Investire nella scienza verde per dare forma al futuro. Parola di Cyrill Gutsch
Per il fondatore di Parley for the Oceans, il più grande network a salvaguardia degli oceani, il riciclo della plastica è il passato. Serve puntare su tecniche nuove
di Alexis Paparo
5' di lettura
La questione non è cercare di salvare il pianeta da soli, ma fare del proprio meglio». La scintilla che accende in Cyrill Gutsch il progetto Parley for the Oceans - il più grande network di pensatori, scienziati, leader di brand, governi e comunità a salvaguardia degli oceani - arriva da queste parole. Sono di Paul Watson, ambientalista, fondatore e presidente di Sea Shepherd Conservation Society, che Gutsch incontra nel 2012. «Come tutti, conoscevo i problemi legati all'inquinamento del pianeta, ma ero abbastanza cinico a riguardo, mi ero come arreso. Poi quella chiacchierata e l'ottimismo di Watson mi hanno acceso nella mente l'idea di non dover per forza agire da solo; che, come designer, avrei potuto essere parte di qualcosa di più grande, una rete globale in cui tutti avrebbero potuto riversare le proprie capacità, al meglio delle proprie possibilità. Questi nove anni mi hanno cambiato la vita, credo che far diventare la protezione degli oceani un business sia il solo modo per avere successo».
Gutsch e il suo team hanno ideato un approccio multidisciplinare, guidato dalla AIR Strategy (Avoid, Intercept, Redesign: Evitare, Intercettare, Ridisegnare), per inventare e incentivare soluzioni all'inquinamento delle plastiche nei mari, al cambiamento climatico e alla sovrapesca. A partire da Parley Ocean Plastic®, una gamma di materiali derivati da detriti marini plastici intercettati dal Parley Global Cleanup Network, attivo in oltre 28 Paesi, che vuole sostituire il materiale vergine. Fino al 21 novembre, è possibile osservarlo da vicino e su grande scala in Plasticity, un'installazione scultorea di oltre 3 metri e mezzo, realizzata dall'architetto Niccolò Casas in collaborazione con il Padiglione Italia della Biennale di Architettura di Venezia.
«Plasticity è un reminder di come si possa rispondere con creatività alle minacce ambientali. Senza scoraggiarsi, senza sentirsi sopraffatti. Non dovremmo mai mettere in dubbio la nostra capacità di tirarci fuori dal problema che abbiamo creato. Credo sia questione di istinto di sopravvivenza - gli uomini lo affinano da millenni - che oggi ci spinge a trovare soluzioni e a lavorare insieme anche attraverso architettura e design, che sono connessi al nostro benessere».
Oggi Gutsch è considerato uno dei principali interlocutori globali per ciò che riguarda l'inquinamento oceanico, anche se nove anni fa, «molti mi hanno letteralmente riso in faccia, pensavano fossi impazzito». Non si contano più le collaborazioni con aziende, brand, artisti – per citarne alcune, Adidas, Iris van Herpen,
Stella McCartney , American Express, poi nomi dell'arte contemporanea come Doug Aitken, Ed Ruscha e David LaChapelle, ma anche la World Bank, le Nazioni Unite e il British Fashion Council. A giugno l'associazione ha lanciato Clean Waves, una piattaforma online in cui verranno proposti oggetti e progetti di creativi, artisti e designer in Parley Ocean Plastic®, i cui proventi andranno a finanziare progetti di istruzione e pulizia sulle isole più remote del mondo, per esempio alle Maldive (si parte dalla collezione eyewear in collaborazione con la cantante M.I.A., in vendita sul sito, da Selfridges e da Dover Street Market).
Oggi che indossare, usare, abitare plastica riciclata dai detriti oceanici è molto più che un trend mondiale, per Gutsch rappresenta il passato, semmai un presente e un futuro prossimo scomodi, con cui avremo a che fare ancora per i prossimi dieci, 20 anni. Gli chiedo questa intervista proprio per farmi accompagnare nella sua idea di futuro, e nei piani che ha messo in moto per raggiungerlo.
«Il futuro è nella biofabbricazione, nella scienza verde, solo adesso iniziamo a capire l'altissima tecnologia che sta dietro a una texture, a un colore, alla superficie di un vegetale o di un frutto. Stiamo iniziando a copiarli nei laboratori, ma la strada è lunga. Penso che la maggior parte dei biomateriali inventati finora non possa ancora competere con la plastica. Inoltre, dobbiamo essere molto attenti a evitare di trasformare la nostra agricoltura in monocolture a perdita d'occhio, per esempio di mais, per creare dei suoi sostituti», continua Gutsch. Ecco perché è nata Parley Mothership, una nuova entità che si occupa di finanziare la ricerca sui nuovi materiali e di portarli sul mercato. Al team di dieci persone si sommano le partnership con scienziati, creativi, talenti in tutto il mondo. Non un solo laboratorio, ma la stessa idea di rete che ha acceso la scintilla nove anni fa. «Crediamo che la vera innovazione si faccia ad ampio raggio, per questo vogliamo incoraggiare e finanziare sperimentazioni e studi scientifici senza un brief specifico se non quello di inventare qualcosa di migliore. Per esempio, stiamo guardando con molto interesse alle emissioni di carbonio - ne abbiamo 2mila megaton nella nostra atmosfera - che potrebbero essere la miglior riserva di materia prima per dar vita ad alternative alla plastica».
Nel suo archivio ideale dei materiali più fenomenali, il centro del podio è occupato dal biocemento di Biomason , realizzato in laboratorio a partire da microrganismi che operano nello stesso modo in cui vengono costruite le barriere coralline. La produzione di cemento è responsabile dell'8 per cento di emissioni di carbonio globali. Secondo l'azienda, che ha appena firmato un contratto per realizzare la pavimentazione degli store del gruppo H&M, un uso estensivo del biocemento riuscirebbe a ridurre le emissioni globali del 25 per cento entro il 2030. Al secondo e terzo posto, i «meravigliosi» miceli, «con cui è possibile realizzare abiti, accessori, materiali edili così come oggetti e arredi» e le alghe, che oltre a poter essere convertite in cibo e tessuto, catturano Co2. «Poi ci sono aziende che trasformano le emissioni di carbonio in vodka, altre che fabbricano in laboratorio le proteine per realizzare sostituti della seta o del cotone.
Alcuni materiali sono ormai vicinissimi alla commercializzazione, per altri serve ancora tempo, ma questo è un momento straordinario. Ci sono ricerche attive magari da 15 anni che finalmente adesso ricevono i fondi necessari per arrivare sul mercato. Le più grandi aziende dell'ultimo secolo sono state guidate da visionari, e credo che oggi sia di nuovo il loro momento. È tempo di sognare, di rischiare, di credere che possiamo creare una nuova generazione di materiali».
Lo storytelling è importante. Come per i veicoli elettrici, la competizione è il miglior driver. «Senza Tesla non avremmo avuto il boom delle auto elettriche, senza Adidas forse la plastica riciclata non sarebbe diventata di moda. Oggi un'azienda non può permettersi di essere off trend. Questa è la maggior spinta al cambiamento. E anche la nostra speranza migliore».
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