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L’addio al calcio di Ibrahimovic, San Siro in lacrime. Festa scudetto a Napoli

Nell’ultima giornata di Serie A, Atalanta e Roma in Europa League. Juventus in Conference, in attesa delle decisioni dell’Uefa

di Dario Ceccarelli

A Napoli è festa scudetto, la gioia dei tifosi in Piazza del Plebiscito

6' di lettura

Come si dice? È passato in un lampo. Giù il sipario. Con l'ultimo turno, tra feste, lacrime e addii, è finito uno dei campionati più sorprendenti degli ultimi anni.

Sorprendente, per cominciare, perché lo scudetto è andato al Napoli dopo una cavalcata trionfale che ha pochi riscontri col passato. Basti pensare che la Lazio, brillante seconda, è staccata di ben 16 punti. L’Inter, in terza posizione, di 18. Il Milan, quarto (ultimo posto per la Champions), addirittura di 20 punti. Un abisso. Un abisso che rende bene quanto il Napoli, grazie soprattutto al lavoro di Spalletti, abbia corso praticamente da solo, relegando le altre rivali al triste ruolo delle inseguitrici.

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Ieri c'è stato l'ultima atto dell'infinita festa del popolo partenopeo con lo scontato successo (2-0, reti di Osimhen e Simeone) sulla tenera Sampdoria, già retrocessa da settimane dopo una stagione più che tormentata. Ma la partita era un pretesto per stare assieme ancora una volta e godersi, con attori e cantanti al Maradona, un titolo che sotto il Vesuvio mancava da 33 anni. E a parte l’acido divorzio finale tra De Laurentiis e Spalletti, non poteva esserci uno scudetto più corale e meritato. Tanto che dopo la lunga pausa invernale, per i Mondiali in Qatar, si era già capito che per le altre big non c'era trippa. Troppa la sproporzione, e non solo nei numeri. Una superiorità totale: di gioco, di velocità, di compattezza. Con quei due satanassi in attacco che tramutavano in gol qualsiasi palla toccassero.

Senza Spalletti non sarà facile

Ora però bisogna ripartire. Senza più Spalletti triste e solitario già lanciato verso il suo anno sabbatico («Un addio d'amore, mi faccio male lo so»); e con De Laurentiis che ribadisce orgogliosamente la sua centralità («Nessun problema, troveremo più avanti un altro buon allenatore come faccio da 14 anni…»).

Non sarà facile, no. Che arrivi Enrique, un italiano o qualunque altro allenatore, non sarà comunque facile bissare una stagione così magica conclusa con tutto questo “spreco” gettato nella spazzatura come fanno i ricchi annoiati dopo le feste. C'è chi ha il pane e lo butta via. C'è chi non ce l'ha e fa carte false per averlo. Solite contraddizioni di un calcio che non ha ancora ben capito che l'epoca delle tre tavolette è finita. Che i nuovi proprietari (cinesi, americani, arabi e quant'altro) non sono disposti a lanciarsi nell'agitato mare delle plusvalenze e degli azzardi contabili da cui la Juventus sta disperatamente cercando di uscire.

Un campionato sorprendente, e anomalo, perché in mezzo c'è stato un Mondiale ancora più anomalo con la nuova esclusione della nazionale italiana. La seconda stranezza è che però, in questa bufera, i nostri club siano brillantemente andati avanti in Europa. Soprattutto pensando all’enorme divario economico tra le società italiane e quelle europee più blasonate.

10 giugno la finale di Champions a Istanbul

Tra cinque giorni a Istanbul va in scena la finale di Champions tra Inter e Manchester City. Al di la del fatto che il City ha una panchina lunga come la Transiberiana, quello che impressiona è il divario economico: la valutazione globale della società inglese è di quasi un miliardo e mezzo, quella dell'Inter invece è di poco più di 400 milioni. Il City, come riporta il collega Sebastiano Vernazza, prendendo spunto da una classifica del Cies, è la prima società al mondo. L'Inter invece occupa solo il 18esimo posto. Ecco perché, se la squadra di Inzaghi riesce a battere quella di Guardiola, siamo vicini a una impresa quasi leggendaria.

