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Jacques Herzog e Pierre de Meuron raccontano la loro normalità audace

Sfidano la percezione dell'osservatore con materiali inusuali. Pensano prima al versante creativo e poi a quello funzionale. E soprattutto credono nel ruolo sociale di ciò che fanno.

di Di Lisa Freedman. Foto di Torvioll Jashari

Jacques Herzog (a sinistra) e Pierre de Meuron fotografati nella caffetteria del quartier generale dello studio H&deM, a Basilea.

8' di lettura

Il pensiero di intervistare Jacques Herzog fa tremare i polsi. Non perché non sia un uomo comunicativo o perché manchi di charme, anzi. È per l'impatto fortissimo che Herzog & de Meuron, lo studio svizzero di architettura che ha fondato con Pierre de Meuron nel 1978, ha avuto sul nostro paesaggio visivo quotidiano. Quando, nel 1995, ha vinto il concorso per progettare la Tate Modern, lo studio non era ancora molto conosciuto. Oggi – insignito del premio Pritzker – è tra i più celebrati al mondo, con 600 progetti in 40 Paesi. Quest'estate sarà di nuovo sotto i riflettori in una retrospettiva alla Royal Academy of Arts: è la quarta mostra che Londra gli dedica (dal 14 luglio al 15 ottobre).

Un modellino per il progetto 547 UCSF Helen Diller Medical Center.

H&deM è famoso soprattutto per i suoi grandi progetti internazionali: il Bird's Nest, lo stadio realizzato per i Giochi olimpici 2008 a Pechino, una sorta di ciambella ondulata avvolta in una griglia in acciaio; la Elbphilharmonie Concert Hall, che s'innalza come un'onda sulle rive dell'Elba, ad Amburgo; il centro culturale M+ di Hong Kong, un monolite che, con la sua monumentale facciata, provvista di migliaia di Led, rende omaggio e supera le insegne al neon della città. Ma, in modo meno appariscente, H&deM ha dato un contributo altrettanto importante al modo in cui abitiamo le nostre case e viviamo le nostre metropoli. «Un edificio ha sempre un impatto», mi racconta Herzog, 72 anni, dal quartier generale di Basilea. «Non siamo naive, non è che non ci interessino i gesti stilistici più avanzati. Ma ciò che è nuovo, inedito, dev'essere pensato in maniera socialmente responsabile».

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Una stampa della lobby della Torre 56 di Leonard Street, a New York, nel dipartimento di interni dello studio.

Jacques Herzog e Pierre de Meuron sono entrambi nati a Basilea nel 1950 e si conoscono dalle elementari. Hanno avuto percorsi universitari simili, tutti e due hanno completato la formazione professionale allo Swiss Federal Institute of Technology (ETH) a Losanna e Zurigo. Appena abilitati, hanno aperto insieme uno studio. I loro progetti trasformano l'ordinario in qualcosa di audace. Nel 1995, a Basilea, hanno avvolto la cabina centrale di manovra delle ferrovie in strisce di rame. Tra i sei studi finalisti per realizzare la Tate Modern, hanno proposto il progetto che apparentemente comportava i cambiamenti meno radicali all'ex centrale elettrica, eppure aveva qualcosa di nuovo da dire sull'architettura. «Sapevamo che da loro avremmo ottenuto il meglio», aveva detto l'allora direttore della Tate, Nicholas Serota.

“Haus Nr. 4 II (Ricola Laufen)” (1991), di Thomas Ruff, che raffigura l'edificio Ricola Storage, appeso nella biblioteca del campus.

Il duo svizzero si è guadagnato la reputazione di art architect e si posiziona sul versante creativo della costruzione, piuttosto che su quello funzionale. «All'università ho studiato più l'arte e gli artisti che l'architettura», dice Herzog, alto e slanciato, sembra un disegno di Giacometti in 3D. «Ma la mia arte, quella che producevo io, era mediocre; ho trovato molte più possibilità espressive nell'architettura. Con i nostri primi progetti – la Marktplatz di Basilea e la Blue House, per esempio – siamo riusciti a creare qualcosa che non si era mai visto prima. È stata davvero una spinta a fare le cose a modo nostro». Eppure creare edifici comporta dei limiti. Oltre a rispondere ai clienti, ai codici e ai regolamenti, si ha sempre a che fare con un contesto che esiste già, invece che con una tela vuota.

Herzog e de Meuron ritratti nella caffetteria. Dietro di loro “Hong Kong”, di Thomas Ruff, che raffigura un progetto H&deM mai realizzato.

