Italia-Spagna 1-2, azzurri eliminati: fischiare l’inno spagnolo porta male
Non basta l’orgoglio nella semifinale di San Siro: i campioni d’Europa pagano l’espulsione di Bonucci. Ma un po’ di sportività sugli spalti non guasterebbe
di Dario Ceccarelli
I punti chiave
4' di lettura
Non basta il cuore. Non basta l’orgoglio. Non basta l’inesauribile energia di Chiesa che dopo una galoppata di 50 metri scodella sui piedi di Pellegrini il gol della bandiera, quello che ci permette di salvare la faccia davanti al pubblico di San Siro, prima fustigatore (con bordate di fischi) del «traditore» Donnarumma, poi incontenibile nel cercare di spingere gli azzurri verso una impresa ormai impossibile. Sconfitti, battuti: quasi dominati se non ci fosse stato quel ruggito finale che però non può nascondere le carenze di un’Italia quasi irriconoscibile. Soprattutto nel primo tempo.
Addio all’imbattibilità di Mancini
Dopo 3 anni e 37 partite la nazionale di Mancini, neanche tre mesi fa campione d’Europa a Wembley, perde la sua imbattibilità. E la perde proprio con la Spagna, la squadra che in semifinale a Londra, ci aveva fatto soffrire di più, uscendo alla fine solo ai rigori. Questa volta il copione si ripete, perchè la Roja ci fa vedere di nuovo le streghe nel famoso «possesso» di palla, ma con una differenza: che a essere battuti - pur con l’attenuante dell’espulsione di Bonucci - siamo noi italiani. E a noi toccherà di giocare domenica pomeriggio la finale dei «poveri», quella per il terzo e quarto posto a Torino contro il Belgio o la Francia, mentre la Spagna sempre qui a San Siro alla sera si contenderà il primo posto della Nations League.
La Spagna ci ha fatto correre
Non è bello cadere davanti al proprio pubblico, dopo un’estate forse irripetibile che forse ci ha tutti ubriacati e anche rilassati. Però al di là di un paio di episodi negativi che hanno penalizzato gli azzurri, la Spagna ha sempre avuto in mano la partita, sia con una netta superiorità nel palleggio, sia nella capacità di non lasciarci rifiatare. Banalmente, ci hanno fatto correre. Lo si vede fin dalle prime battute. Con il nostro tridente «leggero» (Insigne, Bernardeschi e Chiesa) non li riusciamo neppure a graffiare. Per un semplice motivo: che il nostro centrocampo, quasi preso d’infilata, non riesce a entrare tra le veloci linee della ragnatela di Luis Enrique, allenatore quanto mai abile nel mescolare le carte e nel lanciare nuovi talenti. Altro che penalizzata dagli infortuni e dilaniati dalle polemiche! Pur senza i lor signori del Real Madrid e decimata dalle assenza di big come Morata, Dani Olmo, Jordi Alba e Pedro, la Spagna parte subito in quarta nascondendoci il pallone e impedendo ai nostri play (Verratti e Jorginho) di costruire quel bel gioco rapido e invasivo che è stato il nostro marchio di fabbrica all’Europeo.
Il gol spagnolo arriva presto
Con Bastoni al posto di Chiellini, l’unica nota positiva viene dall’effervescenza di Chiesa che al quarto minuto ci illude con un bel destro neutralizzato dal portiere spagnolo. Ma poi il match va su un piano inclinato. Anche nella partita dei falsi nove, ne usciamo malconci: Bernardeschi si perde per strada, mentre nella Spagna il 17enne Gavi, golden boy del Barcellona, anche lui con il numero nove, illumina San Siro con i suoi lucidi ricami a centrocampo. Insomma, andiamo sotto. I buchi si aprono sul lato destro dello schieramento azzurro dove Di Lorenzo balla la rumba catalana. Il primo gol è al 17: traversone da sinistra di Oyarzabal, deviazione di Ferran Torres che anticipa Bastoni, e l’uno a zero è servito. Uno schiaffo che ci stordisce. Tanto che un minuto dopo, per una mezza papera di Donarumma, rischiamo il raddoppio. A sorpresa invece arriva la reazione d’orgoglio.
L’errore d’Insigne, l’ingenuità di Bonucci
Un sinistro di Bernardeschi viene deviato sul palo e poi, al 35’ l’Italia può pareggiare con una clamorosa palla-gol di Insigne che però - come un rigore in movimento - finisce misteriosamente fuori. Ma da qui in avanti - sotto la pressione spagnola - ci complichiamo la vita da soli. L’episodio chiave è al 42’ quando Bonucci - già ammonito - su un rimpallo salta coi gomiti larghi e colpisce Busquets. Il movimento è scomposto, ma non cattivissimo. Tanto basta però a far scattare un altro giallo e l’espulsione. Possiamo dirlo? Per uno come Bonucci, è una ingenuità. Un gesto maldestro, figlio dell’affanno con cui l’Italia sta in campo. E da una mazzata ne arriva subito un’altra. Con tre tocchi di prima gli spagnoli scodellano sulla testa di Ferran Torres la palla del raddoppio. Gli azzurri dormono e le luci a San Siro quasi si spengono. Si sentono solo i tifosi spagnoli. Nella ripresa Mancini le tenta tutte inserendo Chiellini, Kean, Locatelli e Pellegrini. Gente robusta che, in qualche modo, impedisce la resa. Non è bello vedere i campioni d’Europa inseguire la palla come il toro la muleta, però con orgoglio riescono a non farsi matare grazie anche alle provvidenziali parate di Donnarumma.
L’onore di Chiesa
E all’82’, proprio dopo un suo intervento, arriva l’ultimo colpo di scena. Tutto merito di Chiesa che con uno scatto di 50 metri, dopo aver saltato come birilli due spagnoli, lascia a Pellegrini l’indisturbato tocco del 2-1. Per un attimo gli azzurri tornano leoni come a Wembley. Anche San Siro fa sentire la sua voce. Ma ormai è troppo tardi. Diciamo che usciamo con l’onore delle armi. Ma ora, finita la ricreazione, bisogna riprendere il viaggio verso i mondiali in Qatar. Mancano 14 mesi. Non sono tanti. Serve ritrovare il gioco perduto. E anche un vero centravanti. Con quelli falsi non si va lontano. Ultima nota: a parte la scarsa generosità verso Donnarumma, alcuni fischi sono partiti anche durante l’inno spagnolo. Un brutto episodio. Che porta anche male. Come quando con noi, nella finale di Wembley, lo fecero gli inglesi.
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