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La guerra e la crisi della supply chain. E poi la frenata dell'economia cinese, lo stop a parte dell'export in Russia, l'inflazione a doppia cifra, il costo del denaro che si impenna, la moltiplicazione del prezzo del gas, arrivato in estate a livelli 20 volte superiori rispetto al 2019.
Quadro complesso – per usare un eufemismo – quello affrontato dalle imprese nel corso del 2022, filtro necessario per poter valutare in modo appropriato il bilancio finale. Magro in assoluto, guardando al debole + 0,5% che rimane in termini di produzione industriale, un mezzo miracolo, tenendo conto del contesto.
I dati Istat di dicembre sono comunque positivi, una crescita dell’1,6% rispetto al mese precedente dopo tre cali consecutivi, un debole +0,1% nel confronto con lo stesso mese del 2021 che però sale a +2% per la manifattura: dati che battono le attese degli analisti.
Se di crollo non si può evidentemente parlare, è comunque ben distante lo scatto a doppia cifra dell'anno precedente (+12,2%), quasi in grado di ricucire il gap con i livelli pre-Covid.
Slancio perso progressivamente, con sei mesi a crescita congiunturale negativa, frenata legata ad un mix di fattori soprattutto internazionali. Rialzo dei tassi da un lato e invasione dell'Ucraina dall'altro hanno creato condizioni di business meno favorevoli e aumentato l'incertezza, mentre la corsa dei prezzi dell'energia metteva a rischio più di una produzione.
A ben guardare, in effetti, tra i comparti manifatturieri più penalizzati vi sono proprio le aree in cui gas ed energia elettrica hanno un peso maggiore tra il 12 e il 18% dei costi complessivi nelle stime settoriali di Prometeia, comparti che si sono visti costretti, in particolare in estate, a ridimensionare o fermare del tutto l'attività in attesa di prezzi meno “tesi”. Molte fonderie, ad esempio, hanno anticipato le proprie ferie a luglio per evitare il picco dei listini del gas e dell'elettricità, per poi scoprire amaramente un agosto persino peggiore.
Scorrendo i dati Istat di produzione, a cedere terreno, a dicembre, così come nell’intero 2022 sono così stati ad esempio carta e legno, chimica e fertilizzanti, gomma-plastica e metallurgia.
Il quasi pareggio della media è infatti il risultato di andamenti opposti: se gli “energivori” frenano, altrove ci sono scatti decisi a doppia cifra per apparati elettrici ed elettronica, mezzi di trasporto e farmaceutica. Così come i macchinari, spinti nel 2022 ancora da aliquote 4.0 “piene”.
In generale, anche se il 2022 chiude in termini produttivi con un bilancio magro, il temuto crollo non è avvenuto e dal lato dei ricavi lo scenario è stato migliore. Dopo lo spiazzamento iniziale, il trasferimento a valle degli aumenti di energia e materie prime ha iniziato a concretizzarsi, sostenendo le entrate delle aziende: difficile, parlando con le imprese, trovare situazioni che almeno in termini di ricavi non si trovino al massimo di sempre o a ridosso di quei livelli. Ricavi aggiuntivi (164 miliardi in più tra gennaio e novembre, stimano Prometeia e IntesaSanpaolo) in gran parte assorbiti dai maggiori costi di produzione, e che tuttavia sono stati in grado di sostenere i margini complessivi delle aziende, portando ricavi reali comunque in crescita: +2,6% nelle stime Prometeia-IntesaSanpaolo, quasi +4% per le vendite in volume registrate per il campione allargato Istat.
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