Iraq, il grande malato del Medio Oriente al voto sotto lo sguardo di Usa e Iran
Oggi in Iraq si vota. Con un anno di anticipo. Venticinque milioni sono gli aventi diritto. Ma gli iracheni che si riverseranno nei seggi elettorali per scegliere i membri del nuovo Parlamento rischiano di esser molti meno del previsto
di Roberto Bongiorni
I punti chiave
5' di lettura
I manifestanti non immaginavano che la repressione potesse essere tanto dura. Seicento di loro persero la vita in pochi mesi, colpiti quasi tutti dalle armi da fuoco delle milizie sciite filoiraniane. Migliaia furono messi agli arresti. Eppure la rivoluzione mediorientale” di ottobre qualche risultato alla fine lo aveva ottenuto.
I giovani iracheni che avevano riempito le piazze nell'autunno del 2019 per protestare contro il caro vita, l'ingerenza dell'Iran e soprattutto contro la solita classe politica, avevano ottenuto una nuova legge elettorale e la promessa, mantenuta, di anticipare le elezioni di un anno. Non era mai accaduto prima.
L'ombra del boicottaggio delle giovani generazioni
Oggi in Iraq si vota. Con un anno di anticipo. Venticinque milioni sono gli aventi diritto. Ma gli iracheni che si riverseranno nei seggi elettorali per scegliere i prossimi onorevoli del nuovo Parlamento rischiano di esser molti meno del previsto.
La frustrazione tra chi ha manifestato, esponendo la propria vita a detenzioni arbitrarie e torture, è così alta che moltissimi giovani avrebbero deciso di boicottare il voto. Il motivo? Il Paese è ancora ostaggio delle potenti milizie sciite filoiraniane, il cui braccio politico si prepara a fagocitare milioni di voti.
Nel 2018 l'affluenza era stata la più bassa di sempre, aveva votato solo il 44% degli aventi diritto. I risultati furono peraltro ampiamente contestati. Questa volta si teme un'affluenza simile, o addirittura peggiore.
Un voto importante che divide Usa e Iran
L'Iraq non è un Paese “normale” . Si trova in una posizione strategica molto contesa. E' un Eldorado energetico: vanta le quarte riserve mondiali di greggio convenzionale, 146 miliardi di barili, anche se suo sottosuolo ne nasconderebbe molte di più. Ha ricchissimi giacimenti di gas naturale. Una ricchezza sfruttata male e ad intermittenza. Ma l'Ex regno di Saddam è ricco anche culturalmente, somiglia a calderone multietnico e multiconfessionale: arabi e curdi convivono accanto a turkmeni, armeni. I musulmani sciiti e sunniti popolano spesso le stesse città dei cristiani.
Quello di oggi è dunque un voto importante. Non solo per gli iracheni. Soprattutto in questo momento storico. Dopo il disastroso ritiro dall'Afghanistan, gli Stati Uniti non possono assistere al fallimento di un altro Stato dove hanno perso migliaia di militari e speso quasi duemila miliardi di dollari (secondo un recente studio della Boston University), il doppio dell'Afghanistan.
A Baghdad gli americani hanno realizzato la più grande ambasciata di tutto il mondo, una sorta di città dentro la città. Nel Paese circa 2.500 marines sono ancora impegnati in azioni antiterrorismo contro l'Isis e in compiti di addestramento delle forze irachene.
Ma non si tratta solo di questo. Queste elezioni parlamentari ci indicheranno la direzione della prossima politica estera dell'Iraq, un Paese negli ultimi mesi impegnato in una sorta di mediazione tra le due potenze regionali rivali. Arabia Saudita ed Iran.
E proprio l'Iran che ha sempre considerato l'Iraq una sorta di suo protettorato – visione osteggiata dalla maggior parte degli iracheni – non intende affatto mollare la presa. Tutt'altro. Forte di un nuovo presidente e di un nuovo Parlamento, espressioni dell'ala oltranzista e conservatrice sono, gli Ayatollah intendono rafforzare la loro influenza sul Paese vicino.
