Irlanda, i nomi dei piccoli evasori pubblicati online ma per le web company è un paradiso
Le due facce del modello irlandese. I nomi di chi non paga le tasse vengono pubblicati sul sito dell’Agenzia delle entrate di Dublino e finiscono sulle prime pagine dei giornali. Ma gli accordi che permettono l’elusione fiscale alle grandi multinazionali restano segreti.
dai nostri inviati Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi
10' di lettura
DUBLINO - Francesco Rossi è diventato una celebrità nell'Ulster irlandese. Radio, giornali e siti lo hanno sbattuto in prima pagina per aver evaso 336.404 euro tra tasse, interessi e sanzioni al Fisco irlandese. E nel paesino in cui vive, 4.852 abitanti, attraversato dal fiume Finn, al confine con l'Ulster nord irlandese, a 225 chilometri da Dublino e a 42 da Londonderry, tutti i lettori sono stati informati del peccato di cui si è macchiato: evadere le tasse.
Francesco Rossi è un nome di fantasia che utilizziamo per tutelare in Italia la sua privacy. Ma sui media irlandesi nome e cognome sono stati scritti senza alcuna pietà in base al principio anglosassone del “name and shame”, vale a dire “ti nomino e ti svergogno pubblicamente”.
Senza fatica
I giornalisti non hanno dovuto faticare per scovare la notizia, visto che per loro il lavoro lo ha fatto l'Agenzia delle entrate irlandese che ogni tre mesi pubblica sul suo sito l'elenco degli elusori e degli evasori. Pochi sono i nomi stranieri nella lista. La maggior parte è composta da irlandesi doc.
Eccoli i due volti dell'Irlanda: nessuna pietà nei confronti dei piccoli contribuenti e massima indulgenza verso le grandi multinazionali. Inferno e paradiso sono le facce della stessa medaglia del paese finito nel 2018 sotto la lente della Commissione europea per la sua politica fiscale che penalizza la libera concorrenza e il libero mercato all'interno della Ue.
Massima trasparenza
La situazione è paradossale. Da circa tre anni il governo di Dublino pubblica nel sito dell'Agenzia delle entrate la lista dei contribuenti inadempienti nei confronti del fisco. Una sorta di “libro nero” in cui i cittadini sprofondano nella vergogna.
In questo triennio la lista delle persone fisiche e giuridiche diffuse ai quattro venti comprende 2.292 soggetti per una cifra che supera 112 milioni di euro di tasse, interessi e sanzioni.
Due elenchi diversi
La maggior parte dei contribuenti riportati nelle liste (1.719 nominativi) sono soggetti ai quali i tribunali hanno comminato pene o inflitto ammende o addirittura la prigione per reati fiscali. I loro nomi vengono pubblicamente resi noti anche se l’ammenda da pagare è di “soli” 1.250 euro
Il secondo elenco (573) comprende invece i contribuenti per i quali l'erario ha accettato un accordo anziché iniziare un processo. Questi ultimi hanno concordato di versare complessivamente una cifra superiore a 103,6 milioni di euro. In questo caso l’entità di interessi e ammende da versare oltre alle imposte non pagate sono singolarmente più alti rispetto ai contribuenti della prima lista.
Negli elenchi si trova di tutto: medici, professionisti, macellai, consulenti, manager, proprietari terrieri e di immobili, commercianti d'oro, titolari di esercizi commerciali, architetti, centri benessere, elettricisti, idraulici, bed & breakfast, venditori di auto e pneumatici, installatori di porte e finestre, parrucchieri e perfino allevatori di cavalli da corsa.
L’altra faccia della medaglia
Questa massima trasparenza - inimmaginabile in Italia per i soliti problemi di legge sulla privacy - stride però con l'estrema riservatezza, ai limiti della segretezza, che l'Irlanda concede alle grandi multinazionali arrivate in massa negli ultimi decenni attratte anche dalle imposte sulle società fissate dal 2003 al 12,5% per tutti. In questi quasi nulla trapela al pubblico.
«Al di là dell'accordo fiscale tra Apple e il governo irlandese, venuto alla luce grazie alle investigazioni dell'Unione europea - spiega Michael McCarthy Flynn, policy coordinator dell'organizzazione non governativa Oxfam in Irlanda - non si sa se esistano altri tax ruling sottoscritti con altre multinazionali».
