il fondo salva-stati

Italia-Germania, soluzioni condivise per riformare l’euro

di Marcello Minenna*

(Marka)

5' di lettura

Ai margini della complessa discussione tra governo e Commissione Europea, pochi giorni fa l'Eurogruppo ha ripreso il progetto di riforma dell'Unione monetaria, dopo lo stallo raggiunto al summit dello scorso giugno. I risultati del negoziato vanno letti in chiaro-scuro: se da un lato sono state colmate le distanze relativamente al backstop del Meccanismo unico di risoluzione delle banche (su cui mancava effettivamente poco per un accordo), il processo di riforma del Fondo Salva-Stati ESM sembra proseguire a piccoli passi.

L'Eurogruppo ha concordato di rafforzare il ruolo dell'ESM aumentando l'efficacia degli strumenti precauzionali, una buona premessa anche se il messaggio è accompagnato da un chiaro riferimento a livelli “adeguati” di condizionalità (da leggersi: la supervisione della Troika). Il convitato di pietra all'Eurogruppo resta il principio del risk-sharing, cioè della condivisione del rischi tra Paesi core e quelli della periferia. Se in qualche maniera – finalmente – il tema di un meccanismo di stabilizzazione del PIL e dell'occupazione per Paesi in difficoltà è percolato nel comunicato ufficiale, resta il caveat della mancanza di un accordo. Inoltre il blocco ad oltranza sull'assicurazione europea dei depositi bancari è un segnale meno incoraggiante. Ancor meno lo è l'accordo sulla riforma delle clausole di azione collettiva CAC che dal 2022 dovrebbero essere modificate per rendere più agevoli le ristrutturazioni dei titoli di Stato in caso di crisi del debito sovrano.

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Occorre evitare una falsa ripartenza. In questa prospettiva bisognerebbe lavorare su soluzioni che possano rendere politicamente accettabile e finanziariamente blindata la condivisione dei rischi all'interno dell'Unione, ovviamente attraverso dei presidi che garantiscano allo stesso tempo che i rischi vengano ridotti; il percorso di integrazione non può realmente ripartire senza un concreto avvicinamento tra le parti.

Da questa premessa nasce l'idea sviluppata alcuni mesi fa con gli economisti Giovanni Dosi, Andrea Roventini e Roberto Violi, che punta ad una graduale “condivisione dei rischi” sul debito pubblico dell'Eurozona, da attuarsi su un orizzonte di 10 anni tramite una riforma mirata del Fondo ESM. In sostanza, se l'emissione di un debito condiviso (gli Eurobond) è difficile dato il contesto politico attuale, l'ipotesi di un'assicurazione comune sul debito in rifinanziamento ha sicuramente più chances. Ognuno paga da sé, come è ovvio che sia, il proprio debito ed un premio assicurativo determinato attraverso strumenti di mercato (i credit default swap o CDS) da destinare a un rafforzamento patrimoniale del fondo Salva-Stati e la garanzia interviene in caso di elevate difficoltà finanziarie non riconducibili a comportamenti opportunistici dello Stato emittente. In questa maniera lo spread (cioè il differenziale di rendimento) tra i titoli dei diversi Paesi tenderebbe a scomparire nel tempo mentre le probabilità di un “cigno nero” per l'Eurozona si ridurrebbero approssimandosi a 0. Come si vede, non servono (per lo meno nella fase iniziale) né un budget federale né tantomeno l'Unione politica. In un'ottica negoziale si può rinunciare anche al progetto di un debito unico tenendo in piedi il meccanismo di assicurazione, anche se è evidente che il nostro progetto spinge verso la direzione degli Stati Uniti dell'Eurozona nel lungo termine.

