Investimenti, garanzia di stato per rilanciare le infrastrutture
di Franco Bassanini

4' di lettura
Come si sa, l'accelerazione della crescita (necessaria anche per ridurre il rapporto debito pubblico/Pil dal lato del denominatore) richiede un forte rilancio degli investimenti pubblici e privati, tra i quali gli investimenti in infrastrutture, materiali e immateriali. Si aiuterebbe così anche la ripresa del settore delle costruzioni, decisiva per uscire dalla stagnazione.
Ma le risorse pubbliche per questi investimenti sono limitate. Quelle disponibili sono spalmate su più anni e sono largamente impegnate per programmi e progetti da tempo in cantiere (per lo più nel settore dei trasporti). I nuovi piani annunciati dal governo (per gli asili nido, per l'edilizia scolastica, per l'ambiente e la difesa del suolo, per il Green new deal, per gli acquedotti) dispongono di risorse di bilancio del tutto insufficienti rispetto al fabbisogno, pur rispondendo a bisogni essenziali della popolazione.
È possibile che, per alcuni di questi investimenti (per es. infrastrutture sociali o ambientali), la Ue introduca qualche forma di golden rule. Ma anch’essi – ancorché non contabilizzati al fine del Patto di stabilità – produrrebbero comunque un aumento dello stock del debito pubblico, che i mercati finanziari vedrebbero con preoccupazione. Occorre dunque varare tutte le misure e strumenti utili ad attrarre capitali privati nel finanziamento delle infrastrutture.
Ma che fare per i molti progetti che non offrono agli investitori rendimenti a livelli di mercato (infrastrutture sociali remunerate con contratti di disponibilità, ma non solo)?
Un’ipotesi merita di essere esplorata, anche perché contribuirebbe ad affrontare un altro serio problema: quello della messa in sicurezza dei risparmi previdenziali degli italiani, gestiti da investitori istituzionali (casse di previdenza, fondi pensione) e dalle assicurazioni vita. Il patrimonio complessivo di questi enti è vicino ai mille miliardi, ma è per buona parte investito in titoli sovrani, italiani o stranieri, o in obbligazioni a basso rischio, che ormai danno rendimenti negativi o quasi: con i quali è difficile garantire trattamenti pensionistici adeguati. Peraltro, neppure il ritorno dei tassi di interesse verso i livelli pre-crisi (che non pare imminente) sarebbe privo di effetti negativi, per la riduzione di valore dei titoli a rendimento facciale negativo ora allocati nel patrimonio di questi enti. Di qui il loro crescente appetito a investire in infrastrutture: investimenti a lungo termine scorrelati dal ciclo economico, dunque coerenti con il loro business model. Ma questo appetito non ha prodotto finora grandi risultati, per alcuni vincoli regolamentari e per la difficoltà di trovare “buoni progetti”, dotati di un rapporto accettabile fra rischio e rendimento.
Tutto cambierebbe però se il Governo concedesse – sul modello dei Piani Juncker e InvestEU – una garanzia pubblica, dedicata a specifiche classi di infrastrutture (infrastrutture sociali e ambientali, ma non solo) e limitata a progetti da realizzarsi in Ppp o in Pfi e previsti in piani e programmi pubblici (piano degli asili nido, piano dell’edilizia scolastica, piano degli acquedotti ecc.). Dovrebbero essere esclusi i progetti finanziabili a condizioni di mercato (per i quali eventuali garanzie sarebbero concesse dal sistema assicurativo privato).
La garanzia pubblica dovrebbe coprire fino al 100% dell’investimento; potrebbe essere gratuita o onerosa (ma modestamente retribuita, considerato l’interesse dello Stato alla attuazione di piani e programmi pubblici, che, altrimenti, sarebbero a carico dei bilanci pubblici). Se concessa previa valutazione della qualità e sostenibilità dei singoli progetti (essenziale anche per evitare i rischi di moral hazard), rientrerebbe nella categoria delle garanzie che non sono contabilizzate nei conti pubblici se non in caso di escussione. Dunque non inciderebbe su deficit e debito pubblico, se non in casi eccezionali e comunque tra qualche anno.
In presenza della garanzia pubblica, il livello di rischio di questi investimenti risulterebbe mitigato (e tendenzialmente allineato a quello dei titoli di Stato italiani a medio-lungo termine); e così anche rendimenti relativamente modesti (di qualche punto superiori ai titoli di Stato italiani) risulterebbero appetibili per gli enti gestori del risparmio previdenziale (e per altri long-term investor).
Occorrerebbe naturalmente: rimuovere gli ostacoli normativi e regolamentari che limitano gli investimenti in infrastrutture degli investitori istituzionali (per es. limiti e vincoli di portafoglio); snellire coraggiosamente le procedure di programmazione, progettazione, decisione ed esecuzione dei progetti infrastrutturali, e quelle relative alla struttura e copertura dei loro piani finanziari (codice degli appalti, disciplina dei Ppp, disciplina dei contratti di disponibilità ecc.); estendere al pagamento dei canoni di disponibilità la garanzia che tutela il rimborso dei mutui Cdp (prelazione sul gettito delle imposte locali); affidare a una struttura snella e competente (InvestItalia?) la validazione dei progetti garantibili.
Della garanzia potrebbe avvalersi anche Cassa depositi e prestiti per potenziare (senza impatto sui suoi capital ratio) gli investimenti che già ha cominciato a fare con successo nelle infrastrutture sociali (vedi Santilli, Il Sole del 20/10). Ma in più Cdp potrebbe svolgere un ruolo chiave nella promozione e strutturazione di “buoni progetti”, nell’aggregazione dei progetti di minore dimensione, nella raccolta dei finanziamenti (agendo da anchor investor) e nella finalizzazione dei progetti. Potrebbe anche proporre alla Bei la costituzione di una piattaforma comune, che avrebbe accesso diretto alle garanzie del Piano InvestEU e a finanziamenti della stessa Bei e di fondi europei.
Si tratterebbe dunque di una soluzione win win win perché darebbe un buon contributo a raggiungere, insieme, diversi obiettivi di politica pubblica:
1 la ripresa del settore delle costruzioni, decisiva per uscire dalla stagnazione;
2 la messa in sicurezza del risparmio previdenziale di 15 milioni di italiani, minacciato dalla stagione dei tassi negativi;
3 il potenziamento degli investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, senza impatto rilevante sul debito pubblico;
4 il contrasto al cambiamento climatico e al dissesto idrogeologico, mediante il potenziamento degli investimenti in infrastrutture ambientali;
5 la qualità del welfare e a coesione sociale del Paese (infrastrutture sociali);
6 la riduzione del rapporto debito/Pil dal lato del denominatore.
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