Le denunce dei cittadini
Carta canta, invece, per i piccoli contribuenti. Gli irlandesi, infatti, possono non soltanto conoscere i nomi degli evasori attraverso il sito dell'Agenzia delle entrate ma anche denunciare loro stessi possibili casi evasione fiscale di cui vengono a conoscenza.
Hanno a disposizione tre strumenti: un modulo da compilare via internet sullo stesso sito dell'agenzia, al quale possono anche essere allegati dei documenti, per telefono o via email.
Per denunciare un evasore basta un telefonino. Magari un iPhone della Apple, dopo aver cercato il sito dell'Agenzia delle Entrate con Google e aver condiviso l'informazione via Facebook o Twitter. Guarda caso le stesse web companies che proliferano e si arricchiscono indisturbate in Irlanda, nel triangolo Dublino-Cork-Galway.
Il chilometro dell'hi-tech
Basta mettersi al centro della Gran Canal Square, la piazza che domina la vecchia zona portuale di Dublino ormai consacrata agli uffici e ai centri commerciali, e girare lo sguardo. In poco più di un chilometro quadrato sono racchiuse le sedi di molte tra i principali colossi mondiali del web.
Una presenza che cresce giorno dopo giorno come anche l'occhio può notare guardando lo skyline della città e le decine di gru all'opera.
Dando le spalle al Grand Canal, di fronte c'è Facebook, a destra Airbnb e dall'altro lato in rapida successione Google, Twitter e Amazon. Poco più lontano c'è LinkedIn. Solo Apple ha scelto Cork, città di 120mila abitanti nel sud-ovest del paese per installare il suo quartier generale europeo, mentre Microsoft e eBay si sono insediati nella periferia di Dublino.
Una calamita per le imprese
Non si spiega solo con l'aliquota fissa al 12,5% il motivo per il quale l'Irlanda è così attrattiva nei confronti delle imprese. Quello che ha portato all'arrivo delle web company è stato un cammino lungo, iniziato nel 1958 con l'arrivo a Dublino della Leo Pharma, multinazionale danese nel settore dermatologico.
Poi, nel 1989, esattamente 30 anni fa, ecco l'arrivo della prima società tecnologia americana. A Leixlip, 20 chilometri dal centro di Dublino, si è insediata Intel, che da allora ha investito 15 miliardi di dollari per creare il più avanzato campus industriale del settore in Europa, con 4.900 dipendenti.
Il 51° Stato degli Usa
Da allora è stato un crescendo e sempre più c'è chi sostiene che l'Irlanda, al pari di Porto Rico, sia il 51° Stato degli Usa. Il cordone ombelicale che lega i due lembi dell'oceano è talmente stretto che tra le prime 100 imprese a stelle e strisce sono numerosi i cognomi irlandesi presenti nei consigli di amministrazione. E si moltiplicano gli studi di consulenza legale e fiscale che hanno una sede in Irlanda e un piede nella Silicon Valley.
«La gente pensa che lo sviluppo di questo paese sia un fenomeno di breve termine, invece è stato una decisione strategica presa 50-60 anni fa - racconta Furio Pietribiasi, presidente della Camera di commercio italo-irlandese e managing director di Mediolanum in Irlanda - quando l'Irlanda era allo sfacelo, con una disoccupazione alta e un'emigrazione costante.
I vantaggi dei trattati internazionali
I primi a capire le potenzialità del paese furono - a parte gli inglesi - gli americani che cercavano un porto sicuro in Europa da cui partire per raggiungere gli altri mercati».
Decisiva per la presenza degli americani è anche la quantità di trattati bilaterali contro la doppia imposizione firmati tra l'Irlanda e gli altri paesi, «perché è importante - sottolinea ancora Pietribiasi - avere regole certe quando si esporta e ci si internazionalizza».
«Finora l'Irlanda - spiega Paolo Ruggiero, dottore commercialista preso lo studio Led Taxand di Milano - ha sottoscritto 74 trattati bilaterali contro la doppia imposizione, di cui 73 sono stati già ratificati».
Camion e gru a Barrow Street
Barrow Street, la via dove sorge il maestoso edificio di Google, è un cantiere a cielo aperto. Il colosso di Mountain View sta ampliando con nuovi palazzi la sua sede. Un viavai di camion e di operai rende ancora più intasato il traffico cittadino. Le gru sovrastano le torri vicine.
