ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùL’intervista

Joseph Stiglitz: «Un mondo più equo, la sostenibilità punti sull’economia»

Il premio Nobel all’economia 2021 racconta la sua idea di transizione che non è solo ambientale e tecnologica ma deve puntare anche a ridurre le diseguaglianze globali tra Nord e Sud

di Gigi Donelli

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7' di lettura

Parlare di sostenibilità in un momento internazionale così difficile, con le guerre in Medio Oriente e in Ucraina, è estremamente complicato. Ma non parlarne è peggio: si rischia che questi percorsi, inevitabilmente di lungo termine, siano trascurati, se non abbandonati. Il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz in questa intervista con Il Sole 24 Ore racconta la sua idea di sostenibilità.

Professor Stiglitz forse è proprio in tempo di crisi che è necessario impegnarsi per la sostenibilità?

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Lei ha ragione, perché è proprio nei momenti di crisi che rischiamo di dimenticare quanto sia importante, soprattutto nel lungo termine, il nostro impegno in favore della sostenibilità.

Se analizziamo le conseguenze, prima della lunga guerra in Ucraina e ora dei drammatici eventi in Medio Oriente, vediamo come entrambi queste crisi abbiamo provocato la crescita dei prezzi dei combustibili fossili e dei prezzi dell’energia in generale.

L’effetto è dunque quello di richiamarci al fatto che, se fossimo stati capaci di passare prima e più rapidamente a un sistema di energie rinnovabili, non saremmo stati così dipendenti dalle fonti fossili e da chi le controlla e avremmo dunque gestito meglio queste crisi.

Vuole dire che un mondo sostenibile permetterebbe di affrontare meglio le crisi?

In un certo senso. Sono proprio crisi come quelle che stiamo vivendo che ci dovrebbero ricordare quanto sia importante impegnarsi sul fronte della sostenibilità.

L’urgenza di fare ciò che va fatto che è peraltro indicato da indagini e ricerche, e suggerito come vediamo dai fatti. Una cosa tra le altre che la guerra in Ucraina ci deve assolutamente ricordare è che i dittatori come Putin, per esempio, sono altamente inaffidabili.

Così come il fatto che le grandi riserve di combustibili fossili – vale per il petrolio e per il gas - si concentrano in Medio Oriente, in contesti che sono altrettanto instabili e diciamo variabili. Certo, possiamo dire che anche il tempo è variabile, ma io dico che non lo è mai quanto possono esserlo le condizioni del Medio Oriente o le decisioni di un dittatore come Putin.

D’altra parte, noi sappiamo come adattarci ai cambiamenti della meteorologia, e dunque penso che se fossimo capaci di muoverci più rapidamente verso un sistema basato sulle rinnovabili non avremmo solamente un contesto più sostenibile, ma anche più affidabile. E aggiungo, penso che saremmo in grado di fare i conti meglio con alcune delle grandi crisi geopolitiche che stiamo vivendo in questi anni.

Stiglitz: “Sostenibilità è crescere, conservare (l’ambiente) e condividere il benessere”

Dal campo globale a quello delle imprese, come si passa da una sostenibilità di facciata ad una sostenibilità realmente trasformativa?

Penso che le imprese debbano considerare i propri sforzi verso la sostenibilità in maniera molto seria e davvero profonda. Negli Stati Uniti come sa ci riferiamo talvolta al concetto di “green-washing”, per indicare quelle società che di fatto fanno solo finta di essere molto impegnate sul fronte della sostenibilità.
Mi viene in mente un episodio che ho vissuto qualche tempo fa in occasione degli incontri di Davos. C’erano i vertici di un grande istituto di credito che mi spiegavano come fossero intervenuti in maniera radicale per sostituire le lampadine a incandescenza con quelle a basso consumo in tutti i loro uffici, ma nello stesso tempo gli ho fatto notare avevano prestato enormi somme di denaro al settore del carbone e a quello della produzione energetica basata sui combustibili fossili.

Una sostenibilità di facciata? Proprio così. Gli ho detto: certo, avete ridotto da una parte il vostro impatto sostituendo le lampadine – cosa importante sia ben chiaro e dunque positiva – ma dall’altra parte avete finanziato dei grandi impianti di produzione elettrica che saranno con noi per almeno trent’anni. State commettendo – mi lasci dire – un peccato ben più grave. E allora diciamo che a me sembra chiaro che quella banca non avesse incorporato il concetto di sostenibilità nel suo Dna. Facevano dunque del “green-washing”: qualcosa che è facile da mostrare, senza però pensare a come le loro scelte imprenditoriali impattassero veramente sul pianeta.

Che cosa ci dice questo?

Questo ci dice che ciascuno di noi debba riflettere sulle sue scelte. Perché qualsiasi scelta individuale ha una ricaduta sul quadro generale. A volte la gente si trincera dietro all’idea che le nostre scelte abbiano un effetto marginale sul quadro generale. Ma se tutti ragionassimo così saremmo davvero nei guai. Dobbiamo invece ribaltare i termini della questione. Dire che se io mi comporto in maniera sostenibile e anche gli altri si uniranno a me allora sì che potremo fare la differenza: in termini di emissioni, e di impatto reale sulla transizione ecologica. Consapevoli del fatto che non è solo necessario, ma purtroppo è anche urgente.

La chiave del cambiamento va ancora cercata nell’innovazione? È in questo campo che possiamo trovare il modo di rompere l’approccio basato sul presupposto delle risorse infinite, che evidentemente non fa più parte del nostro orizzonte?

