L’amaro rinasce tra nuovi gusti e operazioni di mercato
Sembrava passato di moda, ma ora conquista i giovani. Il Gruppo Caffo (Amaro del Capo) protagonista con le acquisizioni di Petrus Boonekamp e Ferro China Bisleri
di Maurizio Maestrelli
3' di lettura
Caduti nel dimenticatoio, va da sé esclusi quelli da aperitivo, oppure confinati al ruolo polveroso di “digestivo” o, al massimo, a quello di “bicchierino del dopocena” che fa tanto film in bianco e nero, per gli amari sembra arrivato il tempo della rivincita. Ne è convinto ad esempio Matteo Zed, barman italiano innamorato di queste specialità, che agli amari ha da poco dedicato un libro (Il grande libro dell’amaro italiano - Edizioni Giunti) rivelando come «in America parlare oggi di amaro è come parlare di gin». Ovvero del distillato più di moda degli ultimi anni.
Ma parlare di amaro in fondo significa parlare d’Italia perché questo liquore arricchito delle più diverse botaniche sembra essere decollato dalla scuola medica salernitana per poi propagarsi nelle centinaia di monasteri sparsi lungo tutta la penisola. Al fianco di questi storici prodotti si sono recentemente aggiunti nuovi amari. Addirittura c’è chi ha creato un amaro con base birra, come ad esempio ha fatto recentemente il birrificio trevigiano 32 Via dei Birrai con Ambedue usando una birra ambrata di propria produzione e arricchendola con genziana, anice stellato, assenzio.
La rinascita dell’amaro è comunque legata in modo particolare alle nuove modalità di consumo. Da un lato i barman di tutto il mondo si sono messi a utilizzarli come twist di ricette classiche o nuove elaborazioni, dall’altro i consumatori, soprattutto le nuove generazioni, si sono resi conto che esiste un amaro per ogni palato.
Più di tutti se ne è reso conto Sebastiano Caffo, alla guida di un gruppo (fatturato 2019 a 83 milioni) che ha saputo trasformare il suo prodotto di punta Amaro del Capo, da specialità regionale calabrese a leader nazionale del segmento con una quota (Gdo più Horeca) del 33%.
L’azienda familiare, nata nel 1915, si è resa recentemente protagonista con due importanti acquisizioni succedutesi nel giro di pochi mesi. Prima Petrus Boonekamp, amaro olandese tra i più storici (è nato nel 1777) e, in una sorta di uno-due pugilistico Ferro China Bisleri, marchio italiano leggendario fin dal 1881.
«Il cambio di passo aziendale – ci ha spiegato Caffo – è iniziato a fine anni 90 quando abbiamo iniziato a costruire una rete vendita nazionale puntando proprio sull’Amaro del Capo che è sì un prodotto molto calabrese per botaniche ma anche moderno, di facile approccio soprattutto nella modalità di consumo “ghiacciato”. All’inizio dei 2000 eravamo sbarcati in alcune grandi catene come Carrefour e Standa e, passo dopo passo, siamo riusciti a crescere».
Tanto da, nel 2013, rilevare la gestione, e dopo qualche anno la proprietà, dell’Elisir Borsci San Marzano, altro marchio storico che qualche anno prima era andato in crisi. «Fin da bambino ho sempre vissuto in prima persona l’attività di famiglia – confessa Caffo –. Da piccolo disegnavo etichette di liquori e poi mi facevo riempire delle piccole bottiglie apposta. Una di queste aveva la mia versione dell’etichetta di Ferro China Bisleri. La conservo ancora in ufficio. Quando poi sono entrato in azienda quel marchio era ancora nel mio cuore». Ed evidentemente, anche nel mirino.
L’acquisizione da Diageo di Petrus , rivela sempre Sebastiano Caffo, è stata in qualche modo funzionale proprio all’acquisto di Ferro China Bisleri, brand ormai quiescente da qualche anno. «Ma entrambi i prodotti li riteniamo strategici per lo sviluppo aziendale – conclude –. Da un lato Petrus è un amaro tradizionale, forte, e non entra in competizione per target e modalità di consumo con il nostro Amaro del Capo, dall’altro Ferro China Bisleri non è ovviamente solo un’operazione nostalgia ma è funzionale alla diversificazione della gamma permettendoci di entrare anche nel canale delle farmacie e delle erboristerie. Del resto Ferro China, all’inizio della sua storia, aveva anche funzioni di tonico e di ricostituente perchè ricco di ferro e china e l’apertura di nuovi canali è un suo naturale sviluppo». Nonché un ritorno di un brand tricolore in mani italiane che, di questi tempi, è già una notizia.
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