Google è una potenza in continua crescita. A Dublino occupa ottomila dipendenti, quasi il 10% della forza lavoro complessiva a livello mondiale. Da Barrow Street passava lo schema di ottimizzazione fiscale che ha consentito al gruppo statunitense di ridurre drasticamente le tasse a livello mondiale.
Un'elusione che è costata 965 milioni di euro in Francia in seguito alla transazione concordata con il fisco di Parigi a settembre 2019 e 306 milioni patteggiati con il Fisco italiano a maggio 2017. Briciole, però, in confronto agli utili mondiali del gruppo parcheggiati nelle isole Bermuda.
AAA abitazioni cercansi
Google è talmente potente in Irlanda da riuscire persino a dettare l'agenza politica e sociale del paese. Per esempio nel settore immobiliare, punto dolente dell'economia irlandese perché l'arrivo dei colossi del web con migliaia di lavoratori specializzati ha messo in tensione il mercato abitativo e non solo, perché il costo della vita è lievitato sensibilmente.
A Dublino i prezzi aumentano, spinti anche dai salari di Google, visto che la media retributiva dei dipendenti viaggia intorno ai 100mila euro all'anno, e c'è ormai penuria di abitazioni.
A tal punto che il Ceo di Google, Sundar Pichai, ha proposto al governo di Dublino di costruire entro due anni abitazioni per i dipendenti come hanno già fatto a San Francisco investendo un miliardo di dollari.
L'intervista del 20 settembre sull'Irish Independent ha aperto un intenso dibattito nel paese e messo a nudo le carenze della politica.
Dublino scoppia ma il Governo negli ultimi anni ha comunque cercato di spingere l'acceleratore sulla decentralizzazione delle multinazionali. A Cork e a Galway, sulla costa occidentale dell'Irlanda, si sono sviluppati negli ultimi anni due distretti hi-tech con l'obiettivo di diversificare territorialmente lo sviluppo e decongestionare Dublino.
Cork, l'epicentro
A tre ore di macchina dalla capitale, in direzione sud, Cork è forse la tessera più importante del puzzle che può aiutare a comprendere perché l'Irlanda sia così attrattiva per le multinazionali.
Per arrivarci bisogna attraversare la compagna profonda dell'Irlanda, in un susseguirsi di prati, greggi di pecore e mucche su strade che seguono il saliscendi del terreno.
Cork è l'epicentro di uno scontro mai visto tra l'Unione europea e il governo di Dublino. Un conflitto che esemplifica bene il concetto espresso dal presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, il 7 settembre sull'esistenza di squilibri fiscali non più sostenibili all'interno della Ue.
Il paradosso fiscale
L'Europa assiste basita a un paradosso. La Commissione europea ha intimato all'Irlanda di riscuotere da Apple 14,3 miliardi di euro di tasse non pagate ma il governo di Dublino si rifiuta di prendere questi soldi. Perché?
Sembrerebbe una decisione senza senso rinunciare a una somma che è pari al Prodotto interno lordo annuale di un paese come l'Albania.
Invece no, perché se l'Irlanda accettasse di riscuotere questi soldi rischierebbe di crollare il castello costruito negli ultimi decenni sulle fondamenta delle multinazionali. I colossi stranieri potrebbero ritenere non più attrattivo fiscalmente il paese e dunque altre destinazioni. Magari il vicino Regno Unito in preda alla Brexit.
Nel 2014, ad esempio, grazie a un accordo riservato con il governo irlandese, Apple ha pagato lo 0,005% di tasse. Cosa c'è di più attrattivo di una percentuale più bassa di un prefisso telefonico visto che in altri paesi, come per esempio l'Italia, la tassazione media per le imprese viaggia intorno al 25% senza contare altre imposte e tributi locali?
Il polo farmaceutico
La risposta è a 200 chilometri a nord di Cork, nella cittadina di Galway, 80mila abitanti e un'università all'avanguardia soprattutto nella ricerca farmaceutico-sanitaria.
Qui sorge un vero e proprio polo industriale e di ricerca che conta oltre 10mila occupati in oltre 20 società del settore. Tre delle prime 15 società al mondo hanno a Galway la propria sede. Come ad esempio la Boston Scientific.
Insieme alle società biofarmaceutiche nei diversi parchi scientifici sparsi attorno alla città sono numerose anche le start up tecnologiche, nate anche in collaborazione con l'università. Qui tocchi con mano come può funzionare in modo efficiente il rapporto di collaborazione tra settore pubblico e privato.
