Irma Testa: «Una noce sola nel sacco non fa rumore. Serve la squadra anche nelle vittorie personali»
Dall’infanzia a Torre Annunziata alla medaglia olimpica a Tokyo la campionessa del mondo di pugilato pesi piuma si racconta e guarda al futuro.
di Monica D'Ascenzo
7' di lettura
Torre Annunziata, rione Provolera. Se non si è mai stati lì, basta inserire il nome in un motore di ricerca e leggere i primi dieci titoli di articoli (“Un nuovo crollo alla Provolera”, “Sgominata piazza di spaccio alla Provolera”, “Blitz contro i simboli della prepotenza”) , per farsi un’idea. Non si può non partire da lì per capire come Irma Testa, classe 1997, campionessa del mondo di pugilato 2023 nei pesi piuma, sia un fiore straordinario, tenace e colorato nato fra le macerie.
La scoperta del pugilato
«Sono nata e cresciuta a Torre Annunziata nel quartiere Provolera, seconda di quattro figli. Da piccolina ero la pecora nera della famiglia, perché gli altri erano tranquilli, io no. Mia mamma Anna ha sempre lavorato tanto, tornava a casa quando noi già dormivamo e quindi siamo cresciuti con i nonni. Ma mia mamma si è sempre preoccupata che facessimo i compiti e che studiassimo e ci ha insegnato a stare lontani da persone che nel nostro quartiere conoscevamo bene. I miei fratelli ed io abbiamo sempre apprezzato i suoi sacrifici e a modo nostro cercavamo di darle qualche soddisfazione stando lontano dai problemi» racconta l’atleta seduta a gambe incrociate sul divano della sua nuova casa con Tokyo, il suo nuovo cane, che le scodinzola intorno. Il nome è stato scelto in onore delle ultime Olimpiadi: dal Giappone Irma Testa è tornata con la medaglia di bronzo, la prima nella storia del pugilato femminile italiano nel torneo iridato.
I suoi primati
Non era la prima volta, per altro, che l’atleta campana, soprannominata Butterfly per la leggiadria dei suoi movimenti, faceva segnare un primato: a Rio nel 2016 è stata la prima pugile italiana ad andare alle Olimpiadi. Il suo palmares conta poi nel 2019 il titolo di campionessa europea nella categoria dei pesi piuma. Sembrano lontanissimi i tempi dei primi guantoni: «Da piccola non ero molto sportiva, ho iniziato a otto anni e le ho provate tutte. In più non mi è mai piaciuta la scuola. A dodici anni sono entrata in palestra perché spinta da mia sorella Lucia e non ho più smesso. Ero una bambina iperattiva e terribile, ma dopo gli allenamenti ero distrutta e mi spegnevo. Allora sentivo una gran pace interiore, un rilassamento fisico e mentale che mi piaceva. Tornavo in palestra più per la sensazione che sentivo dopo che per gli allenamenti in sé».
Il primo incontro arriva a quattordici anni, Irma vince per KO e spacca il naso all’avversaria. In breve viene iscritta ai campionati italiani, che ha vinto con grande facilità, e da lì agli Europei il passo è stato breve. A volerla era l’allenatore della Nazionale, a convincere la madre fu Lucio Zurlo, il maestro che l’aveva formata e che è rimasto il suo punto di riferimento: «Avevo solo quattordici anni, ma mia madre si è sempre fidata del maestro Lucio e vedeva in lui una persona che aveva trasformato sua figlia in una persona serena. Bastarono quindi poche parole. Lucio le disse che “la nazionale è un treno che nella vita passa una volta”. Andai all’Europeo e tornai con la mia prima medaglia di bronzo».
L’approdo in azzurro
L’allenatore della Nazionale cambia, ma arriva la conferma per Irma Testa in azzurro. Così a 14 anni lascia il rione Provolera e va a vivere da sola ad Assisi in un hotel, nella parte affittata dalla Federazione. Se Lucio Zurlo è stato colui che le ha insegnava il rispetto delle regole, la gentilezza e «tutti gli insegnamenti che hanno formato la donna che sono oggi», negli anni della formazione Irma Testa incontra un’altra persona chiave, il secondo allenatore Emanuele Rendini. «È stato tutto: il mio miglior amico, mia madre, mio padre. Quando sei piccola e vivi lontano da casa hai bisogno di un punto di riferimento e lui è diventato per me più di un padre, perché con lui ho vissuto tutti i dubbi e condiviso le mie prime volte adolescenziali. Allora tornavo a casa solo per le feste o quando finivo un campionato lungo o una preparazione lunga. Per il resto vivevo da sola».
Sono anche gli anni dei pregiudizi e della diffidenza nei confronti delle donne pugili. «All’inizio ho dovuto affrontare molti pregiudizi perché eravamo pochissime ragazze, ma con gli anni in Italia il pugilato femminile è cresciuto. Certo all’inizio non si dava importanza alle nostre medaglie, soprattutto da parte degli appassionati storici. Ora sono anni, però, che sono le donne a portare medaglie alla Federazione italiana. Oggi siamo tantissime, i campionati italiani sono a numero chiuso e si fanno le selezioni» racconta Irma Testa, che ci tiene a precisare: «Io salivo sul ring e vincevo e quella era la mia risposta ai pregiudizi».
