«Io, viaggiatrice a Malpensa». Cronaca da un aeroporto deserto. A Mosca solo controllo passaporto
Atmosfera surreale all’aeroporto di Malpensa: treni poco affollati, bar e negozi vuoti, niente code e hostess con guanti e mascherina
di Cristina Casadei
5' di lettura
Sono partita da Milano Malpensa per Mosca il 27 febbraio, quando in Italia l’emergenza Coronavirus era già scoppiata. È stato un viaggio molto comodo, quello da casa all’aereoporto. La prima volta, da quando ho preso un aereo in cui non ho dovuto correre, con il mio zaino in spalla. Alle 9.22 sono arrivata trafelata alla biglietteria automatica del Malpensa Express, senza biglietto, pensando di perdere il treno dell 9.27 ormai. E invece no. Avevo 4 macchinette self service a disposizione e un addetto con guanti e mascherina che poteva aiutarmi. Alle 9.24 ho il biglietto in mano con cui salgo sul treno che mi aspetta sul binario 1.
Comincio a guardare le carrozze per cercare quella meno affollata. Per una volta non ho che l’imbarazzo della scelta. Mi siedo in un settore completamente vuoto, mentre un’addetta alle pulizie passa un disinfettante sui maniglioni del treno. Scelgo una postazione da 4 sedute in basso, ma poco dopo cambio. Meglio stare in alto, mi dico tra me e me. Cambio ancora seduta, fino a quando mi sento a mio agio. Il treno, intanto, lascia regolarmente la stazione di Cadorna.
Prendo il mio tablet, apro le edizioni digitali cercando di leggere gli articoli non letti di primo mattino sui quotidiani digitali. No, meglio telefonare all’ambasciata italiana a Mosca. Ho il terrore che mi rimandino indietro. Ieri ho sentito al telefono degli amici italiani che vivono a Parigi. Erano rientrati in Italia per le vacanze scolastiche invernali dei due bimbi, per una settimana bianca a Cortina, e adesso sono tutti a casa. I bimbi, in quarantena, non vengono accettati a scuola e devono rimanere a casa almeno due settimane. I genitori hanno “autonomamente” deciso di lavorare da casa, in smart working. La cameriera non si è presentata al lavoro, persino la portinaia li guarda dall’alto in basso. «Ci fanno sentire untori, siamo disperati», mi confessano. Memore della telefonata, comincio a farne anche io.
Richiamo il Consolato della Federazione Russa di Milano, come ho fatto varie volte in questi giorni. Poi la compagnia Aeroflot a Malpensa. Già che ci sono contatto anche l’ambasciata italiana a Mosca via mail e poi via telefono, ma non mi rispondono subito. Mai fatto tante telefonate con il timore di arrivare in un paese ed essere rimandata indietro. Ma, oggi, è diverso. C’è il coronavirus. Intanto arriva la risposta dell’ambasciata italiana e poco dopo una telefonata che mi conferma che non ci sono restrizioni per gli italiani che arrivano a Mosca. Certamente devo essere consapevole che il paese ha nel cassetto i piani di emergenza in caso di epidemie o calamità e può tirarli fuori in qualsiasi momento, se necessario. Mi tranquillizzo. Intanto passa il controllore che mi avverte che il treno sta arrivando al terminal 1, la mia destinazione. Scendo. Prendo l’ascensore insieme a un signore con la mascherina. Io non ne ho una e non indosso i guanti.
Non ho sintomi di alcun genere. Spero di non sbagliare nel mio comportamento. Entro all’aeroporto di Malpensa, terminal 1. Una prateria per pochi. Mai nessuno davanti a me. Né quando passo la carta d’imbarco prima dei controlli. Né durante il tragitto che mi porta al Gate dove mi imbarco regolarmente sul mio volo. Non c’è affollamento nemmeno qui. Passo dal bagno a lavarmi le mani, questa so che è uno degli accorgimenti più importanti. La hostess accoglie i passeggeri con mascherina e guantini bianchi. Salgo in aereo, ma tutte queste comodità mi lasciano dentro una sensazione strana. Proprio a me che non sopporto i luoghi affollati e faccio acrobazie per toccare meno possibile fuori casa, mi scosto se qualcuno starnutisce o tossisce. Parto, arrivederci a Mosca.
