L’altro lusso cerca spazio tra glamping e borghi
L’imperativo non è spendere di più, ma fare qualcosa di insolito. In Italia però strutture e offerte sono ancora poco diffuse
di Giovanna Mancini
3' di lettura
C’è un lusso che non ha nulla a che fare con il denaro o con il numero di volte in cui, nell’arco di una stessa giornata, vengono cambiati gli asciugamani nella stanza d’albergo.
È il lusso di concedersi una vacanza – anche di pochi giorni – lontana dai percorsi più noti e battuti, in cerca di spazio e ispirazione per se stessi. Praticando sport estremi in alta montagna o semplicemente passeggiando tra i boschi a quote più basse. Visitando borghi sconosciuti ed entrando in contatto con la vita locale. Frequentando corsi di cucina, ceramica, o di qualunque altro ambito capace di appagare curiosità e passioni personali.
Perché questo è oggi il vero lusso, spiega Massimo Feruzzi, amministratore unico di Jfc, società di consulenza in ambito turistico: «Cercare luoghi o esperienze inconsueti. Non spendere di più, ma fare qualcosa che sia soltanto nostro e che ci rispecchi». Per farlo non servono le cinque stelle (che non guastano, per chi può permettersele): bastano una casa sugli alberi o una tenda con copertura trasparente per dormire guardando le stelle, alloggi «Cartoon» dedicati a personaggi dell’animazione, oppure strutture galleggianti per dormire sull’acqua. Esperienze «non convenzionali» richieste soprattutto dai turisti stranieri, spiega ancora Feruzzi, ma ancora poco diffuse in Italia: appena un centinaio di strutture possono essere ricondotte a questa tipologia, per un totale di 1.230 posti letti e 13 milioni di euro di fatturato nel 2018, secondo un recente studio di Jfc. Più diffuso il fenomeno del «glamping», il campeggio rivisitato in chiave «green» o «luxury». Sempre secondo Jfc, nel 2018 sono stati quasi 264mila i turisti che hanno scelto questa formula (contro i circa 216mila del 2017), per il 60,2% stranieri, muovendo un fatturato complessivo di circa 26,2 milioni di euro tra strutture ricettive e indotto.
Accanto a queste esperienze più innovative, continuano a crescere in Italia anche formule di vacanza introdotte già da alcuni anni, come i piccoli borghi, gli alberghi diffusi o l’enoturismo. Tutti fenomeni accomunati da una visione «slow» del viaggio, contrapposta a vacanze sempre più «mordi e fuggi», che diventa occasione per scoprire destinazioni meno scontate o congestionate, alla ricerca di «autenticità, bellezze artistiche o paesaggistiche, culture e tradizioni locali», come spiegano dal Centro Studi Turistici (Cst) di Firenze, possibilmente con mezzi e strutture a basso impatto ambientale e rispettose dei luoghi visitati. Rientrano in questa categoria anche i cammini, come la via Francigena, il cicloturismo, il turismo a cavallo e quello fluviale.
«L’obiettivo del turismo “slow” è valorizzare e promuovere lo sviluppo del territorio in modo responsabile e sostenibile, nel rispetto delle tradizioni, delle persone, dell’ambiente e dell’ecosistema locale – spiega Alessandro Tortelli, direttore scientifico di Cst – con il coinvolgimento diretto di viaggiatori, operatori e comunità locale». Secondo le stime Cst, negli oltre 5.500 borghi italiani sono presenti circa 52 mila strutture ricettive, per un totale di 1,4 milioni di posti letto. Lo scorso anno la domanda turistica in queste località è stata di circa 22,8 milioni di arrivi e 95,3 milioni di presenze, divisi in modo equilibrato tra turisti italiani e stranieri, che hanno generato una spesa complessiva di circa 8,8 miliardi di euro. Legato alla valorizzazione e al rilancio dei piccoli borghi è il fenomeno dell’albergo diffuso, una formula di ospitalità che prevede diverse unità abitative in un unico luogo urbano, che si sviluppano attorno a un’area centrale. Non sono disponibili dati sul settore scorporati da quelli dei borghi, ma anche in questo caso si tratta di una formula che continua a crescere.
In generale, fa notare Feruzzi di Jfc, sembra funzionare «tutto quello che permette di legare alla vacanza un’attività manuale o la riscoperta di antichi mestieri, comprese la pesca e la vendemmia, anche se in questi casi ci sono dei vincoli normativi che ostacolano lo sviluppo di attività turistiche correlate». Certo, rispetto alle vacanze tradizionali – al mare o in montagna o nelle città d’arte – si tratta di fenomeni ancora limitati, per numeri e valori generati. Ma l’Italia ha grandi potenzialità e lo sviluppo di questi canali consentirebbe, conclude Feruzzi, di indirizzare investimenti a favore della rivitalizzazione di aree meno sviluppate economicamente, riducendo viceversa il fenomeno di «overtourism» che sta mettendo in forte difficoltà le mete tradizionali.
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