Jp Morgan resta fedele ai BTp: «Lo spread non andrà oltre 400»
di Andrea Franceschi
3' di lettura
La decisione del governo di fissare il rapporto deficit/Pil al 2,4% ha colto di sorpresa quei fondi esteri che a settembre avevano comprato BTp sulla scommessa che l’esecutivo avrebbe adottato una linea prudente in tema di conti pubblici. Ma se in questi giorni molti investitori esprimono timori riguardo la possibile deriva della crisi italiana non manca, nel panorama dei grandi fondi, chi vede nel recente crollo delle valutazioni dei BTp un’opportunità. Tra questi c’è Jp Morgan AM, il braccio di asset management della banca americana.
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Un peso massimo nell’industria del risparmio gestito, con asset per 1.700 miliardi di dollari e un portafoglio obbligazionario da 484 miliardi. «I fondamentali dell’Italia restano buoni, nonostante l’incertezza politica. Per questo, per noi, l’impennata dello spread italiano rappresenta un’opportunità di investimento», dichiara Nick Gartside, capo della divisione reddito fisso e commodities, che Il Sole 24 Ore ha incontrato in occasione del meeting annuale organizzato nel quartier generale europeo della società, nei pressi del Blackfriars bridge di Londra.
Gli investitori esteri hanno ridotto significativamente la loro esposizione in titoli di Stato italiani per l’incertezza legata alle scelte di politica economica del nuovo governo. Voi come gestite il rischio Italia?
Le nostre strategie di investimento sono da sempre orientate dai fondamentali e dalla valutazione sul rapporto rischio/rendimento. Ad oggi crediamo che l’incertezza politica sia adeguatamente remunerata: per questo alcuni dei nostri fondi stanno aumentando l’esposizione in BTp. I problemi dell’Italia sono ben noti ma non si possono trascurare i punti di forza come il surplus della bilancia commerciale e l’avanzo primario.
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Non vi preoccupa la decisione del governo di portare il deficit al 2,4%?
Non eccessivamente. Tanti governi, a partire da quello americano, stanno facendo deficit spending. Non vedo nulla di strano nel fatto che anche l’Italia faccia altrettanto. È una tendenza che andrà ad aumentare nei prossimi anni. Per compensare la riduzione dello stimolo monetario si utilizzerà sempre di più la leva fiscale.
Ma l’Italia se lo può permettere? Non vede rischi sulla sostenibilità del debito se la crescita non dovesse adeguarsi alle previsioni ottimistiche del governo?
Il problema numero uno per l’Italia è il debito ma, allo stato attuale, la sua sostenibilità non è in discussione. La variabile chiave sarà la crescita economica e crediamo che le misure messe in atto dal governo possano essere di stimolo per l’economia.
Vi preoccupa la prospettiva di un declassamento del rating?
Una bocciatura da parte di Moody's è già scontata dai mercati ma ritengo assai improbabile che il rating dell’Italia scenda a quota “junk”. C’è da aspettarsi molta volatilità, questa sì, in vista delle decisioni delle agenzie.
Diversi investitori non comprano BTp perché li ritengono eccessivamente volatili. Qual è la vostra posizione in merito?
La volatilità è tornata e bisognerà farci l'abitudine. È un fenomeno strettamente correlato alla riduzione degli stimoli monetari da parte delle banche centrali e all'incertezza politica. Oggi c’è volatilità sui BTp ma lo stesso è successo con i Gilt britannici in occasione della Brexit o con gli Oat prima delle presidenziali francesi. Noi crediamo che, se adeguatamente gestita, possa essere un’opportunità. Altrimenti non compreremmo BTp.
Ma l’instabilità finanziaria può avere conseguenze anche molto importanti. L’eccessivo deprezzamento dei titoli di Stato italiani, ad esempio, può comportare l’erosione del capitale degli istituti di credito. Non vede il rischio di una nuova crisi bancaria?
C’è uno stretto legame tra banche e titoli di Stato, che va monitorato con molta attenzione. Ritengo tuttavia improbabile, allo stato attuale, una crisi bancaria perché credo che lo spread Bund-BTp non si attesterà oltre la soglia di allarme dei 400 punti.
Come giudica l’idea dei Cir, i conti individuali di risparmio, che il governo vuole varare per incentivare l’investimento in titoli di Stato da parte dei risparmiatori privati?
È una strategia che anche altri governi, ad esempio il Regno Unito, hanno adottato e che mi pare sensata. Tutto ciò che può servire a stabilizzare le fonti di rifinanziamento del debito è positivo per un governo come quello italiano, molto indebitato. Il modello di riferimento è il Giappone dove il debito (oltre il 250% del Pil, ndr) è in stragrande maggioranza detenuto da investitori domestici.
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