La bellezza – una parola non sempre associata all'arte o all'architettura contemporanee – è centrale nella loro progettualità e pochi contesterebbero il fatto che i loro edifici siano percettivamente appaganti al pari di un Matisse o di un Brâncuşi. Conta l'atmosfera e il mood, il rapporto tra tangibile e intangibile (la luce, il suono e l'odore). Non a caso sono famosi anche per l'uso emozionale che fanno dei materiali. I muri esterni del Ricola Herb Centre vicino a Basilea, per esempio, sono realizzati in terra battuta; la Dominus Winery nella Napa Valley è inguainata in cassoni industriali di metallo riempiti di basalto grigio, pietra locale; il negozio di Prada a Tokyo luccica dentro un prisma di cristallo fatto di elementi romboidali concavi e convessi che riflettono e deformano le luci intorno. «Noi abbiamo sempre sfidato i materiali», spiega Herzog. «Tutti i cinque sensi sono importanti. Alle persone piace vedere una bella pietra, sentire il freddo del ferro e il calore del legno. Mi diverte pensare che i nostri palazzi vengano percepiti un po' come la casa di pan di zenzero di Hänsel e Gretel, qualcosa che sei tentato di mangiare». All'inizio hanno realizzato una serie di appetitose case private per clienti precursori del gusto contemporaneo: nel 1979 la Blue House di Oberwil, in Svizzera, ha stupefatto i vicini con il suo colore blu ultramarino; nel 1982 la Stone House, uno spartano parallelepipedo rivestito di pietra a secco, è stato costruito su un promontorio dell'entroterra ligure; nel 1996-1997 la Rudin House a Leymen, in Francia, sembra disegnata da un bambino, ma rivestita in cemento.

Sia nei progetti privati sia in quelli pubblici hanno avuto risonanza le collaborazioni con gli artisti, da Joseph Beuys a Ai Weiwei (con cui hanno disegnato il Serpentine Gallery Summer Pavilion di Londra nel 2012) e la straordinaria capacità di rispondere all'attuale richiesta d'incorporare l'arte in uno spazio domestico. In questo senso, il progetto più celebrato è “the inhabitable media installation”, realizzato per Pamela e Richard Kramlich in California, un elegante pavilion in vetro e cemento, che sormonta una galleria sotterranea dove la coppia può esporre una grande collezione di opere di video e media art. «È facile iniziare un dialogo con persone a cui piace vivere circondate dall'arte», dice Herzog. «Condividiamo la stessa passione e la stessa convinzione che la bellezza migliori la vita». Herzog e de Meuron hanno anche commissionato direttamente importanti opere d'arte contemporanea per alcuni loro progetti di residenze di lusso. A Manhattan, per esempio, il Jenga Building, che si trova al numero 56 di Leonard Street a Tribeca, è parzialmente appoggiato su una scultura di Anish Kapoor in acciaio cromato con la forma di enorme fagiolo: incoraggia i passanti ad alzare lo sguardo verso l'edificio verticale e i suoi appartamenti a sbalzo.

Gli interni della Torre 56 di Leonard Street, a NewYork, progettata dallo studio H&deM.

La prima mostra di Herzog e de Meuron a Londra, Interpreting the Place, del 1989, includeva schizzi di sogni mai realizzati. La mostra della Royal Academy, curata in collaborazione con gli architetti, disporrà invece di molto più materiale, che grazie a filmati, modelli digitali ed esempi materiali, consentirà ai visitatori di sondare una molteplicità di luoghi che sono stati già realizzati.

Oggi la coppia, piuttosto che lavorare per trovare soluzioni per residenze private, ritiene sia più interessante riflettere su dove, con quale densità e come le abitazioni dovrebbero essere costruite. «La casa non ha subìto una rivoluzione radicale», dice Herzog. «Le fantasie degli anni Sessanta su come sarebbe stata la dimora del futuro – come l'idea del collettivo di giovani architetti Archigram, che ipotizzavano che avremmo abitato in una bolla – non si sono realizzate. Perfino circondati dagli smartphone, agli esseri umani piacciono ancora i loft o le stanze con il camino». Forse proprio perché sono stati testimoni della grande trasformazione della società alla fine degli anni Sessanta, Herzog e de Meuron pensano che l'architettura abbia una valenza politica, e oggi dirigono un'azienda di 600 persone (con uffici satelliti a Londra, New York, Parigi, Hong Kong, San Francisco, Berlino e Monaco) impegnata a offrire la possibilità di vivere meglio. «Preferiamo realizzare opere di architettura accessibili a tutti», spiega Herzog.