Intendiamoci: il bello della calcio è proprio la sua imprevedibilità. Non è una scienza esatta. L'Inter poi vive un momento magico, come ha dimostrato anche a Torino, vincendo (0-1) in scioltezza contro i granata per nulla rassegnati. L'Inter finora ha vinto tutte le finali che ha disputato. Ha un attacco con Lautaro, Lukalu e Dzeko che fa paura a chiunque. Alla minima incertezza ti castiga. Tanto che l'unico dubbio di Inzaghi sarà quello di chi lasciare in panchina. Non siamo insomma a Davide e Golia. Sono due mondi diversi, certo, però in una finale non incolmabili. Guardiola questo sabato a Wembely ha conquistato il secondo trofeo della stagione (La Fa Cup) contro l'altra squadra di Manchester, lo United di Ferguson. Un 2-1 non brillantissimo per i parametri del City. Qualcuno è sembrato affaticato. Dettagli, certo. Ma anche Guardiola ha i suoi cattivi pensieri: non ultimo che la Champions l'abbia vinta solo sulla panchina del Barcellona. Anche il grande Pep quindi ha un tarlo che lo rode. Sta all'Inter ingigantirlo quanto basta.

Ma prima dell'Inter, toccherà alla Fiorentina, mercoledì a Praga, tenere alta la bandiera del calcio italiano. In palio c'è la Conference League. La sfida è con gli inglesi del West Ham. Gli inglesi sono forti ma abbordabili per i viola. Anche i bookmaker li danno quasi in parità. Se Italiano la spunta, le sue azioni andrebbero alle stelle. Piace al Napoli, alla Juve, a chiunque abbia una panchina libera. Così è la strana vita degli allenatori. Un giorno sulla graticola (come Inzaghi due mesi fa) un altro beatificati, ma ben sapendo che bastano due partite per finire di nuovo nella bufera.

Mourinho: quando il Vate ha sempre ragione

Uno nella bufera, ma alla fine sempre in sella è invece Mourinho, Vate per definizione. Speciale a prescindere. Qualsiasi suo collega, pensiamo Allegri, che avesse perso così la finale di Europa League con il Siviglia, sarebbe stato investito da critiche feroci. Sia per alcuni cambi non felici, sia per l'aver lasciato troppo l'iniziativa agli avversari. Non ultima la scelta dei rigoristi, anche questa poco azzeccata. Nulla di male, cose che succedono. Perdere ai rigori non è la fine del mondo. La fine del mondo l'ha però scatenata lo stesso Mourinho prima contro l'arbitro Taylor, poi abbandonando il campo prima della premiazione degli spagnoli. Si parla tanto di educazione allo sportività e poi non si onora i vincitori? Un brutto gesto, come quel continuo aizzare i tifosi contro Taylor con le inevitabili conseguenze che sappiamo. Un conto è far notare i due pesi e due misure dell'arbitro, un altro esporlo al pubblico ludibrio. Senza che nessuno, tra mille telecronisti e opinionisti della Rai, alzasse una sola parola di critica nei confronti di sua Maestà Mou al quale, oltre agli 8 milioni a stagione, tutto è concesso.

L'addio in lacrime di Ibrahimovic

Il Grande Ibra, il gigante svedese che risollevò sulle sue spalle un Milan che sembrava un povero Diavolo, è stato salutato dal popolo rossonero come una rock star. Lacrime, cori e riconoscenza. Con uno striscione della curva sud (”Godbye”) che ben sintetizza con una gioco di parole quanto il bomber sia ormai pronto per la beatificazione. L'ultima partita a San Siro col Verona (3-1, rigore di Giroud e scintillante doppietta di Leao) si è aperta proprio con le lacrime del grande Zlatan, per una volta anche lui tenero di cuore. «Lascio il calcio ma non voi...», ha detto col magone ai 70mila tifosi rossoneri aggiungendo che gli «mancherà andare ogni giorno a Milanello e che neppure in famiglia sapevano del suo ritiro...». Cosa farà adesso, Ibra, ancora non si sa. Per quanto grande sia, anche lui dovrà decidere cosa farà da grande.

Gli ultimi verdetti della Serie A

E così siamo davvero ai titoli di coda anche se, per la retrocessione, si dovrà fare un ulteriore supplemento per decidere quale sarà la terza formazione che, oltre a Sampdoria e Cremonese, andrà in B. Verona e Spezia, avendo chiuso al terzultimo posto con 31 punti, domenica prossima si sfideranno in un spareggio- salvezza in una sede che sarà definita lunedì da un consiglio di Lega straordinario. Atalanta e Roma, rispettivamente vittoriose su Monza (5-2) e Spezia (2-1) andranno in Europa League. Mentre la Juventus, che ha chiuso al settimo posto dopo il successo sull'Udinese ( 1-0 ), potrà partecipare alla Conference League, sempre che la Uefa non la squalifichi per un anno dalle coppe europee. Qui naturalmente le cose si complicano sia per le inchieste ancora in corso, sia perché il futuro della Juventus è tutto ancora da scrivere a partire dal quello di Allegri. Ma qui si entra nella giostra degli allenatori. Una giostra che è appena cominciata.


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