La passione per lo studio
Nella crescita personale la scuola ha avuto un ruolo di secondo piano per Irma Testa, ma non si può dire altrettanto per lo studio individuale: «Penso che la scuola ancora oggi sia un ascensore sociale e se tornassi indietro finirei il percorso di studi. In questi anni mi sono confrontata con tante persone e a volte mi sono sentita in imbarazzo e tornavo a casa e studiavo per poter dire la mia su argomenti che non conoscevo. Voglio sapere sempre di più e studio di tutto: ho letto tanto di politica, ad esempio, perché voglio sapere di cosa si parla. Qualunque cosa sento che non capisco, la studio: dalla storia, alla geografia, all’inglese. E sono certa che anche a 80 anni continuerò a stare sui libri».
Le battaglie per i diritti
Una volontà di conoscenza, che si unisce alla consapevolezza di voler essere parte attiva della società in cui vive: «Mi interessa la politica perché dipendiamo dalle scelte che si fanno in Parlamento. Puoi anche essere una rivoluzionaria, ma devi conoscere per poter lottare per un diritto o per qualcosa che reputi giusto. Ho sempre pensato che l'Italia sia molto avanti rispetto a tanti altri Paesi in termini di diritti, ma abbiamo ancora molta strada da fare rispetto alle eccellenze più emancipate a livello internazionali. Rispetto a quello che è stato conquistato in passato, sono anni che siamo fermi, che non ci sono progressi. È come se ci accontentassimo dello standard raggiunto».
Soprattutto negli Stati Uniti la spinta alla lotta per i diritti viene forte anche dal mondo sportivo, con grandi campioni che sposano cause e battaglie. In Italia capita più raramente: «Come sportivi potremmo essere di aiuto e supporto a tanti ragazzi che vivono in realtà meno facili. Invece siamo un circuito blindato, siamo chiusi fra di noi ed è come se tra noi certe cose non esistessero. Eppure in realtà siamo come una quinta C di una scuola qualunque italiana, siamo lo specchio della società e viviamo le stesse diversità che ci sono in qualsiasi altro ambiente».
E Irma Testa ha voluto affermare la propria diversità: dopo le ultime Olimpiadi ha voluto raccontare qualcosa di sé, dichiarando che le piacciono le donne. «Nello sport viene vista ancora come una macchia nera. Nel mio equilibrio nel dichiararlo mi ha aiutato la medaglia delle Olimpiadi. L’ho usata come scudo. Nessuno poteva dire nulla su Irma atleta e gli attacchi personali non potevano ledere la mia professionalità».
Curare il benessere mentale
L’equilibrio che si impara nella boxe non è solo quello del gioco di gambe, è soprattutto quello mentale. «La cosa più grande che mi ha dato il pugilato è proprio la calma. Ho un equilibrio tutto mio di cui vado fiera. Resto sempre tranquilla, ho tutto organizzato nella mia testa. Il pugilato è uno sport individuale quindi si sta da soli con se stessi a superare i propri limiti, gli insuccessi. Picchiando il sacco, picchio i miei problemi».
Un percorso che non si fa totalmente da soli, perché Irma Testa riconosce quanto sia importante «affidarsi a professionisti che possano allenarci la mente e aiutarci a proteggerci. Gli aiuti non mancano sia a livello di Federazione sia di Coni. La parte difficile è chiedere aiuto. Deve partire da noi e l’inizio è la parte più difficile». Ma imprescindibile, soprattutto se sei guarda ai passi indietro fatti dalla ginnasta americana Simone Biles e dalla tennista giapponese Naomi Ōsaka. Due atlete all’apice che hanno scelto di rinunciare allo sport per la propria salute mentale.
«La medaglia d’oro in tasca non vale così tanto da rinunciare alla propria sanità mentale. C’è troppa pressione per il risultato: ci viene richiesto di eccellere e di fare la differenza. In università piuttosto che puntare a un 30 bisognerebbe puntare a un 23 e dedicarci a noi stessi. Perché non si può vivere per l'università, perché poi una volta finita sarà sostituita dal lavoro e vivrai per quello» sottolinea l’atleta, che aggiunge: «Il pugilato è tutta la mia vita, ma sono capace di dedicare il mio tempo libero a me stessa, allo studio, agli amici. Non è il pugilato ad attirarmi a sé, ma sono io che vado verso il pugilato ed è giusto farlo finché ti fa bene. Starò sul ring fino a quando me la sentirò, ma bisogna considerare anche i 170 match che ho fatto: sono migliaia di cazzotti in faccia, che tu sia bravissima o no. Con il tempo ho elabora il rifiuto al pugno che mi arriva in faccia» ammette Irma Testa.
Il dopo carriera
«Come atleti siamo molto fortunati perché facciamo la cosa che amiamo ed è il nostro lavoro, siamo seguiti e c’è uno staff che ci supporta. Se tu realizzi solo alla fine che tutto questo può avere un termine, rischi il baratro. Io ho altri obiettivi dopo lo sport e ho altri stimoli per costruire la mia vita fuori dallo sport. Tutti dovremmo fare la nostra parte per quel possiamo nel nostro Paese, tutti dovremmo contribuire per le battaglie che riteniamo importanti. E io farò la mia parte, perché se affidiamo a pochi eletti il potenziale di cambiamento, quelle persone non riusciranno a realizzarlo. ‘Na noce into o sacco non fa rummore».
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