L’attrazione degli investimenti
Un ruolo importante per lo sviluppo del paese lo gioca l'Ida, l'agenzia irlandese per l'attrazione degli investimenti esteri, che ha aiutato 1.444 imprese con 229mila dipendenti a insediarsi nell'isola. Di queste, oltre la metà (766) sono statunitensi, seguite dalle società del Regno Unito (120), della Germania (99) e della Francia (63). L'Italia è presente con 29 società che occupano complessivamente 1.600 persone.
Tommy Fanning, capo del settore biofarmaceutico e food di Ida Ireland spiega quali sono gli strumenti che l'agenzia governativa mette a disposizione degli investitori: «Al primo posto ci sono le competenze che siamo in grado di sviluppare grazie alla presenza di un ecosistema favorevole. Ne sono testimonianza i settori biofarmaceutico e medico che si sono ingranditi un po' in tutto il paese e che qui trovano personale altamente formato».
L’impatto sull'economia
Altro fattore importante è la ricerca di alto livello «che non può essere fatta in Italia o negli Stati Uniti ma qui è possibile portare avanti», aggiunge Fanning. C'è poi la multiculturalità: un dipendente su due non è irlandese. E infine l'aspetto fiscale con un'aliquota societaria tra le più basse in Europa.
L'impatto sull'economia irlandese da parte delle multinazionali sostenute dall'Ida è visibile nelle cifre. Nel 2017 queste società hanno speso 19,2 miliardi di euro nel paese, il 7% in più rispetto al 2016. La maggior parte di soldi è servita per pagare gli stipendi dei dipendenti (11,7% miliardi di euro), per pagare le forniture di materiali da altre aziende irlandesi (2,4 miliardi) e per pagare servizi di altre imprese dell'isola (5,1 miliardi).
Gli investimenti fantasma
L'altra faccia della medaglia è il fenomeno che il Fondo monetario internazionale definisce degli “investimenti fantasma”, cioé quei flussi finanziari internazionali tra società appartenenti alla stessa multinazionale, che vengono comunemente usati per ridurre le imposte sulla società. Molti di questi investimenti passano quindi attraverso scatole vuote.
La cifra degli “investimenti fantasma” ha raggiunto nel mondo l'astronomica cifra di 15 trilioni di dollari, quanto il Pil di Cina e Germania messe insieme. L'Irlanda è uno dei maggiori destinatari di questi investimenti che sono stati calcolati in 498 miliardi di euro dal giornale irlandese Independent.
Le conseguenze del regime fiscale
«Non è all'aliquota fissa del 12,5% che bisogna guardare - afferma McCarthy Flynn di Oxfam Ireland - ma al regime fiscale complessivo che, grazie anche ai trattati internazionali sulla doppia imposizione, fa sì che si realizzi l'elusione fiscale da parte delle multinazionali. In tutto il mondo, proprio a causa dell’elusione, i paesi in via di sviluppo perdono complessivamente circa 100 miliardi di dollari di introiti fiscali».
Questa somma sarebbe sufficiente per pagare l'istruzione dei 124 milioni di bambini che attualmente non frequentano la scuola in questi paesi e per pagare gli interventi sanitari che potrebbero salvare la vita di quattro milioni di ragazzi.
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Riceviamo da Amazon e pubblichiamo:
«Amazon precisa che è totalmente estranea all'argomento di questo servizio focalizzato sull'elusione fiscale e sugli accordi siglati da altre “multinazionali del web” in Irlanda, in quanto è presente in questo Paese solo con centri di sviluppo e customer service. Infatti, Amazon registra tutti i ricavi, le spese, i profitti e le imposte dovute per le vendite al dettaglio dal 2015 nei Paesi in cui opera, rispettivamente in Italia, Spagna, Francia, Germania e Gran Bretagna».
Ringraziamo Amazon per le precisazioni, di cui prendiamo atto, visto che l'inchiesta “Fiume di denaro” ha ad oggetto la questione fiscale irlandese, messa sotto la lente nel 2018 dalla Commissione europea.
Amazon precisa che registra i suoi ricavi, le spese, i profitti e le imposte dovute per le vendite al dettaglio dal 2015 in altri Paesi europei in cui opera, avendo la sede centrale in Lussemburgo, dunque è estranea all'oggetto dell' inchiesta, né dall'articolo si desume qualcosa di diverso.
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