Italia quart’ultima al mondo per tasso di imprenditorialità
di Ilaria Vesentini
3' di lettura
L’Italia è al 51° posto su 54 Paesi analizzati (che valgono però il 67% della popolazione sul pianeta e l’86% del Pil mondiale) nella classifica 2018 appena diffusa da Gem-Global Entrepreneurship Monitor, 19° rapporto del consorzio internazionale coordinato da Babson College (la scuola di imprenditorialità del Massachusetts) e London Business School per fotografare lo spirito imprenditoriale e innovativo di economie emerse ed emergenti, nonché i driver socio-economici sottostanti. Non sorprende che il nostro Paese occupi la coda delle graduatorie mondiali, quando si parla di facilità e predisposizione a fare impresa. Sorprende di più che ce la caviamo meglio del Giappone (all’ultimo posto) e che siano Arabia Saudita, Libano e Indonesia le terre con lo “spirito imprenditoriale” più alto (indice sintetico, da-1 a +1, che incrocia consapevolezza imprenditoriale, percezione delle opportunità locali, fiducia nell’efficacia della propria attività). Anche se restano gli Usa la culla delle grandi opportunità in termini di impatto occupazionale e di business.
Ma al 51° posto restiamo anche se si misura non lo spirito imprenditoriale - nuovo indice elaborato da Gem per il 2018 – ma l’effettivo tasso di neoimprenditorialità, ovvero la percentuale di persone che ha avviato da meno di 42 mesi un nuovo business: il 4,3% in Italia. Peggio di noi sono solo Bosnia Erzegovina, Francia e Bulgaria. «Eravamo ultimi lo scorso anno - sottolinea Iacobucci - e a penalizzarci sono soprattutto la bassa percezione che gli aspiranti imprenditori hanno di sè (solo il 30% degli intervistati si ritiene all’altezza di avviare un’attività imprenditoriale), le poche opportunità rilevate sul mercato (percepite dal 28% degli italiani) e le scarse probabilità di successo, con la metà dei rispondenti che manifesta paura di fallire». Insomma, nel Belpaese essere imprenditori non è uno status invidiato né una buona alternativa di carriera (siamo 22esimi su 54 Paesi), neppure i media aiutano a tenere alta l’immagine imprenditoriale (32esimi) e il fallimento è visto come un’onta e non come tappa di un percorso normale ad alta rischiosità. In questa inusuale graduatoria costruita sondando i pareri della popolazione adulta di ogni nazione, sono il Sudamerica, il Medio Oriente e l’Africa a occupare le prime posizioni (Arabia, Israele, Guatemala, Egitto, Madagascar) con per consapevolezza e percezione imprenditoriale, mentre le economie mature europee e il Giappone arretrano.
«In generale il rapporto evidenzia che sono sempre di più le imprese che nascono seguendo delle concrete opportunità di mercato (74% del totale), anziché la necessità di uscire dalla disoccupazione, così come scendono in maniera preoccupante le opportunità di lavoro generate dall’impresa», spiega Francesca Micozzi, del team di ricerca dell’Università Politecnica delle Marche, che presto uscirà con un focus sul dato italiano per approfondire le ragioni di questa caduta di aspiranti imprenditori. Il confronto con i nostri principali competitor nel Vecchio continente - Germania, Spagna, Francia in testa - mette in luce che le differenze non sono tanto nello spirito imprenditoriale, piuttosto basso ovunque (l’indice sintetico è negativo in tutta Europa eccezion fatto per Polonia, Svezia, Paesi Bassi ed Estonia) quanto nel contesto competitivo: nella finanzia per l’impresa, come nei sistemi fiscali, nei programmi di sostegno pubblico, nel panorama scolastico e nelle dotazioni infrastrutturali l’Italia è sempre nella metà bassa delle classifiche. Unica nota positiva: il 12° posto per capacità di trasferimento tecnologico, così come il nostro Paese si piazza nella parte alta del ranking in tema di barriere e regolamenti per l’accesso al mercato.
Gli economisti di Gem mettono nero su bianco il peggioramento delle aspettative in termini di ricadute occupazionali generate dal sistema imprenditoriale: soprattutto nelle economie meno sviluppate è in forte discesa il numero degli imprenditori che ritengono di poter creare più di sei posti di lavoro e contemporaneamente aumenta quello di chi ritiene di non creare alcun impatto occupazionale. Il Nord America è la regione che offre maggiori opportunità imprenditoriali, con 5 imprenditori opportunity-driven per ogni imprenditore necessity-driven, mentre l'Africa chiude la classifica, con un rapporto di 1,5. E la correlazione tra alti livelli di imprenditorialità spinta dall’opportunità e impatto occupazionale premia, ancora una volta, gli Stati Uniti, dove quasi il 40% degli imprenditori si aspetta di creare almeno 6 posti di lavoro. All’opposto l’Africa, con uno spirito imprenditoriale in crescita ma scarso effetto sulla creazione di posti di lavoro. Insomma, sono in atto mutamenti strutturali nella visione dell’impresa, con sempre meno grandi imprenditori olivettiani e un aumento dei professionisti indipendenti e delle reti di impresa, sulla scia delle nuove tecnologie. E in cima alle ricette proposte da Gem a livello mondiale per sostenere l’imprenditorialità c’è ancora una volta la formazione, con il monito a valorizzare nei sistemi scolastici l’educazione imprenditoriale e a favorire il trasferimento tecnologico.
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