Kerch e Mar d’Azov, il fronte economico dell’ultima sfida tra Russia e Ucraina
di Antonella Scott
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Da questa mattina è in vigore la legge marziale nelle dieci regioni ucraine costiere e vicine alla Russia, per 30 giorni: Mosca, accusa il presidente ucraino Petro Poroshenko, «sta ammassando truppe ai confini». La tesi di Vladimir Putin, che ha commentato per la prima volta il sequestro di tre navi ucraine al largo di Kerch, in Crimea, è che si sia trattato «indubbiamente di una provocazione organizzata dalle autorità e, credo, dal presidente in carica alla vigilia delle elezioni presidenziali ucraine del prossimo marzo». Il pessimo rating di Poroshenko, ha detto Putin, non gli consentirebbe neppure di passare al secondo turno, «per questo doveva fare qualcosa per aggravare la situazione e ostacolare gli altri candidati». Ma intanto, l’allarme di Poroshenko sembra confermato dallo stesso ministero della Difesa russo che - secondo quanto scrive l’agenzia Interfax - schiererà in Crimea i nuovi sistemi antimissile terra-aria S-400. Saranno operativi per la fine dell’anno.
L’incidente sotto il ponte di Kerch è tornato a spalancare la sfida tra Russia e Ucraina, che già rotola come una valanga verso il rischio di un confronto diretto mentre la alimentano gli scambi di accuse e la concreta possibilità di nuove sanzioni americane ed europee contro Mosca. Tutto ruota attorno a questo ponte che paradossalmente russi e ucraini avevano cercato un tempo di costruire insieme. Ma prima di loro, l’idea di un ponte che legasse la Crimea alla costa russa del Mar Nero era stata accarezzata dai britannici per una ferrovia Londra-Delhi; poi dai nazisti, che bombardarono quanto erano riusciti a costruire per non lasciarlo ai russi; e dai sovietici, che misero al lavoro l’Armata Rossa per poi veder crollare il loro ponte ferroviario, speronato da un iceberg.
Non è solo per lo scontro del 25 novembre che le acque del Mar d’Azov vengono definite tempestose: lo sono da sempre per la geologia complicata dello Stretto di Kerch, la natura limacciosa del fondo del mare, l’acqua dolce portata dal Don che diventa più facilmente ghiaccio, i venti feroci e i tornado che ben conosce Novorossiisk, re dei porti russi, il principale per l’export di grano. Le gigantesche difficoltà tecniche gonfiavano il costo del ponte di Kerch, e quando finalmente russi e ucraini trovarono l’accordo su un progetto comune, nel 2014, era troppo tardi: sul Maidan di Kiev erano già iniziate le proteste, e il mese dopo la crisi precipitò per separare fatalmente i due Paesi.
E ora che la Russia lo ha costruito da sola, il ponte di Kerch inaugurato in maggio è un cancello che si apre su un mondo completamente trasformato. Qualunque cosa succeda in quelle acque, dal Mar Nero al Mar d’Azov, si infrange nella convinzione russa che la Crimea sia tornata legittimamente a far parte della Federazione; e nella determinazione ucraina a non riconoscerlo. Dal marzo 2014 (dopo il referendum in Crimea non riconosciuto dalla comunità internazionale) la Russia «è l’unico governo sovrano sullo Stretto di Kerch, e quelle sono sue acque interne», come dice Grigorij Karasin, viceministro degli Esteri russo,in un’intervista al quotidiano Kommersant. Secondo Kiev, invece, la costruzione del ponte è avvenuta in violazione della sovranità e integrità territoriale ucraina.
Un trattato firmato nel lontano 2003 da Vladimir Putin e dal presidente ucraino allora in carica, Leonid Kuchma, regola l’utilizzo condiviso di Mar d’Azov e dello Stretto di Kerch da parte di Ucraina e Russia, «nazioni storicamente fraterne». Acque pescose di un mare interno - dunque non soggetto, dice Karasin, alla Convenzione Onu sul diritto del mare - riconosciute come «economicamente importanti» per entrambi i Paesi, liberi di accedervi con mercantili e navi militari.
Se l’accordo è sopravvissuto alla perdita ucraina della Crimea, è stato il ponte a cambiare le cose. Ormai nel Mar d’Azov all’Ucraina sono rimasti 300 km di litorale - la costa settentrionale - con due grossi porti industriali: Mariupol e Berdyansk, importanti per l’esportazione di grano e acciaio, sedi di numerose compagnie ittiche. Anche i villaggi della costa vivono di pesca e commerci marittimi. Senza più libero accesso alla Crimea, a fianco la regione separatista di Donetsk: Mariupol è vicinissima alla linea del fronte.
Gli ucraini registrano un irrigidimento di controlli e ispezioni dei propri mercantili dalla primavera scorsa, a opera della Guardia costiera russa diretta dall’Fsb, i servizi di sicurezza. Controlli (da maggio più di 148 navi mercantili ucraine e di altri Paesi) che Mosca spiega con la necessità di sorvegliare una zona che il nuovo ponte ha reso ancor più strategica. Ma se già il conflitto nel Donbass aveva visto crollare gli scambi e i profitti del porto di Mariupol, isolamento e ritardi provocati dalle ispezioni contribuiscono ad aumentare le perdite, disincentivando l’uso di questi porti da parte di compagnie marittime ucraine e internazionali. Come se non bastasse l’altezza dell’arcata centrale del ponte russo - 35 metri - che esclude i mercantili più grandi utilizzati dall’Ucraina. Il ministero ucraino delle Infrastrutture parla di perdite annuali di 20-40 milioni di dollari.
La vicenda del rimorchiatore ucraino sequestrato presso Kerch ha fatto esplodere la situazione: la Russia, accusa Kiev, sta cercando di destabilizzare l’Ucraina alla vigilia del voto, di isolare ancor più i suoi porti e trasformare l’Azov in un mare interno russo. Con l’aiuto di un ponte da 4 o 5 miliardi di dollari, voluto a ogni costo dal Cremlino: e non solo con il compito, se Kiev ha ragione, di collegare la Crimea alla ritrovata madrepatria.
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