I grandi manifesti ed è murales che ritraggono i volti del generale iraniano Soleimani e del capo delle Kataib Hezbollah al-Muhandis, uccisi in un raid americano il 3 gennaio 2020, sono un po' dappertutto. Quasi tutti riportano la frase «I nostri martiri».
Il panorama politico iracheno
Come nella società , anche nella politica le diverse formazioni sono delineate dalle diverse confessioni ed etnie. VI sono dunque tre grandi gruppi politici: gli sciiti, i sunniti ed i curdi. La maggioranza sciita non è tuttavia un monolite. I suoi movimenti politici sciiti sono divisi, a volte in conflitto. La rivalità maggiore è tra il gruppo che invoca una maggiore indipendenza del Paese dalle potenze internazionali, e si batte conto l'ingerenza iraniana e il potente blocco di partiti che invece paiono la longa manus di Teheran in Iraq. Nel primo gruppo svetta la figura del clerico Moqtada al-Sadr, il vincitore delle elezioni del 2018, il clerico che armò una milizia sciita filoiraniana (le brigate Badr) contro le forze americane nel 2003, ma che ora è concentrato sui problemi interni del Paese e punta ad affrancarsi dal giogo di Teheran. Il secondo gruppo è dominato dall'Alleanza “Fatah”, guidata dal leader paramilitare Hadi al-Ameri. Nelle ultime elezioni era seconda. Ed è questa coalizione a preoccupare maggiormente i Paesi occidentali, Stati Uniti in testa. Perché comprende partiti affiliati alle Forze di mobilitazione popolare, un gruppo ombrello di milizie sciite per lo più filoiraniane, salite alla ribalta durante la guerra contro lo Stato islamico. Tra le milizie più intransigenti e potenti vi sono Asaib Ahl al-Haq e, per la prima volta, Kataib Hezbollah. Entrambi i gruppi, molto vicini a Teheran, si sono scontrati militarmente con le forze americane anche sotto l'Amministrazione del presidente Joe Biden. Vi sono anche formazioni legate al controverso e premier Nouri al Maliki, personaggio ancora influente.
Tra i principali partititi restano il Kdp e il Puk, legati ai clan Barzani e Talabani e ai rispettivi gruppi di peshmerga. I principali partiti sunniti sono cinque, presenti soprattutto nelle province occidentali.
Comunque andrà, anche questa volta appare improbabile che una coalizioni ottenga la maggioranza assoluta. Con ogni probabilità sarà dunque necessario una serie di negoziati, probabilmente lunghi, per individuare prima un primo ministro che possa riscuotere il consenso dei partiti coinvolti nelle trattative. E poi che le forze politiche accettino una sorta di Governo di coalizione. Questo è lo scenario probabile. Ma non se ne possono escludere altri.
Un elezione trasparente?
Insomma quanto sia sentita questa votazione lo si può evincere anche dal numero di osservatori internazionali, oltre 600 di cui almeno 150 inviati dalle Nazioni Unite. Dovranno assistere la Commissione elettorale nazionale durante la votazione e durante uno spoglio che si preannuncio complesso e pieno di ostacoli.
Quest'anno l’Iraq introduce per la prima volta le carte biometriche per gli elettori. Per prevenire l’abuso delle tessere elettorali elettroniche, e quindi un doppio voto, le autorità hanno deciso di disabilitarle per 72 ore dopo che l'elettore ha espresso il voro. C'è poi un'altra novità di non poco conto. La nuova legge elettorale, approvata nel 2020, consentirà ai candidati indipendenti di avere una reale chance per emergere. Frodi permettendo, potremmo dire che, se si svolgerà in modo trasparente, questo consentirà per la prima volta di dar loro più voce che in passato.
Ma siamo in Iraq. Un Paese dove la corruzione è endemica e coinvolge tutti i livelli della società. Nonostante le nuove misure anti frode, sono continuate a circolare le denunce di compravendita di voti, intimidazioni e manipolazioni.
La comunità internazionale spera che non siano troppe. E che il voto non porti disordine in un Paese che, dal 1980, non ha conosciuto altro che guerre e guerriglie intervallati da pochi anni di pace.
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