Juve, dalla leadership perduta alla ricerca di una nuova identità: come ha cambiato pelle il gioiello della famiglia Agnelli
La squadra è solo figlia di una vita nuova, di una pelle che cambia, di un processo in corso d'opera. Lo stesso che accompagna il gruppo industriale che l'ha partorita, coccolata, cresciuta
di Giulio Peroni
3' di lettura
La Juventus non è in crisi, non è da rifondare, è solo cambiata. Non è più quella che conosciamo, la Signora di sempre. Il club bianconero (ancora) fuori agli ottavi di Champions, lontano dal vertice del campionato, quest'anno distante anni luce dalle proprie ambizioni, accusato di ridimensionamento, leadership perduta, è una creatura che oggi vaga nel futuro. Alla ricerca di un dove. Di un cosa su cui ritrovarsi.
La Juve in realtà è solo figlia di una vita nuova, di una pelle che cambia, di un processo in corso d'opera. Lo stesso che accompagna il gruppo industriale che l'ha partorita, coccolata, cresciuta. Football Club Juventus, a strisce bianconere. «Una realtà sportiva, sociale e umana di ormai quasi centenaria storia, una identità di stile e di opere che non trova riscontri nella Penisola». Così la dipinse Giovanni Arpino.
Il sogno di una famiglia speciale
Ma la Signora è anche, soprattutto il sogno privato (persino intimo) di una famiglia speciale. Il vento ancestrale, incontrollabile di un grande amore. Le passioni sono urgenza. Quella dell'avvocato Gianni Agnelli era l'emozione di un battito. La Bianconera era la Fiat. Che un tempo nemmeno lontano, era ambizione industriale. Non company finanziaria, sinergia sui mercati. Mamma Juve, nell'Italia lunga e stretta. Fiore all'occhiello di una grande dinastia elitaria e inarrivabile, il suo atto di ricongiungimento con il popolo. La Signora era ricchezza per tutti. Per chi la riempiva di gioielli, per chi ne restava sedotto. Uno status trasversale, un soffio di presunzione. Pane, orgoglio. La chioma dell'Avvocato scompigliata dal vento, sulle tribune del vecchio Comunale. La Juventus, un club di famiglia.
Ora è pezzo (pregiato) di una multinazionale. Del gruppo Exor. Holding finanziaria di diritto olandese, controllata dalla famiglia Agnelli. Che nonostante una perdita di oltre 10 miliardi di euro, nel 2020 si è confermata la prima società in Italia. La 28ª al mondo. Con un fatturato di 135 miliardi di euro. Ne fanno parte il gruppo Stellantis (automotive), una catena di radio e quotidiani, la compagnia di capital good CNH Industrial, il gruppo riassicurativo PartnerRe, oltre alla Ferrari e alla Juventus. Una straordinaria galassia che ha modificato il proprio core busness. Così come la ricerca, la scelta dei profili manageriali dei suoi nuovi attori di punta.
Un cambiamento di identità
Una mutazione del tempo. Che ha alterato anche l'identità antropologica del club bianconero. Forse la sua ragione di vita. La squadra, non del tutto fuori dalla corsa scudetto, in finale di Coppa Italia (con l'Atalanta), reduce dall'incredibile scia di 9 campionati vinti, sembrerebbe avere svoltato. Verso una concezione diversa della sua esistenza. Più finanziaria che sportiva? Ha venduto Pjanic per creare plusvalenza. Lo ha rimpiazzato con il giovane (non si sa quanto futuribile) Arthur. Ha investito 60 milioni all'anno per Cristiano Ronaldo. In nome del tutti per uno e non dell'uno per tutti, vecchio refrain bianconero sin dai tempi de “Le Roi” Michel Platini.
La proprietà non ha rimpiazzato Beppe Marotta. Di fatto eliminando il ruolo di amministratore delegato sportivo (direttore generale), credendo invece nel duo Nedved-Paratici, coadiuvati da sette cariche tra amministratori ed amministratori indipendenti. Un organigramma ad occhio nudo più aziendale che sportivo. Più votato al planning che alla composizione del puzzle del successo pedatorio. Un management oggi peraltro impegnato nell'arduo compito di aspettare (e gestire) la “discesa” fisiologica di un formidabile ciclo (quello dei Buffon, Bonucci, Chellini), e l’inevitabile transizione della ricostruzione.
Una squadra senza leader?
Ma con quali linee e su quali basi? Al netto della scelta dell'allenatore (Pirlo ora, in parte l'Allegri di ieri, Lippi, Trapattoni) che alla Juve, Capello a parte, hanno sempre preferito fare crescere in casa, la “nuova” squadra è stata costruita senza leader nell'undici che scende in campo. Non c'è più la regola della scelta dell'uomo, prima ancora che del calciatore. A Torino il fattore personalità ha sempre prevalso su tutto. Anche sul concetto di campione. Le due unità hanno sempre formato una somma.
Oggi ad Andrea Pirlo è stata assegnata una squadra senza gruppo. Tecnicamente incompleta. Nella quale hanno trovato spazio quattro esordienti. Un inedito. L'anima è ancora quella dei veterani. Il centrocampo (Ramsey- Rabiot- Betancur) è una piattaforma discreta ma anonima. La speranza è nella creativa giovinezza di Federico Chiesa. Ma è l'assenza di pragmatismo “emotivo” (e pallonaro) dei suoi pur bravi dirigenti, il vero nodo della Juve attuale. Che ha bravi giocatori. Ma non più atleti al servizio di una idea. Di un sogno imprenditoriale. Di un popolo che possa rispecchiarsi in una grande famiglia. Come sempre, da sempre. Piazza S.Carlo, la spada di Emanuele Filiberto di Savoia. Brilla la luna.
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