3' di lettura
L’età è tra i fattori di discriminazione più “giovani” tutelati dal nostro ordinamento, così come dall’ordinamento dell’Unione europea. La sua introduzione si deve al Trattato di Amsterdam del 1997 e all’articolo 13 Tce (oggi articolo 19 Tfue), che ha conferito al Consiglio il potere di adottare i provvedimenti opportuni per combattere la discriminazione fondata su sesso, razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, disabilità, età e tendenze sessuali. Grazie a questa norma, è stata adottata la direttiva 2000/78/Ce del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro, attuata nell’ordinamento italiano con il Dlgs 216 del 9 luglio 2003.
Nel 2000, con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il divieto di discriminazione che include un ampio catalogo di fattori, tra cui l’età, è entrato a far parte dei principi fondamentali dell’ordinamento europeo.
Da subito il legislatore ha chiarito la portata specifica del divieto di discriminazione basata sull’età, che «costituisce un elemento essenziale per il perseguimento degli obiettivi definiti negli orientamenti in materia di occupazione e la promozione della diversità nell’occupazione».
Tuttavia in alcune circostanze, prosegue la norma, disparità di trattamento in funzione dell’età possono essere giustificate e richiedono pertanto disposizioni specifiche che possono variare a seconda della situazione degli Stati membri» (considerando n. 25, Dir. 78/2000).
Per questa ragione si è parlato dell’età come del “fanalino di coda”, la “Cenerentola” tra i motivi di discriminazione vietati, in ragione dell’ampia causa di giustificazione “speciale” contemplata dall’articolo 6 della direttiva – e dall’articolo 3, commi 4-bis e 4-ter, del Dlgs 216/2003 – che esclude l’illegittimità delle disparità di trattamento fondate sull’età, quando siano giustificate dal perseguimento di obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, di cui la norma fornisce anche un’elencazione esemplificativa, nella quale ricomprende la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e lavoro per i giovani e i lavoratori anziani, la fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro per l’accesso all’occupazione o la fissazione di un’età massima per l’assunzione, basata sulle condizioni di formazione richieste per il lavoro in questione. In sostanza, una disparità di trattamento fondata sull’età può essere giustificata, mentre una discriminazione fondata su un qualsiasi altro motivo non lo sarebbe.
La Corte di Giustizia Ue si è espressa in diverse occasioni – e con esiti altalenanti – sul rapporto tra disparità di trattamento fondata sull’età e finalità occupazionali, o obiettivi di solidarietà intergenerazionale; sulla discriminazione determinata dalla previsione di un’età diversa per il pensionamento stabilita per lavoratori e lavoratrici; sulla fissazione di un limite di età in entrata o in uscita dal mercato del lavoro, finalizzato a garantire la sicurezza pubblica o un ragionevole periodo di lavoro prima del pensionamento.
In tutti i casi affrontati, l’equilibrio tra divieto e giustificazioni si è rivelato estremamente delicato e ha imposto difficili operazioni di bilanciamento in sede di valutazione della legittimità delle finalità perseguite e della appropriatezza e necessarietà dei mezzi impiegati.
Tuttavia, nonostante le limitazioni imposte alla sua operatività e pur nel contesto di una tutela attenuata, resa ancora più incerta dalle difficoltà interpretative connesse alla sua applicazione, l’introduzione del divieto di discriminazione fondata sull’età ha avuto un indubbio impatto sull’assetto dei valori dell’ordinamento nazionale e sovranazionale: essere discriminati o molestati a causa dell’età costituisce lesione di un diritto fondamentale della persona: se prima differenziare in ragione dell’età era accettato e considerato legittimo senza eccezioni, oggi non lo è più, a meno che non si persegua un obiettivo meritevole di tutela con mezzi appropriati e necessari.
*Professoressa associata di Diritto del lavoro presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania
- Argomenti
- età
- Unione Europea
- Catania
loading...