LA RIPARTIZIONE

Possibil percorso di transizione da debiti pubblici dei singoli Stati a un unico debito pubblico dell’Eurozona a rischi condivisi (Fonte: elbarazione dell’Autore su dati Eurostat)

LA RIPARTIZIONE

L'unico requisito è la volontà politica di condividere gradualmente costi (che sarebbero di mercato) e benefici, implementando de facto un minimo sistema di trasferimenti dai Paesi forti a quelli deboli che rinforzerebbe le fondamenta dell'Unione. La ricapitalizzazione dell'ESM attraverso i premi supporterebbe anche una maggiore capacità di raccolta obbligazionaria da parte del fondo funzionale ad avviare un grande piano di investimenti nell'Eurozona, in modo da creare de facto una golden rule per gli investimenti che integri costruttivamente l'algebra del Six Pack e del Fiscal Compact. La crescita indotta dai maggiori investimenti innescherebbe quel circolo virtuoso necessario quanto mai per favorire la riduzione del debito.

Tecnicamente si può fare: meccanismi di assicurazione sono stati impiegati con successo durante le passate crisi bancarie, quando le banche negli USA ed in Europa hanno approfittato delle garanzie pubbliche; peraltro ogni schema di assicurazione dei depositi bancari nazionali si basa sullo stesso principio. Inoltre il c.d. “credit enhancement” – una forma di assicurazione di titoli governativi – è stato applicato alle obbligazioni greche ristrutturate dopo l'insolvenza del 2012. Per ridurre al minimo gli inevitabili problemi di moral hazard che sono intrinseci in ogni meccanismo di assicurazione, ogni Paese dovrebbe aderire – senza riserve – ad una ferrea disciplina fiscale che ponga chiari limiti di deficit al netto dei premi di assicurazione versati, fino ad un vero e proprio pareggio di bilancio.

Ci sono ricerche confortanti sull'attuabilità di questi schemi. Recentemente il capo economista di Allianz Michael Heise ha presentato sul Financial Times una proposta di assicurazione dei debiti pubblici dell'Eurozona attraverso il Fondo Salva-Stati ESM che mostra ampie convergenze con la proposta Dosi-Minenna-Roventini-Violi. Le differenze sono nei dettagli: secondo l'economista tedesco, il premio assicurativo non dovrebbe essere determinato attraverso i CDS per via dell'alta variabilità delle stime, ma dovrebbe basarsi sul rating dell'emittente sovrano ed su una valutazione soggettiva del rispetto dei vincoli di bilancio effettuata dalle istituzioni europee. Certo questo ridurrebbe il problema della volatilità di mercato ma introdurrebbe una certa discrezionalità nella determinazione dei premi.

È necessario constatare però che dalla Germania arrivano anche altri segnali. Un recente policy paper dell'influente istituto tedesco CESIFO, dal quale nel marzo scorso era già arrivata la proposta di una clausola per l'uscita dall'Euro, rilancia sulla necessità di riformare il sistema di pagamenti bancari transfrontalieri Target2, prevedendo un periodico riallineamento dei debiti/crediti tra banche centrali tramite scambio di asset costituiti da riserve di valuta pregiata ed oro. Al momento per via dei persistenti squilibri nei flussi commerciali e finanziari all'interno dell'Eurozona, la Banca d'Italia ha un debito nei confronti dell'Eurosistema di 489 miliardi di € mentre la Bundesbank può vantare un credito di 903 miliardi. Questa “apertura” illimitata di linee di credito tra le banche centrali nazionali serve allo scopo di garantire che un Euro depositato in una banca italiana valga esattamente quanto un euro depositato in una banca tedesca. Qualsiasi limite, blocco, rallentamento del sistema Target2 implica è incompatibile con il concetto di Unione monetaria implicando un trattamento discriminante delle banche centrali nazionali, che dovrebbero essere solo succursali della BCE. Difatti, non a caso, il paper conclude esaminando le varie possibili strategie di abbandono dell'Unione che Italia e Germania potrebbero intraprendere per i limitare i danni.

Eppure basterebbe riconoscere che è minore la strada da fare per venirsi incontro con una soluzione condivisa rispetto a quella ignota della dissoluzione di un percorso cinquantennale di integrazione. Possiamo sperare che le parti in causa lo riconoscano.

*Economista

@MarcelloMinenna

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