Internet under 14

Iscrizione dei ragazzi ai social: i controlli sul limite di età sono solo sulla carta

Per chi ha meno di 14 anni necessario il sì dei genitori ma è facile mentire sulle date

di Marisa Marraffino

Save the Children lancia l'allarme su minori e internet

3' di lettura

In Italia l’età minima per iscriversi a un social network è stata fissata a 14 anni. Lo prevede l’articolo 2-quinquies del decreto legislativo 101 del 2018, che ha recepito nel nostro Paese il regolamento Ue sulla tutela dei dati personali, il cosiddetto Gdpr, al quale fanno riferimento le condizioni di utilizzo dei principali social network.
Per chi ha meno di 14 anni è consentita comunque l’iscrizione, ma a condizione che ci sia il consenso dei genitori. Il regolamento europeo prevedeva che la soglia minima fosse di 16 anni, con la possibilità per gli Stati membri di stabilire per legge un’età diversa, purché non inferiore ai 13 anni. Per questo motivo l’età minima può variare, ma non deve scendere mai sotto ai 13 anni.

Senza controllo

L’articolo 8 del Gdpr ha previsto anche che le piattaforme debbano adoperarsi «in ogni modo ragionevole» per verificare che i genitori abbiano prestato il proprio consenso nei casi di iscrizione di bambini di età inferiore ai 13 anni, utilizzando tutte le «tecnologie disponibili», ad esempio gli algoritmi.

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Il vero problema è che non ci sono controlli e che negli anni la disposizione è rimasta sostanzialmente inapplicata. I minorenni possono mentire sull’età, semplicemente indicando all’atto di iscrizione al social una data di nascita diversa. Nessuna legge impone sanzioni in caso di menzogna. Se vengono commessi degli illeciti, le conseguenze possono essere di tipo civilistico e ricadono sui genitori per culpa in educando, ex articolo 2048 del Codice civile, per non aver controllato sull’uso dei social network da parte dei figli di età inferiore ai 14 anni. Da questa età in su i minorenni possono essere imputabili e rispondono in proprio dei reati commessi, mentre i genitori continuano a risponderne in sede civile.

Porte aperte a tutti

Senza controlli l’equazione è semplice e addirittura scontata: l’età media di chi si iscrive ai social network, anche all’insaputa dei propri genitori, è sempre più bassa, con conseguenze evidenti. Così le challenge online in tutto il mondo coinvolgono sempre più spesso bambini, come è successo nel caso di Palermo, dove la vittima aveva appena 10 anni. Per questo si era pensato di rafforzare le barriere diprotezione introducendo Spid come chiave di accesso ai social da parte dei minori (si veda l’articolo a fianco).

Giochi mortali

Di giochi mortali è pieno il web così come di contatti pericolosi che possono innescare comportamenti autolesionisti. La giurisprudenza finora non ha mai ritenuto configurabile in questi casi il reato di istigazione al suicidio, previsto dall’articolo 580 del Codice penale.

In un processo nato nell’ambito della cosiddetta Blue whale challenge, i giudici hanno assolto gli autori della sfida che avevano mandato ripetuti messaggi, anche audio, alla vittima invitandola a togliersi la vita, in quanto la minore non aveva tentato il suicidio e si era procurata delle lesioni non gravi. (Cassazione penale, Sezione V, sentenza del 23 novembre 2017 n. 57503).

Da ultimo, però, il tribunale di Milano con una sentenza del 19 maggio scorso ha ritenuto configurabili in un caso simile i reati di atti persecutori e violenza privata. Per i giudici, però, in genere chi pubblica le sfide online non vuole sempre la morte dei partecipanti, tanto da inserire anche delle specifiche avvertenze di rischio, come è accaduto nel caso di un ragazzo morto suicida a Milano dopo aver visto un video su YouTube denominato “sfida del blackout”. Per il gip non sussiste responsabilità neppure per omicidio colposo in quanto chi carica i video avvisa gli utenti di non imitare quelle condotte (decreto di archiviazione del 21 marzo 2021).

La responsabilità dei gestori

Discorso diverso per la responsabilità delle piattaforme, che non rispondono penalmente dei fatti commessi dagli utenti né hanno un obbligo di filtraggio preventivo. L’articolo 17 del Dlgs 70 del 2003 prevede tuttavia che la piattaforma debba attivarsi quando viene segnalato un contenuto illecito e informarne tempestivamente l’autorità giudiziaria.

La responsabilità in caso di omissione è di tipo civilistico: il social network può essere condannato a pagare un indennizzo alla vittima per ogni giorno di ritardo nella cancellazione del contenuto (tribunale di Napoli Nord, sezione II, ordinanza del 3 novembre 2016 nel procedimento n. 9799).

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