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Italia retrocessa su salari delle donne e istruzione

L’Indice mondiale dell’organizzazione segna l’ennesimo passo indietro del Paese che arretra dal 18° posto del 2015 al 27° di quest’anno. «Investire sulla scuola per invertire la tendenza»

di Flavia Landolfi

(Ansa)

4' di lettura

Di nuovo un passo indietro, ancora una volta sotto le voci donne e bambini. Scivola l’Italia nella classifica di WeWorld Index: il 18esimo posto su 172 Paesi del 2015, già retrocesso al 27° nel 2019 si traduce nel 2020 in una nuova frenata che vale due posti e piazza l’Italia alla 29° casella. La progressiva perdita di terreno rispetto alla situazione mondiale è dettata dagli indicatori che riguardano, come da copione, donne e bambini: le prime per la situazione economica e i secondi sul fronte dell’educazione. I dati sull’Italia che il Sole24Ore è in grado di anticipare si aggravano poi per via della pandemia: a farne le spese anche qui sono sempre gli stessi, le categorie che già partivano svantaggiate e che ora pagano il prezzo più alto dell’emergenza che ha travolto tutti. E che l’Index, richiamando l’ultimo rapporto Caritas, individua nei nuovi poveri, le madri single con figli a carico.

La zavorra sulle donne

Sullo sfondo della giornata per il contrasto alla violenza di genere, al bollettino di “guerra” dei femminicidi e agli scarsi finanziamenti per i centri e le case rifugio, si aggiungono ora altri numeri poco incoraggianti. A cominciare da quelli sulla retribuzione femminile dove l’Italia, con lo 0,57 del salario rispetto a quello maschile si posiziona dopo il Sud Sudan che registra quota 0,68 ed è in generale il fanalino di coda dell’Index di WeWorld. Non va meglio sul fronte del tasso di disoccupazione femminile, storico tallone d’Achille tutto italiano. Qui l’Index registra un drammatico 131° posto nella classifica dei 172 Paesi messi sotto la lente, con una percentuale di donne senza lavoro che sfiorano l’11%, contro il più dignitoso 3,24% della Norvegia (che si piazza su questo indicatore al 34° posto). A restingere la mappa geografica l’Italia è la Cenerentola d’Europa per occupazione femminile con un tasso del 49,5 per cento. Va meglio, ma non c’è da esultare, sul fronte della rappresentanza pubblica: «Negli ultimi anni sono stati fatti dei passi avanti rispetto al passato - spiega WeWorld - ma ancora i valori non sono vicini a quelli dei Paesi ai primi posti del WeWorld Index. In generale le donne non occupano mai le posizioni apicali tanto in politica quanto nel settore privato, a differenza di alcuni paesi Ue che hanno persino avuto/hanno una prima ministra o capa di Stato, come Grecia, Germania e Finlandia». In termini numerici la rappresentanza parlamentare in Italia si attesta a poco meno del 36% (33° posizione in classifica), mentre quella delle poltrone ministeriali è più bassa con il 33,3% (e il 31° posto). Molto più confortanti gli indicatori sulla salute femminile: la mortalità materna è la più bassa in assoluto (2 su 100mila) e fa conquistare all’Italia il primo posto nella classifica; bene anche sul fronte dell’aspettativa di vita con 85,20 anni e il 7° piazzamento.

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La Tampon Tax

WeWorld è scesa sul piede di guerra anche su un altro fronte, più squisitamente economico, della tutela delle donne. Si tratta della cosiddetta Tampon Tax, l’Iva sugli assorbenti schizzata al 22 per cento e successivamente ridimensionata al 5 ma per i soli prodotti compostabili. «Perfino il tartufo surgelato gode di una imposta ridotta - rimarca Marco Chiesara, presidente dell’organizzazione indipendente - mentre alle donne spetta pagare un superbalzello per un’esigenza naturale come quella delle mestruazioni». WeWorld ha lanciato la petizione #FermaLaTamponTax alla quale hanno aderito, tra gli altri, le parlamentari Laura Boldrini, Valeria Fedeli, Lia Quartapelle e Valeria Valente. Per portare la tassazione al 5% - spiega l’organizzazione indipendente - servirà una copertura di circa 72 milioni di euro, una cifra - dicono - «ben al di sotto del tetto delle capacità di intervento del Parlamento sulla legge di Bilancio».

L’educazione in tilt

Ma torniamo ai dati. «Sul fronte dell’istruzione stiamo registrando una vera involuzione della nostra capacità di sostenere i bambini e i ragazzi - spiega Chiesara -. Qui i nostri dati sono allarmanti e reclamano un salto di qualità: non dimentichiamo che il sistema dell’educazione impatta ovunque, a maggior ragione sulla condizione femminile, i livelli occupazionali delle donne e le loro aspettative economiche».L’Index di WeWorld anche qui è impietoso con un tasso di iscrizione alla scuola dell’infanzia che lascia a terra quasi il 12% dei bambini e delle bambine. Le cose poi sono anche peggiori alle prime scuole dell’obbligo: qui l’Italia è 52° su 149 Paesi con un tasso di iscrizione alla primaria del 95,66%, contro il 99,88% della Norvegia (prima in classifica). Ma le cattive notizie non finiscono più: il baratro si raggiunge quando si confrontano i dati sulla spesa pubblica per l’istruzione in rapporto al Pil che vale solo il 3,83% portando il Paese a sprofondare al 92° posto in classifica. Un termine di paragone? Sempre la Norvegia che sull’istruzione investe il doppio (7,98%) e infatti si piazza al primo posto. La mancata scolarizzazione dei bambini non è però solo un danno in termini di istruzione. «Le capabilities di donne e bambini sono intrecciate: mandare un bambino alla pre-primaria ha effetti positivi sulle donne, specie sull’occupazione», spiega il rapporto.

Il carico da novanta della pandemia

A mettere il carico da 90 a un quadro non certo roseo c’è poi la pandemia, “misurata” con tre nuovi indicatori che hanno debuttato in questa edizione del rapporto: la salute con l’Italia alla 147° posizione su 171 per numero di contagi sul totale della popolazione, la perdita di Pil con il 169° piazzamento su 175 e l’educazione con il 163° posto su 172 per giorni di chiusura delle scuole (97 in tutto l’anno scolastico 2019/2020). Capitolo a parte merita poi la didattica a distanza che da un lato ha consentito la prosecuzione delle lezioni in pieno lockdown, dall’altro però non ha garantito a tutti l’accesso agli strumenti informatici. «In Italia - conclude WeWorld - secondo i dati Openpolis-Con i Bambini il 23,9% delle famiglia i non ha accesso a Internet e il 12,3% dei bambini di età compresa tra i 6 e i 17 anni non ha un computer o un tablet a casa».

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