dopo lo strappo sul nucleare

Iran, come evitare le sanzioni Usa alle imprese

di Laura Cavestri

Iran pronto a riprendere l'arricchimento dell'uranio

4' di lettura

Un “fondo” di garanzia, sostenuto dallo Stato, per continuare ad assicurare una linea di credito “aperta” alle aziende italiane che, pur rispettando in pieno la normativa nazionale ed europea, dovessero cadere nella “trappola” delle “sanzioni secondarie” applicate arbitrariamente dagli Usa verso gli operatori economici, anche europei, che vorranno continuare a operare con l’Iran.
È una delle (poche) ”contromisure” che le cancellerie europee – con il placet di Bruxelles – potrebbero adottare per salvaguardare il business delle proprie imprese impegnate in ordini, commesse e progetti in Iran.

Conseguenze sulle imprese
La domanda, infatti, ora è: cosa potrebbe succedere, fra 6 mesi, a un’azienda italiana che vuole continuare a vendere valvole o compressori sia in Iran che negli Stati Uniti?
Quando il presidente Usa, Donald Trump, ha dichiarato l’uscita dall’accordo sul nucleare e il ritorno alle sanzioni, ha detto che il divieto di fare affari con Teheran non vale solo per le aziende americane, ma anche per quelle europee (anche se l’Europa è con lui in totale disaccordo). E che se le aziende del vecchio continente continueranno potrebbero incorrere in “sanzioni secondarie” da parte degli Stati Uniti.

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«È l’applicazione del principio di “extraterritorialità” delle leggi americane – ha spiegato Francesco Giumelli, assistant professor all’Università olandese di Groeningen –. Significa che gli Usa ritengono di poter sanzionare le imprese anche non americane che fanno affari con Paesi sotto embargo se poi hanno anche rapporti con gli Stati Uniti o se usano i dollari per le transazioni. Insomma, se usi i dollari, che sono la moneta delle transazioni internazionali, accetti le regole. Anche perchè ogni clearance, cioè autorizzazione alle transazioni internazionali, passa sempre per una banca statunitense».
Uno scoglio politico-economico che si trascina dagli anni ’90. Nel 1996 un regolamento Ue (il 2271/1996, chiamato anche Regolamento “di blocco”) permise agli Stati di prendere misure di protezione, vietando alle aziende di pagare per sentenze comminate dagli Usa. Allora erano in ballo le sanzioni americane contro Iran, Cuba, Libia, Birmania e Sudan. Ma si tratta di un regolamento “debole” se poi, nei fatti, le società europee restano sole a fronteggiare l’effettiva chiusura delle loro linee di credito.

Multe o paralisi del credito
A questo punto, cosa potrebbe succedere alle imprese europee, in regola con le regole nazionali ed Ue, ma non secondo la disciplina Usa? Come in passato, potrebbero “incappare” nella “scure” del Tesoro americano, e della sua agenzia Ofac, che si occupa di far rispettare le sanzioni commerciali e finanziarie adottate dall’Amministrazione. Sinora, ad essere sanzionate sono state soprattutto le banche (Bnp Paribas ha pagato 9 miliardi per operazioni con l’Iran, ma anche Banca Intesa Sanpaolo ha concordato una “multa” di quasi 3 milioni di dollari per violazione di restrizioni economiche contro Sudan, Cuba e Iran).
Per le aziende, invece, il rischio è finire in una “blacklist” (la lista degli Specially Designated Nationals, Sdn) che, di fatto, le esclude dal circuito finanziario internazionale, con conseguente impossibilità di eseguire o ricevere pagamenti e di accedere a linee di credito.

Il caso Dettin
In Italia, il caso più recente e drammatico di un’azienda manifatturiera sottoposta agli effetti dell’Iran Sanctions Act del 1996 è la Dettin Spa di Schio, Vicenza, che per 14 mesi si è vista chiudere tutti i rubinetti del credito. La Dettin, che esporta il 95% della produzione, è attiva nella produzione di apparecchiature e contenitori per l’industria petrolchimica. In linea con le regole italiane ed europee, era incappata in sanzioni secondarie per operazioni di vendita verso l’Iran per più di 1 milione di dollari l’anno. Quindi, inserita nella blacklist americana e impossibilitata ad effettuare pagamenti internazionali. «Una situazione – ha spiegato Marco Padovan, l’avvocato dell’omonimo studio legale che ha tutelato la Dettin – affrontata facendo valere il regolamento Ue “di blocco”, che ha consentito di mantenere aperta una linea di credito con una banca piccola e poco esposta sui mercati internazionali. Infine, negoziando con gli Usa abbiamo ottenuto un dimezzamento del periodo di isolamento».

Cosa può fare l’Europa?
«Davanti a sanzioni Usa, di fatto, globali – ha affermato Claudio Dordi, Associato di Diritto internazionale alla Bocconi – le armi sono poche». Improbabile che sia nel nostro interesse attuare ritorsioni sulle aziende Usa in Europa. Provare a negoziare con Trump un sistema di esenzioni? Possibile ma complicato.
«Perchè ogni Stato – ha aggiunto Padovan – non crea un “fondo” nazionale che sostenga finanziariamente le proprie imprese in questi casi?». «Certo – conclude Giumelli – Bruxelles dovrebbe modificare le regole Ue sugli aiuti di Stato. Ma poi si dovrebbe agire, a livello europeo o nazionale. Altrimenti il regolamento Ue “di blocco” non serve». Per anni, la politica non ne ha voluto sapere. Oggi, forse, qualcosa si muove.
Martedì, a Bruxelles, si vedranno i ministri degli Esteri di Germania, Francia, Regno Unito e l’Alto Rappresentante, Federica Mogherini. Mentre per il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, «è tempo che l’Europa passi dalle parole ai fatti e di discutere con gli Usa per ottenere regole diverse per le imprese europee con interessi in Iran».

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