ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùLa mostra a New York

Karl Lagerfeld, la vita (e la moda) come incessante creazione di sé

Venerdì 5 maggio al Costume Institute del Metropolitan Museum aprirà la mostra dedicata allo stilista. Fra amicizie, passioni, idiosincrasie e genialità, ecco cosa si potrà scoprire su “re Karl”

di Giulia Crivelli

5' di lettura

L'annuncio ufficiale arrivò, non da New York ma da Parigi, il 30 settembre dello scorso anno: la mostra dedicata ai sei decenni di carriera dello stilista (mai aggettivo fu più riduttivo) si sarebbe chiamata Karl Lagerfeld: A Line of Beauty e sarebbe stata aperta al pubblico dal 5 maggio al 16 luglio 2023, mentre Costume Institute Benefit del Met, più conosciuto con il nome di “Met Gala, sarebbe stato organizzato lunedì 1° maggio 2023, ovvero domani. Top secret la lista dei “privilegiati tra i privilegiati” che siederanno al tavolo dove Karl Lagerfeld sarà il convitato di pietra. Difficile dire se il “festeggiato” sarebbe apparso indispettito, magari persino irritato, da tanta celebrazione. Impossibile capirlo visto che si tratta di un evento post mortem e Lagerfeld ha sempre detto di detestare funerali e cerimonie simili (il suo è stato in forma strettamente privata, come da volontà testamentarie).

Karl Lagerfeld, ritratto di Annie Leibovitz. Vogue / Trunk Archive

Ma visto che Lagerfeld amava spiazzare interlocutori di ogni tipo – e allo stesso tempo sapeva di essere costantemente al centro dell'attenzione e anzi si era costruito un entourage di persone più o meno adoranti –, forse osserverebbe il suo tavolo del Met Gala con orgoglio e soddisfazione, celata o, più probabilmente, malcelata. Di sicuro – e in questo c'entrano le sue origini tedesche – non si sarebbe fatto abbracciare né toccare più di tanto e quasi certamente non avrebbe mangiato molto.

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Da quando, con una dieta iniziata nel 2000 e durata 13 mesi, aveva perso 42 dei suoi 102 chili, si era imposto l'ennesima regola di autodisciplina e aveva deciso che il cibo, come piacere, era largamente sopravvalutato e che lui se ne sarebbe in gran parte comunque privato. Gli piaceva tantissimo essere tornato magro, era felicissimo di poter indossare gli abiti di Saint Laurent, ad esempio. Come molti stilisti, da un certo punto in poi della sua vita Lagerfeld iniziò a vestirsi in modo molto riconoscibile. Una scelta sapiente, perché basata in realtà più sugli accessori (gli occhiali, in primis) e poi sull'acconciatura (il celeberrimo codino bianco) che sull'abbigliamento.

Abito da sposa, Chanel, collezione haute couture autunno-inverno 2005-2006. Courtesy Patrimoine de Chanel Paris. Photo: Julia Hetta

Lagerfeld possedeva (e indossava) centinaia di camicie, giacche, pantaloni, cinture e anelli, scarpe e calze, cravatte e fermacravatte, distinguibili dai dettagli, che solo lui e le persone che lo vedevano ogni giorno potevano vedere e apprezzare.Lagerfeld ha vissuto tantissimi (troppi?), rapporti e relazioni, di lavoro e non solo; ha accumulato esperienze, dalla fotografia alla moda, passando per l'editoria, ma ha collezionato anche oggetti, case, mobili (quelli dell'abitazione di Parigi li ha lasciati in eredità a Carolina di Monaco).

È stato un uomo felice, almeno a tratti? Questa possibile felicità gli è venuta dal lavoro, dalla ricchezza o dalle persone che ha amato? Ha mai provato qualcosa di simile alla quiete, ha mai pensato di aver trovato il suo posto nel mondo? Difficilissimo rispondere: non ci sono riuscite le tante biografie uscite dopo la sua morte né i libri scritti da ex collaboratori o amici, anche molto speciali. Testi che pure saranno alla base del film che sarà dedicato alla vita di Lagerfeld, con Jared Leto come protagonista. Gli facevano piacere in vita e gli farebbero piacere ora le tante voci – a volte sterili e volgari pettegolezzi – che lo circondano? Anche a questa domanda è difficile rispondere.