La cosiddetta urbanizzazione del pianeta è stata a lungo una preoccupazione fondamentale. Nel 1999, insieme agli architetti Roger Diener e Marcel Meili, hanno fondato ETH Studio Basel, un istituto di ricerca focalizzato proprio sulle trasformazioni delle città in tutto il mondo, e prima di imbarcarsi in un progetto il loro studio fa sempre approfondite analisi sulla condizione e sulla cultura locali. «Abbiamo imparato quanto i piani urbanistici influenzino la società e l'identità di un luogo».

Qualche anno fa, proprio a un forum sull'urbanistica, de Meuron ha illustrato dettagliatamente le strategie da tenere in considerazione per costruire: «Dal momento che copriamo l'intera superficie del pianeta con una crosta di costruzioni, dobbiamo considerare la città come un sistema sociale, un organismo, e non introdurre variabili che risultino aliene», aveva spiegato. «Dunque costruire sul già costruito, densificare il centro, accorpare diverse funzioni in complessi a uso misto e preservare le tradizioni culturali. Quest'ultimo aspetto è diventato ancora più importante. Quando i cambiamenti avvengono velocemente, come succede oggi, si ha bisogno di qualcosa a cui potersi aggrappare».

La riconversione della vecchia centrale elettrica della Tate ha rigorosamente seguito queste linee fondamentali, trasformando la Sala delle Turbine, che un tempo ospitava i generatori elettrici, in un nuovo spazio dove guardare l'arte. Contemporaneamente, ha agito come una sorta di “agopuntura” cittadina, riattivando l'energia di un luogo abbandonato. L'anno scorso, gli architetti hanno completato One Park Drive a Canary Wharf, il loro primo grattacielo residenziale nel Regno Unito: una torre intricata e multistrato che assembla una varietà di abitazioni, dai loft alle penthouse, e che sottolinea il passaggio da area densamente commerciale ad area residenziale di una delle più grandi zone rimaste vuote nei Docklands. «Acquistare casa qui equivale a possedere un pezzo di storia dell'architettura», spiega Emma Fletcher-Brewer, capo di City & East New Homes per la società immobiliare Knight Frank, che vende appartamenti nella torre a partire da 735mila euro.

Quando parla di sé, Herzog ammette di vivere con «meno cose possibili», in una casa di legno progettata da H&deM agli inizi della carriera. Si trova in un cortile nel centro medioevale di Basilea e ha gli elementi essenziali che, a suo avviso, dovrebbero essere disponibili a tutti: «Buoni materiali, accesso ai giardini, che danno ispirazione, aria fresca, e un piccolo posto dove stare all'aperto». Un altro diritto fondamentale della nostra società, dichiara, è che gli ospedali siano belli e accoglienti. «Prendersi cura delle persone è un aspetto importante del nostro approccio all'architettura, e la pandemia ci ha insegnato che il vero lusso è investire nella sanità». Andando controcorrente e battendosi contro una realtà che «ha lasciato agli ospedali, e alle persone, alcune delle strutture più brutte», H&deM ha ideato ospedali in Danimarca, a Zurigo e a San Francisco (i progetti sono in mostra alla Royal Academy) che sfruttano la luce del sole, il verde e il paesaggio per creare spazi di guarigione per il benessere e il recupero.

Da sempre, invece di fomentare polemiche o rivoluzioni visuali, H&deM produce soluzioni esclusive che rendono evidenti i valori di fondo: curiosità e creatività. «Il loro lavoro è impossibile da etichettare, ed è questo che lo rende così potente», sintetizza Deyan Sudjic, direttore del Design Museum. A differenza di altri studi di archistar, il duo è cresciuto privilegiando la squadra. «Per avere successo, devi circondarti delle persone migliori, e fin dagli inizi noi abbiamo voluto sostenere i giovani architetti e renderli nostri soci», spiega Herzog. «Il lavoro è il risultato del dialogo tra me e Pierre, ma coinvolge talenti diversi per raggiungere un prodotto finale che si chiama “architecture by Herzog & de Meuron”». Per questo utilizzano un modello organizzativo nel quale i soci si assumono progressivamente maggiori responsabilità e possono poi comprare alcune quote dello studio.

In questo modo, sperano di lasciare in eredità il lavoro a un team solido, qualsiasi cosa riserverà loro il futuro. «In architettura, vieni sempre criticato per progetti che hai realizzato nel passato. Ma perché una cosa sopravviva, devi essere sicuro di farla nel modo giusto per il tuo tempo. L'architetto non può ingannare: se lo fa, è perduto».

LA RETROSPETTIVA HERZOG & DE MEURON, www.herzogdemeuron.com . La mostra “Herzog & de Meuron” si terrà alla Royal Academy of Arts , Londra, dal 14 luglio al 15 ottobre.

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