Il volo
Arrivo a Mosca quando a Milano sono le 3 e 20 del pomeriggio. Il volo è in anticipo di 20 minuti. L’atterraggio è su una patina di neve e ghiaccio, ma l’aereo sembra una piuma. Ting Yu mi dice che è il migliore atterraggio da quando torna in Cina, a Canton, passando da Mosca. L’aereo è piuttosto sgombro. Nella fila davanti a me e in quella dietro non c’è nessuno. I passeggeri viaggiano sparsi, pressoché uno per fila. Quando avevo fatto il check in online anche io avevo scelto una fila vuota con file vuote davanti e dietro.
Lo stesso aveva fatto Ting Yu mi dirà poi. Forse abbiamo fatto la prenotazione in contemporanea. Comunque ci ritroviamo sulla stessa fila. Vado subito in bagno a lavarmi le mani. Al ritorno non so come fare a iniziare la conversazione. Quando siamo salite sull'aereo ho visto Ting Yu riporre un violino nella cappelliera. Provo con il violino. «Suona in qualche orchestra?» «Suono per me stessa, amo la musica». È cinese di Canton, Ting Yu. Ha 22 anni e vive a Mantova dove studia architettura nel campus del Politecnico di Milano. Vuole diventare una designer, è iscritta al terzo anno e conta di laurearsi in settembre. Poi chissà. Ha già inviato la sua candidatura a università italiane, tedesche e inglesi. Le piacerebbe occuparsi della progettazione del restauro di palazzi storici.
Torna in Cina due volte all’anno, in estate ed in inverno. L’ultima volta è stata la scorsa estate. Mi tranquillizzo, lo confesso e non mi vergogno. Indossa una mascherina e mi suggerisce di fare lo stesso. Non vede l’ora di arrivare in Cina dove farà uno stage a Canton in un grande studio di designer. Mi dice che lì, si sentirà più sicura. I genitori indossano le mascherine, tutti indossano le mascherine e le persone non affollano i pronto soccorso come vede fare in Italia, ma contattano i numeri di emergenza e ricevono a casa loro la prima assistenza. Vorrei ribattere, ma mi trattengo, dopo averle sentito raccontare il disagio di quest’ultimo periodo in Italia in cui una volta, per strada, un ragazzo le ha gridato vattene cinese e ormai da un mese si sente un’osservata speciale. Intanto io penso come sia possibile che stia volando in Cina, passando da Mosca. È lei che mi ricorda che non sta arrivando dalla Cina ma sta andando in Cina. Parla un bellissimo inglese.
Mi racconta delle sue aspettative e del suo sogno di fare la designer in Cina dove c’è molto lavoro. Molto più che in Italia lei dice. Pranziamo con pollo e una specie di insalata russa. Poi lei si addormenta. Si risveglia quando l’aereo sta per atterrare. Ci congediamo con il mio in bocca al lupo per lei e il suo augurio di buon soggiorno a Mosca per me.
L’arrivo
Sono un po’ in pensiero mentre imbocco il finger per scendere dall’aereo. Al controllo dei passaporti non trovo nessuno e soprattutto nessuno ha nulla da dire sul mio passaporto, il mio visto e la mia provenienza. Nessuno mi controlla la febbre e mi chiede nulla sulle mie condizioni di salute. Il terminal C dove arrivo è deserto. Mi dirigo verso la stazione del treno per andare in centro a Mosca. Ho a disposizione un’intera parete di biglietterie automatiche per fare il biglietto del treno che mi porterà alla stazione Belorusky. Non c’è nessuno nemmeno alla biglietteria tradizionale. Scelgo le biglietterie automatiche, compro il mio biglietto e prendo posto sul treno. È qui in mezzo a qualche viaggiatore e ai pendolari che ritrovo un’insolita normalità per me che arrivo da Milano.
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