Italiani sempre più armati
Il libro “Sotto tiro” di Stefano Iannaccone spiega come, nonostante i reati in calo, l’aumento dei possessori di armi sia un fenomeno preoccupante
di Andrea Di Consoli
4' di lettura
Sono i numeri ufficiali del Viminale ad accertare una costante decrescita in Italia dei dati riguardanti rapine, omicidi e stupri. È un trend che ormai si conferma stabilmente da alcuni anni. Eppure la “percezione” dell'insicurezza nel nostro Paese è molto alta. Intendiamoci, anche un solo reato grave è un segnale da non sottovalutare, nonché una ferita per l'intera società; ma colpisce non poco – e lo si vorrebbe dire con il massimo della laicità e della ragionevolezza – la crescita di politiche iper-securitarie in un contesto sociale che è molto meno pericoloso degli scorsi decenni.
La recente legge sulla legittima difesa ha allargato le maglie della cosiddetta “giustizia fai da te”; e lo ha fatto, così dovremmo presumere, a partire da uno stato di fatto: che i reati alla persona e alla proprietà siano in aumento. Ma, purtroppo, i dati del Viminale dicono il contrario; e dicono, in sostanza, che i reati sono in costante diminuzione. È evidente un cortocircuito psicologico, ovvero l'invenzione tutta politica di una paura. È troppo malizioso pensare che l'invenzione di una paura permette di presentarsi più efficacemente con soluzioni volte a rassicurare la popolazione?
Leggendo Sotto tiro. L'Italia al tempo della corsa alle armi e dell'illusione della sicurezza (People, 155 pagg., 14,00 euro) di Stefano Iannaccone emerge un dato incontrovertibile: che in Italia, anche grazie alla legge sulla legittima difesa, sta aumentando in maniera preoccupante il possesso di armi da parte di privati cittadini. E forse vale la pena, al di là di ogni posizione ideologica, esporre nudi e crudi alcuni dati, che sono ricavabili proprio dal libro di Iannaccone. L'attuale norma stabilisce che, una volta ottenuta la licenza per il possesso di un'arma, “si possono tenere in casa 3 armi da sparo, 12 armi ad uso sportivo, un numero illimitato di fucili e carabine, 8 armi antiche o artistiche, nonché munizioni e polvere da sparo”. Per ottenere una licenza basta aver compiuto diciott'anni, essere incensurati ed essere esenti da malattia nervose o psichiatriche. La licenza dura cinque anni, e in questo lasso di tempo nessuna commissione verifica se qualche disagio psichico sia nel frattempo sopraggiunto.
Arriviamo adesso al tema della quantità di armi in circolazione in questo momento in Italia. E la premessa è che non deve sfuggire a nessuno l'estrema complessità di un'industria italiana delle armi molto fiorente, sia in ambito pubblico che in ambito privato; un'industria, sia detto con il massimo di realismo, che dà lavoro stabile a decine di migliaia di operatori. Insomma, a nessuno sfugga che quando parliamo di industria delle armi parliamo di un comparto che mette a dura prova la sempre difficile armonia tra etica e mercato. Il vulnus etico, per chi si approccia al tema laicamente, è evidente.
Allora, in Italia – dati del luglio 2018 – le persone in possesso di una licenza sono 1.315.700 (com'è noto, le licenze si dividono in tre categorie: per difesa personale, per la caccia e per uso sportivo). A queste vanno aggiunti i circa 500.000 arruolati presso i corpi di polizia e le forze armate. Scrive Iannaccone: “Ad ogni modo, si stima che le armi possedute dai civili siano comprese tra i 6 e i 10 milioni. Uno dei rapporti più accurati del settore, lo Small Arms Survey, parla di circa 8 milioni e 600mila armi detenute (legalmente e illegalmente) dai civili nel 2017”.
Il numero è impressionante: in Italia ci sono quasi 10 milioni di armi nelle case degli italiani. Tutto questo a fronte di una situazione criminale che dovrebbe suggerire un relativo rilassamento delle politiche securitarie. Scrive sempre Iannaccone: “Secondo i dati del Viminale prima citati, nel 2018 il numero di licenze rilasciate (aggiornato a luglio 2018) è cresciuto del 4% rispetto al 2015. Il paradosso è che all'aumento delle richieste di licenza non corrisponde alcun aumento di furti e rapine, anzi. I dati del Viminale dicono che nel 2012 ci sono stati 1.568.468 furti, mentre nel 2017 la cifra si è fermata a 1.302.636. Stesso trend calante per le rapine: dalle 44.228 del 2013 si è passati alle 31.904 del 2017. Nel 2012 gli omicidi volontari per scopi di furto e rapina sono stati 43. Nel 2016 il dato si è fermato a 19 vittime”.
È evidente che ci si trova di fronte ad una sproporzione. Nessuno ovviamente intende sminuire il diritto alla proprietà privata, all'incolumità fisica e al bisogno di essere difesi dalla criminalità. Ma questi diritti dovrebbero essere garantiti dallo Stato. Avallando invece una “giustizia fai da te” i rischi sono molteplici. Il primo è quello della difficile valutazione giudiziaria della giusta proporzione tra offesa e difesa. Il secondo è che chi uccide, sia pure per legittima difesa, avrà sempre un problema di coscienza, anche se la giustizia, con le nuove norme, dovesse ridurre al minimo la fase processuale e non applicare nessuna pena per chi si è legittimamente difeso uccidendo. Come vivono coloro che hanno ucciso dei ladri? Se ne parla poco. Ma dalle testimonianze che si possono leggere non si sbaglia a dire che l'effetto psicologico è devastante. C'è poi il tema, ancora più problematico in un momento di crisi socio-economica come quella che ci apprestiamo a vivere, di come possano essere usate tutte queste armi in un momento in cui la stabilità emotiva degli italiani è inevitabilmente in fibrillazione.
Non deve cadere nel vuoto il monito lanciato qualche mese fa dal figlio Luca del calciatore Agostino Di Bartolomei, autore di un libro molto importante intitolato Dritto al cuore. Armi e sicurezza: perché una pistola non ci libererà mai dalle nostre paure (Baldini e Castoldi, 2019). Agostino Di Bartolomei, com'è risaputo, si suicidò con un colpo di pistola il 30 maggio del 1994. E la tesi del figlio, che quando il padre morì aveva 12 anni, è molto forte: se suo padre non avesse tenuto un'arma a casa, probabilmente quel suicidio non si sarebbe compiuto.
Non siamo così ingenui da non sapere che cavalcare le paure è da sempre un momento della strategia politica. Ma la volontà di puntare sugli armamenti – pubblici e privati – dovrebbe richiamare tutti a un supplemento di ragionevolezza e di responsabilità. Perché vivere in un Paese armato fino ai denti non significa automaticamente vivere in un Paese più sicuro.
Sotto tiro. L'Italia al tempo della corsa alle armi e dell'illusione della sicurezza, Stefano Iannaccone, People, 155 pagg., 14,00 euro
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