Investire nel saper fare: lo scouting di artigiani industriali
Globetrotter per lavoro e passione, Matteo de Rosa è l’italiano alla guida di Lvmh Métiers d’Art. Il suo incarico? Rintracciare l’eccellenza nel mondo e darle un domani sostenibile.
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«La bellezza del mio lavoro è la globalità, perché si estende su cinque continenti e io passo il 60 per cento del mio tempo in giro per il mondo, a cercare (e trovare! Ce n’è ancora tantissima) l’eccellenza. Una sorta di scouting permanente di artigiani industriali o, come mi piace chiamarli, amatori passionali, imprenditori ossessionati dalla qualità del prodotto. Ci siamo dati una sola regola: andare a prendere il meglio ovunque esso sia e investire per garantirgli un futuro. Non contano le dimensioni piccole o grandi delle manifatture, conta il know-how e l’unicità. Chiunque sia il numero uno nel suo settore, può entrare a far parte del gruppo». Chi parla è Matteo de Rosa, ceo di Lvmh Métiers d’Art, un progetto nato nel 2015 come migliore assicurazione per la durata di lungo termine dei luxury brand: preservare la filiera e, a monte, il controllo della materia prima. Trasmissione e savoir-faire più innovazione sostenibile: oggi ne fanno parte 22 aziende, nei settori della pelle, delle pelli esotiche e dei metalli, che danno lavoro a 2.700 persone e generano circa 700 milioni di ricavi. «Il nostro non è un obiettivo finanziario di controllo, ma di innovazione e protezione di aziende che fanno prodotti interessanti per il mercato e per le nostre maison. Con alcuni stringiamo partnership commerciali, com’è appena avvenuto per la giapponese Kuroki, con altri siamo soci di minoranza, di altri ancora acquisiamo la maggioranza». Una capillarità diversificata nel mondo, con una forte presenza italiana, a partire dal recente ingresso della conceria pisana Nuti Ivo. Si va dall’allevamento di animali con Domaine des Massifs alla produzione di prêt-à-porter in cuoio con Robans, fino alla concia e rifinitura con le Tanneries Roux, Masoni e Riba Guixà, per le più pregiate pelli di vitello e agnello. E ancora Heng Long, un punto di riferimento mondiale per il coccodrillo, le manifatture Menegatti, Gbjm e Jade, produttori di componenti in metallo. «La prossima filiera in cui vogliamo installarci è quella delle materie tessili, il cotone, il lino, la canapa, la seta. Qui ci sono eccellenze incredibili ed è il focus del prossimo anno». Se l’obiettivo finale è garantire il futuro del più grande colosso del lusso, proteggendone materiali, prodotti, settori di sviluppo e vantaggio competitivo, l’impostazione del progetto è industriale e obbedisce al principio di concorrenza. «L’intragruppo pesa solo per il 40 per cento, noi lavoriamo per tutti, le nostre aziende artigiane devono poter servire Hermès, Gucci, Prada, tanto quanto Lvmh», rivela. «Per la vitalità delle singole manifatture, è necessario essere rilevanti sul mercato e non dipendenti da un solo marchio. Né ci si può “sedere” sulla sicurezza di avere clienti garantiti perché parte dello stesso gruppo, occorre innovare e sentire lo stimolo della competizione sulla qualità». Di questa strategia orientata all’innovazione fanno parte alcune figure-chiave messe alla guida delle imprese, come le tre manager protagoniste di queste pagine, giovani non solo anagraficamente, ma per una leadership orientata al cambiamento. «Sono loro il volto di Lvmh Métiers d’Art. Vorrei far capire alle nuove generazioni che, se hai passione, talento e voglia di metterti in gioco, c’è spazio per te. Joanne e Juliette sono la prova che, persino in un’industria pesante e usurante, da sempre appannaggio maschile, una giovane donna può arrivare in cima e cambiare i connotati dell’azienda. Un esempio? Juliette è la manager che, in 8 mesi, ha ridotto l’età media della conceria di oltre vent’anni, portandola da 50 a 28, e ha raddoppiato il fatturato. Ecco perché la loro storia è la storia di questo progetto».
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