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Israele, appello di Netanyahu: governo di unità nazionale

Il premier uscente tende la mano al rivale centrista Benny Gantz per un «governo di unità nazionale». La replica è lapidaria: abbiamo vinto le elezioni, guideremo noi le trattative

di Roberto Bongiorni

Israele, Netanyahu sconfitto ma e' rebus governo

3' di lettura

Con un tono insolitamente amichevole, il primo a prendere l’iniziativa è stato Benjamin Netanyahu, il premier israeliano uscente. «Benny, oggi dobbiamo creare un Governo di unità. La gente si aspetta da noi che mostriamo senso di responsabilità e voglia di lavorare insieme. E per questo che ti chiamo, Benny. Incontriamoci oggi, a qualsiasi ora per far partire questo progetto».

Benny Gantz, il leader del partito di centro Blu e Bianco, contro cui Netanyahu aveva finora utilizzato toni tutt’altro che amichevoli, non si è nemmeno degnato di chiamare Bibi per nome, o per cognome. «Noi guideremo un Governo di unità allargato e liberale, presieduto da me. Blu e Bianco ha vinto le elezioni e guiderà le trattative», ha tagliato corto.

La delusione di Netanyahu
Dopo essersi detto «sorpreso e deluso» Netanyahu ha precisato di voler realizzare quanto ha sollecitato il capo dello Stato. Lo scambio di battute somiglia quasi a un siparietto tra due consumati attori della scena. Ma la questione è seria. Perché, mai come in questo drammatico momento per il Medio Oriente, con la Siria ancora in fiamme e i gravi attentati nel golfo Persico, Israele ha bisogno di un Governo compatto, rapido nell’assumere decisioni anche molto difficili qualora le circostanze lo richiedano.

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Anche in queste elezioni, le seconde in cinque mesi, nessun partito è riuscito ad avere una coalizione di maggioranza (almeno 61 dei 120 seggi del Parlamento). Il Partito Blu e Bianco ha però guadagnato due seggi in più del Partito conservatore Likud (in aprile ne avevano ottenuti 35 ciascuno ma l’incarico esplorativo era stato affidato a Bibi). Gantz è fiducioso di ottenere dal presidente della Repubblica l’incarico di formare un Governo.

Netanyahu non vuole essere escluso. Ha anche richiamato quell’anomalo esperimento “di rotazione” degli anni 80. Quando l’allora primo ministro Shimon Peres, leader laburista, e Yitzhak Shamir, leader del Likud, si accordano per alternarsi alla testa del Governo dal 1984 al 1988.

L’obiettivo di «Bibi»: restare nel governo a tutti i costi
Netanyahu vuole restare nel Governo, a tutti i costi, e possibilmente guidarlo per i primi due anni. Sa bene che solo così potrebbe garantirsi un’immunità contro la probabile incriminazione per tre casi di corruzione che il procuratore Avichai Mandelblit vuole finalizzare entro fine anno.

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Bibi è in difficoltà. Una bacchettata gli è arrivata anche dal suo ex amico Avigdor Lieberman, il leader del partito Yisraeli Beitenu (che ha raddoppiato i seggi arrivando a nove) e che si appresta a divenire l’ago della bilancia della politica israeliana. L’ultranazionalista laico che ha aperto la crisi di Governo a fine 2018 e ha ritirato il suo sostegno a Netanyahu, privandolo della maggioranza lo scorso maggio, dopo il voto di aprile, è stato chiaro con Bibi: «È il caso di smetterla con gli espedienti politici ed i trucchetti. Vediamo di sederci assieme tu, Gantz e io e di formare un governo nazionale liberale esteso».

L’ostacolo Lieberman
Ma il programma di Lieberman è visto come il fumo negli occhi dai partiti di destra ultra ortodossi che appoggiano Netanyahu, e di cui lui stesso non vorrebbe privarsi. D’altronde come un ebreo ultra-ortodosso potrebbe accettare di vedere il sacro Shabbat divenire giorno lavorativo, i matrimoni celebrati con riti civili e gli studenti delle yeshiva costretti a servire nell’esercito, come tutti gli altri israeliani?

Tutto molto improbabile. Se non è la fine della lunga era Netanyahu, quella di oggi somiglia comunque all’inizio della fine. Ma mai prendere sotto gamba “Bibi il Mago”. Il suo disegno potrebbe anche essere un altro. Voler andare alle elezioni dopo aver dimostrato agli israeliani che lui ha provato di tutto per evitarle.

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