Karl Lagerfeld con Silvia Venturini Fendi

Amava provocare, gli piaceva alternare linguaggio ricercato a espressioni sbrigative, tranchant, addirittura superficiali. Cambiava idioma con facilità, passando dalla sua lingua madre, il tedesco, al francese, inglese o persino italiano, che aveva imparato nella lunghissima frequentazione con la famiglia Fendi, maison con la quale collaborò dal 1965, un altro record. E Silvia Fendi, figlia di una delle cinque sorelle che fondarono l'azienda a Roma nel 1925, fu probabilmente l'ultima persona a parlargli al telefono. Lagerfeld morì pochi giorni prima della sfilata Fendi che era in programma (e si svolse) a Milano per la settimana della moda donna di febbraio. Una vita apparentemente senza imprevisti, perché Lagerfeld faceva sembrare naturale le tante interconnessioni tra i suoi ruoli di direttore creativo di tre marchi allo stesso tempo: Chanel, anche qui battendo l'ennesimo record di durata come direttore creativo, Fendi e il marchio che porta il suo nome.

Altrettanto naturale potevano sembrare interessi, frequentazioni e attività in bilico tra marketing aziendale e promozione. Ma sarebbe ingeneroso e, ancora una volta, riduttivo, dire che Karl Lagerfeld si era trasformato o aveva voluto trasformarsi, in un marchio, rendendo riconoscibile ogni cosa che facesse o comunque riconducibile a lui. Sarebbe stato impossibile per chiunque affermare con certezza che le sfilate di Chanel e quelle di Fendi, l'irriverenza al limite del kitsch degli accessori a marchio Karl Lagerfeld fossero tutte a firma della stessa persona. Non ex ante, perlomeno.

Immaginando di vedere le sfilate e le collezioni Karl Lagerfeld (che hanno un posizionamento prezzo completamente diverso da quello delle due maison di prêt-à-porter) senza loghi evidenti, forse nemmeno Virginie Viard, che Lagerfeld definiva il suo braccio destro e sinistro da Chanel e che ne ha magistralmente raccolto come direttrice creativa della maison. Forse nemmeno Silvia Fendi, che Lagerfeld raccontava sempre di aver visto bambina. Forse nemmeno la citata Carolina di Monaco, considerata da Lagerfeld amica e musa, come lo è diventata la figlia Charlotte.

Ex post, certo, è facile vedere un fil rouge, trovare la strada nel labirinto creativo che Lagerfeld si è divertito tutto la vita a creare, percorrere, immaginare, arricchire. Lagerfeld è stato famoso per rivalità non sempre sane, per sé e per gli altri, con “colleghi” stilisti (celeberrima quella con Yves Saint Laurent). Come intensamente lavorava, intensamente amava e odiava. Aveva una sua idea di tradimento o fedeltà, che spesso sconfinava nel desiderio di adulazione totale e che non ammetteva deroghe temporali.

Karl Lagerfeld con Ines De La Fressange al termine di una sfilata Chanel

L'esempio migliore è il rapporto con Ines De La Fressange, tra le donne più carismatiche, intelligenti, ma anche indipendenti, entrate, uscite e poi rientrate nella vita di Lagerfeld. Modella, musa, amica, a un certo punto Ines si sposò e decise di dedicare tempo alla famiglia che voleva costruire. Tempo che Karl considerò colpevolmente e inspiegabilmente rubato a lui e per anni non la volle più vedere né sentire. Salvo riconciliarsi: un percorso ricordato con immenso affetto e rispetto dalla stessa Ines, che, se avesse una personalità e un carattere diversi, forse avrebbe rifiutato il riavvicinamento (avvenuto senza spiegazioni apparente come se, di nuovo, fosse la cosa più naturale del mondo, uscire e poi bruscamente rientrare nelle grazie del genio).

Con l’amatissima Choupette

Una nota finale merita il legame che Lagerfeld instaurò con Choupette, la gatta birmana che nel 2011 Baptiste Giabiconi (modello e amore, quasi certamente platonico, dell'ultima fase della vita di Lagerfeld) gli aveva affidato dovendo lasciare Parigi per impegni di lavoro per qualche settimana. Scoppiò un amore che almeno all'inizio stupì lo stesso Lagerfeld, che forse volle recuperare il tempo perduto: «Come ho potuto privarmi della compagnia e dell'osservazione dei gatti per così tanto tempo?», disse una volta. Una gatta come Choupette (o forse come tutti i gatti) e un uomo come Lagerfeld, indiscutibilmente unico, avevano a ben guardare molto in comune: i gatti chiedono e allo stesso tempo rimutano il contatto fisico. Sono prevedibili solo nella loro imprevedibilità. Sono affascinante e irritanti allo stesso tempo. Consci dei rispettivi limiti e affetti da sindrome di onnipotenza. Se i leoni potessero parlare, noi non li capiremmo, diceva Wittgenstein. Lagerfeld ha parlato molto ma in pochi lo hanno capito. Tranne forse Choupette.

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