Mi lasci prima di tutto parlare di quanto sia importante avere ben chiaro quelli che vengono definiti i “planetary boundaries”, i confini del pianeta. E come la nostra relazione con questi limiti di sostenibilità sia radicalmente cambiata nel corso degli ultimi decenni. Pensiamo agli ultimi 70 anni, un periodo che non è poi così ampio. Beh, 70 anni fa tanto il Pil globale che la popolazione mondiale presentavano numeri ben diversi: negli ultimi 70 anni la popolazione mondiale si è moltiplicata per tre mentre il Pil globale lo ha fatto di quindici volte. Questi sono numeri che fanno la differenza!

Che cosa vuole dire?

Settant’anni fa eravamo ancora nettamente all’interno dei confini del mondo. Certo che stavamo distruggendo una parte del pianeta, che danneggiavamo l’ambiente e di certo non ci comportavamo in maniera diciamo sostenibile: ma il nostro impatto era diverso. Ora abbiamo compiuto un balzo epocale, abbiamo triplicato la popolazione, abbiamo moltiplicato per 15 i beni prodotti, abbiamo dunque spinto all’estremo i confini sul fronte delle risorse e dunque della sostenibilità.

Come se ne esce?
Alcune persone ritengono che la risposta a tutto questo debba essere la fine della crescita. Io però non condivido questo approccio. Non lo condivido perché se mi guardo introno vedo che il nostro Pianeta è abitato da tanti, miliardi di persone, che vivono ancora nella in povertà, che non hanno accesso alla salute, all’educazione. Allora per me è chiaro che, per chi come noi in Europa e negli Stati Uniti ha accesso ad un livello soddisfacente di benessere, non c’è davvero la necessità di spingerlo ancora oltre, di alzarlo ulteriormente.

Noi non abbiamo bisogno di aumentare il nostro benessere delle cose, semmai dobbiamo ampliare la nostra conoscenza, la nostra consapevolezza. Ma di certo sul fronte delle cose noi siamo a posto! Ma possiamo dire che questo sia altrettanto vero per la maggior parte degli abitanti di questo pianeta?

Ecco, non credo. E dunque sì, la risposta è l’innovazione. Dobbiamo essere in grado di dare a tanti altri la qualità della nostra vita. I nostri beni, il nostro benessere. E dobbiamo farlo in modo che per farli possano ridurre l’impatto della loro crescita sul nostro pianeta. Dobbiamo insomma rientrare all’interno dei nostri “planetary boundaries”, e sì dobbiamo essere consapevoli del fatto che l’unico modo per farlo passa attraverso l’innovazione. La dobbiamo portare avanti in modo globale e sistemico. E lo dobbiamo fare tutti, ciascuno di noi nell’ambito in cui opera.

L’innovazione può riguardare anche i comportamenti?

Sì, certo. Perché da un lato ci saranno sicuramente i grandi salti tecnologici, come l’abbattimento dei costi dell’energia rinnovabile grazie alle prossime tecnologie, che arriveranno a ridurre i costi del 75% o anche di più, ma ci sono anche tante piccole innovazioni minori da tenere in considerazione.

Magari un nuovo software che aumenta di poco l’efficienza di una rete e così via. C’è tanto da prendere in considerazione sia sul fronte dei produttori sia di quello dei consumatori perché abbiamo tutti un peso sull’economia globale, e anche il modo in cui consumiamo è una forma di innovazione. Ecco, dunque, perché io ho un approccio molto ampio al significato di questa trasformazione, di questa transizione ecologica. Perché penso che un approccio ampio sia l’unico modo per portare alla sostenibilità ma anche ad una maggiore eguaglianza.

In occasione del suo ultimo intervento al Festival dell’Economia di Trento lei ha insistito sulla relazione strettissima che c’è tra sostenibilità ambientale, politica e sociale. Non crede che puntare su più obiettivi possa ridurre ulteriormente la nostra capacità di raggiungerli?

Io penso che non possiamo avere un’economia sostenibile se non in un ambiente sano. E, dico anche che non possiamo pensare di essere sostenibili in termini sociali, politici ed economici se la popolazione globale non è complessivamente sana.

Quando vedo il declino delle aspettative di vita negli Stati Uniti, o la crescita della diseguaglianza sociale, vedo di fatto dei sintomi di questo problema. Sono sintomi del declino sociale. Se fossimo economisti con uno sguardo ristretto sulle cose potremmo già dire che una forza lavoro che subisce il declino è di fatto improduttiva. Ma per me dobbiamo andare ben oltre. Ci dobbiamo chiedere quale sia lo scopo dell’economia. Non sono le persone a doversi mettere al servizio dell’economia, ma è proprio l’economia che deve farlo, che deve servire le persone. Nel senso più ampio. Deve contribuire ad alzare gli standard, la qualità della vita. E sicuramente la salute è un fattore importante di tutto questo. Non c’è nulla che ci tocchi di più, se non siamo sani semplicemente non stiamo bene!

Per questo credo penso che il declino dell’aspettativa di vita sia un sintomo, chiaro, del fatto che il nostro sistema economico non sta operando – per la maggior parte degli americani- come invece dovrebbe. E questa è una delle ragioni per intervenire e riformare in maniera significativa il nostro sistema economico, politico e sociale.

Per rispondere ancora alla sua domanda e concludere, direi che preservare un ambiente sano e una forza lavoro sana è essenziale per avere un’economia ed una società sana e sostenibile nel tempo.

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