un utile combinato di 13,9 miliardi di euro, il terzo migliore dato dell’ultima decade.

Gli effetti dei tassi record

Secondo alcune stime conservative (si veda l’analisi di Marcello Minenna sul Sole 24Ore dello scorso 18 luglio) un ciclo aggressivo di rialzi di 50 punti base ogni 2-3 mesi potrebbe comportare un progresso dei profitti anche fino a 20 miliardi.

E ciò dà la misura della posta in gioco. Secondo le stime della Bce, la variazione mediana del margine di interesse, basata sugli utili derivanti dalla variazione del tasso di interesse su un orizzonte di un anno e generata da uno spostamento parallelo al rialzo della curva dei rendimenti di 200 punti base, vale circa il 2,8% del capitale Cet1 delle banche europee. Per Barclays, l’incremento medio atteso del margine di interesse nel 2023 è del 9,5% per un rialzo di 100 punti base.

Se però è vero che il rialzo dei tassi è in generale un buona notizia per chi presta denaro, è pur vero che non tutti prestano denaro allo stesso modo. Ecco perchè l’effetto tassi sarà «graduale e cambierà da Paese a Paese», evidenzia Moody’s in un report. L’agenzia di rating sottolinea come Italia, Spagna e Portogallo siano tra gli Stati che beneficeranno maggiormente del nuovo scenario perché qui è più alta la quota di prestiti erogati a tasso variabile, elemento che darà alle banche «un più pronunciato incremento nei ricavi». Per le due principali banche italiane, Intesa e UniCredit, un rialzo di 100 punti base dell’Euribor corrisponde rispettivamente a circa 1,4 e 1 miliardo in più di margine di interesse, al netto del rimborso del Tltro. Per BancoBpm l’incremento può valere circa 450 milioni di euro aggiuntivi.

Il rischio spread e il nodo dei costi

In un contesto che si preannuncia positivo, c’è un però. Perché se è vero che un aumento dei tassi di interesse può fornire un sostegno ai margini bancari nel breve periodo, nel medio termine alcune banche potrebbero dover affrontare sfide importanti.

L’aumento dei tassi di interesse potrebbe rappresentare anzitutto una sfida per i governi altamente indebitati (e quindi per i titoli di Stato in bilancio), anche se molto – come nel caso dell’Italia – è stato fatto per allungare la durata della vita media del debito.

C’è poi un tema di bilancio delle singole banche. Negli ultimi anni i prestiti sono stati concessi con scadenze sempre più lunghe. Ma queste attività devono essere finanziate a costi che si fanno via via più elevati, visto che i tassi crescono. Le banche ovviamente si coprono dal rischio tassi, ma è chiaro che per alcune ciò può rappresentare un tema nel medio termine.

Ciò si riflette nella variazione del patrimonio netto di una banca, che tiene conto dell’intero spettro di scadenze del bilancio bancario, tra attivi e passivi. Il valore economico delle banche con una quota maggiore di flussi di cassa di attività a tasso fisso, ad esempio, potrebbe diminuire maggiormente in uno scenario di tassi più elevati.

Se l’inflazione inizia a erodere i profitti delle aziende, l’aumento dei tassi rischia di rendere più difficile il rimborso dei prestiti da parte dei debitori. E questo è destinato inevitabilmente a toccare famiglie e imprese più fragili, su cui il rallentamento economico in atto potrebbe impattare maggiormente provocando una riacutizzazione del fenomeno dei crediti deteriorati, con un relativo aumento del rischio di credito. Oggi è ancora presto perchè ciò si possa vedere con evidenza. Ma il rischio è dietro l’angolo.

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