76esima Mostra di Venezia

«Joker», un clown pazzo da Leone

Il miglior film è «Joker» di Todd Phillips con Joaquin Phoenix. Luca Marinelli, protagonista di «Martin Eden» di Pietro Marcello, vince la Coppa Volpi

di Cristina Battocletti

A Venezia applausi per il "Joker" Joaquin Phoenix

4' di lettura

Il Leone che Todd Phillips mostra con fierezza è idealmente anche nelle mani di Joaquin Phoenix (a fianco del regista alla cerimonia), che ha liberato Joker dal macchiettismo cui spesso il cinema ha condannato il clown cattivo dei fumetti. L’Arthur Fleck, aspirante stand-up comedian , di Phoenix è un uomo battuto quotidianamente dalla cattiveria e dalla frustrazione della gente, che mina una psicopatologia carsica. Joker non ha nulla di supereroico e mostra che l’origine del Male sta nell’emarginazione, nell’incapacità della società di far fronte alle ingiustizie di classe. Il premio è meritato e rafforza la tradizione del Lido di aprire la strada agli Oscar (sicuramente per Phoenix), come era già accaduto, tra gli altri, per Roma , La forma dell’acqua , La La Land .

Il regista Todd Phillips (a destra), e l’attore Joaquin Phoenix con il Leone d’oro per il miglior film «Joker» (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)

Un gioco di incastri, senza sottrazioni all’eccellenza,che ha permesso di assegnare la Coppa Volpi a uno dei più bravi attori italiani, Luca Marinelli, la cui stoffa era chiara già ne La solitudine dei numeri primi e consolidata poi in Lo chiamavano Jeeg Robot. Per la sua interpretazione del marinaio napoletano Martin Eden, ispirato all’omonimo libro di Jack London, vale lo stesso ragionamento (alla rovescia) di Joker. Il riconoscimento va anche al regista Pietro Marcello, alla sua capacità lirica e sperimentale, che intreccia finzione, documentario e materiale d’archivio, permettendosi, senza stonare, perfino una strizzata d’occhio ai tormentoni di Nino D’Angelo.

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La coppa Volpi come migliore interprete femminile va ad Ariane Ascaride, protagonista (e moglie nella realtà) di Robert Guédiguian, autore di Gloria mundi. Ascaride è la colonna di una famiglia matriarcale proletaria di Marsiglia. Alla nascita della nipote, Gloria, la donna riprende i contatti con il suo primo marito, di fatto nonno biologico della bambina, appena uscito dal carcere, dove è diventato un uomo migliore e un poeta. In una divorante crisi economica, tra impieghi che tolgono la dignità, e in un mercato spietato e senza regole, i più anziani si confrontano con le nuove generazioni. La vecchia guardia è capace di atti di generosità e solidarietà commoventi, in cui i rapporti elettivi hanno la meglio su quelli di sangue e le pene dei padri non ricadono sui figli. Anzi.

Venezia. la coppa Volpi come migliore interprete femminile va ad Ariane Ascaride (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)

Ha invece il gusto della riparazione Il Leone d’argento, molto applaudito, per J’accuse di Roman Polanski. La presidente della Giuria, Lucrecia Martel, ha voluto dimostrare di essere super partes, dopo le riserve manifestate sulla nota vicenda giudiziaria che coinvolge il regista franco-polacco dagli anni 70. Ritirato dalla moglie - anche protagonista del film, assieme a Jean Dujardin e Louis Garrel - , Emmanuelle Seigner, il premio ha reso merito alla bellezza della pellicola, dedicata caso Dreyfus, uno dei maggiori scandali di ingiustizia giudiziaria francese. Ambientata a cavallo tra il XIX e il XX secolo, l’opera è un manifesto della sofferenza dei perseguitati, in cui il regista ha incluso implicitamente anche se stesso.

L’attrice Emmanuelle Seigner, moglie del regista Roman Polanski , ritira il Leone d’argento (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)

Il premio (a sorpresa) alla regia va a Roy Andersson, che con Sull’infinito ha dato ancora prova del suo humor dissacrante che bersaglia stupidità e pazzia umana. Il regista svedese, attraverso quadri molto pittorici, ci ha dato il suo termometero surreale della realtà: un sacerdote che ha perso la fede, Hitler alla fine del suo scellerato impero, un padre che allaccia la scarpa sotto la pioggia alla figlia. Banalità e bellezza, grandezza e piccineria, ma senza la forza del Piccione che nel 2014 aveva vinto il Leone d’oro.

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Il premio alla sceneggiatura va al sorprendente film animato No.7 Cherry Lane di Di Yonfan, su un triangolo amoroso che fa esplicito riferimento al Laureato, ambientato nell’Hong Kong in rivolta del 1967. Disegni curatissimi e poetici, attraverso cui l’artista cinese ha parlato delle rivolte di allora, riferendosi esplicitamente a quelle di oggi.

Il premio (a sorpresa) alla regia va a Roy Andersson (REUTERS/Piroschka van de Wouw)

Il premio speciale della giuria va al grande assente del festival, Franco Maresco, che con La mafia non è più quella di una volta continua idealmente Belluscone. Una storia siciliana (2014). Il film è una grottesca panoramica, fomentata da domande alla cinico tv per sondare gli anticorpi della società siciliana nei confronti della mafia e di eroi, come Falcone e Borsellino. Fanno da contraltare lo sguardo cinico di Ciccio Mira, manager di cantanti neomelodici, e quello della fotografa delle stragi di mafia Letizia Battaglia. Forse il regista siciliano ripete troppo lo schema dell’inchiesta paradossale, ma di quella vigilanza civile c’è sempre bisogno.

Il regista Franco Maresco riceve il premio speciale della giuria (REUTERS/Piroschka van de Wouw)

Il premio Marcello Mastroianni è andato a Toby Wallace, piccolo spacciatore in Babyteeth di Shannon Murphy. Sin dall’inizio si era intuito che l’originalità della regista australiana, al suo primo lungometraggio, sarebbe piaciuta alla giuria. Murphy è in grado di unire - sull’onda lunga delle serie televisive di cui è esperta -, alle note più lievi da commedia e melò quelle della tragedia di una ragazzina malata di cancro, ma illuminata dall’amore sghembo per un piccolo delinquente. Grandi esclusi, Kore-eda Hirokazu, con La verità, prima prova europea del regista giapponese (effettivamente ha fatto di meglio), e autori da cui ci si aspettava molto. Ciro Guerra, forse impaurito dal cast (Depp e Pattinson), ha girato un film ingessato; Olivier Assayas, sempre bravo, è caduto nella televisività; l’intenso Sindaco di Mario Martone è stato stato considerato troppo italico; The Laundromat di Steven Soderbergh non ha rapito, ma il botteghino riparerà.

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