Israele, tutti uniti contro Netanyahu. Ma sarà la fine di «Re Bibi»?
L’unico collante di una coalizione che aggrega chiunque, dai partiti arabi agli ultra-sionisti, è il desiderio di estromettere il premier più longevo della storia nazionale. Non è chiaro quanto possa durare
di Roberto Bongiorni
I punti chiave
3' di lettura
Quando l'unico collante che tiene unito un Governo quanto mai eterogeneo è la volontà di estromettere, una volta per tutte, l'uomo al potere ininterrottamente da 12 anni, tanto da meritarsi l'appellativo di Re Bibi, viene da pensare che la vita di questo nuovo Esecutivo potrebbe non essere lunga.
Eppure domenica sera la Knesset, il Parlamento di Gerusalemme, è riuscita ad approvare la fiducia, anche se per un soffio, al più improbabile dei Governi mai esistiti nella storia di Israele, in cui compaiono partiti arabi accanto a chi non intende riconoscere uno Stato ai palestinesi e vorrebbe annettere addirittura pare della Cisgiordania e costruire nuovi insediamenti. In cui figurano partiti molto più a destra del Likud, il partito conservatore del Paese guidato da Benjamin Netanyahu, e forze di sinistra come Meeretz , che al Governo non compariva da 20 anni.
Il risultato della votazione la dice lunga sulla solidità di questo Esecutivo arcobaleno: 60 favorevoli (avrebbero dovuto essere 61) e 59 contrari.
Netanyahu fuori. Ma è davvero la sua fine?
Ma l'obiettivo è stato centrato. Estromettere, almeno temporaneamente, Benjamin Netanyahu, il premier più longevo che la democrazia israeliana abbia mai avuto.
È davvero la fine di re Bibi? Quindici anni al governo, di cui 12 consecutivi (dal 2009 a oggi, e un'esperienza dal 1996 al 1999 ) non sono pochi. Chi ha dato per sconfitto il premier dalle sette vite, anche quando la sua parabola sembrava volgere la termine, ne ha pagato le conseguenze. Perché nonostante sia sotto processo per tre casi di corruzione, Netanyahu è pronto a risorgere dalle ceneri di questo Esecutivo. Ad imporre la sua forza politica, la sua capacità di recuperare consensi.
Ancora oggi la legge gli permette di ricoprire la carica di primo ministro finchè la sentenza non sarà passata in giudicato. Tuttavia, più andrà avanti il processo a suo carico, più inciderà, negativamente, sulla sua immagine.
Ma attenzione. Israele sta vivendo un periodo eccezionale, in cui pericolose insidie rischiano di arrecare gravi danni al Paese; dalla pandemia, con le sue potenziali e pericolose varianti, al rilancio dell'economia, fino alla minaccia iraniana. Con l'Iran ormai capace di arricchire l'uranio al 60%, obiettivo annunciato lunedì dal presidente Hassan Rouhani, il passo per arrivare a quella gradazione del 95%, necessaria per fabbricare un ordigno atomico, è piuttosto breve, sicuramente rispetto al passato. Per Israele la linea rossa è stata superata da tempo.
Cosa aspettarsi dal «governo arcobaleno»
Ma cosa sarà davvero in grado di fare questo Governo arcobaleno, in cui figurano ben 27 ministri, e che abbraccia l'intero arco costituzionale israeliano?
Giusto per fare i nomi, vi sono il partito Yamina, fondato da Naftali Bennet, che sarà il primo ministro a rotazione; gli altri partiti di destra, come Israel Beitenu del falco russo di tendenze laiche Avigdor Lieberman; Nuova Speranza di Gideon Saar, fuoriuscito pochi mesi fa dal Likud. Partiti decisamente più intransigenti di Netanyahu, quando il discorso verte sul processo di pace con i palestinesi e visti da molti arabi come il fumo negli occhi.
Il centro è invece rappresentato dai partiti Yesh Atid di Yair Lapid – il direttore d'orchestra di questo Esecutivo ed il prossimo premier a rotazione - di Blu e Bianco di Benny Gantz che pur cambiando Governo è rimasto ministro della Sicurezza. Per finire con la sinistra progressista: ovvero i Laburisti e Meretz. E soprattutto il partito islamista conservatore Ra'am di Mansour Abbas. Questa la vera sorpresa. L'ultima volta che un partito arabo ha sostenuto in modo attivo una maggioranza di Governo risale al lontano 1977. Un primo ministro di destra, del calibro di Naftali Bennet, non lo aveva poi mai appoggiato.
La fragilità del premier
Insomma. Vedere una costola della lista araba unita, partito non certo laico, ma di ispirazione religiosa, che non vede di buon occhio l'emancipazione femminile e i diritti Lgbt, accanto a partiti sionisti che da tempo professano l'annessione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e la loro espansione, non è di buon auspicio.
Certo, Bennet, è un premier fragile. E se sarà consapevole della sua debolezza, non cercherà di affrontare di petto le questioni più controverse, ma piuttosto si concentrerà sull'economia, la cui ripresa è la priorità per tutti gli israeliani, e sulla pandemia.
Certo, la marcia organizzata dal gruppo israeliano di destra “spinta”, con tanto di bandiere, che si tiene martedì a Gerusalemme Est, potrebbe innescare tensioni con i palestinesi nella città contesa. Ed è comunque vista come una provocazione.
Insomma, in questo fragile Esecutivo arcobaleno pare che la questione palestinese sia marginale. O quanto meno non vi sia la volontà di affrontarla in modo profondo. Quel che accadrà poi, solo il tempo lo dirà.
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