Giornata mondiale della Terra

L’Amazzonia ferita in cerca di un nuovo paradigma: la coltivazione

Il “via libera” alla deforestazione, provocata dal presidente Bolsonaro, mostra danni incalcolabili all’ecosistema e un record assoluti di tagli

di Roberto Da Rin

(AdobeStock)

5' di lettura

Sì, certo, è un “polmone verde”. Meglio sarebbe dire una …foresta continentale. L’Amazzonia è grande 18 volte l’Italia. Nel racconto di un emigrato italiano, durante un interminabile viaggio verso una Madonna Nera cui chiedere una grazia, a bordo di una corriera che non correva, i bambini piagnucolavano per la stanchezza. La madre, con affettuosa fermezza: «Non è il viaggio che è lungo, è la fede che è corta».
Una regione geografica, dicevamo, con molti distinguo: per un nativo, il suo habitat. Per qualche brasiliano, una risorsa da sfruttare, per qualcun altro una magnifica ricchezza da tutelare, per i più illuminati, una terra da coltivare. Per un europeo, uno spazio mentale.

L’Amazzonia la si può guardare da prospettive diverse; se il primo passo è risalire ai testi, beh, quelli di Geografia economica ne scrivono così: «Inglobamento del bioma amazzonico nell’ecumene», parole difficili per spiegare che è un luogo dove si trovano condizioni ambientali favorevoli alla dimora permanente dell’uomo.

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Il termine Amazzonia è quasi sempre associato a un timore, quello di chi assiste allo scempio di una distruzione incipiente. Il dibattito politico non aiuta, l’ultima provocazione è di pochi giorni fa e arriva da un ministro del governo di Jair Bolsonaro, il presidente del Brasile, che contribuisce più di altri alla sua distruzione.

La partita politica

L’affronto politico è questo: come fermare la deforestazione dell’Amazzonia, l’area verde vitale per la salute del pianeta? Semplice. Basta pagare il Brasile. Il ministro dell’Ambiente brasiliano, Ricardo Salles, ha espresso l’intenzione di chiedere un miliardo di dollari agli Stati Uniti per finanziare la lotta al disboscamento in Amazzonia. Secondo Salles, questa somma sarà utilizzata per ridurre la deforestazione in Amazzonia fino al 40 per cento in un lasso di tempo di 12 mesi.

Non si tratta, ahinoi di una semplice provocazione. Sarà un’istanza proposta al Summit dei prossimi giorni; l’incontro, va ricordato, è stato organizzato dal presidente degli Usa, Joe Biden, che ha invitato Bolsonaro e altri 39 leader mondiali a discutere delle questioni climatiche.

La decisione di Salles giunge dopo il recente rimpasto di governo che ha riportato d’attualità il tema dell’Amazzonia. «Il piano è da un miliardo di dollari per 12 mesi, di cui un terzo verrà destinato alle azioni di comando e controllo, e i restanti due terzi per operazioni di sviluppo economico e pagamento dei servizi ambientali in quei posti dove ci saranno maggiori operazioni di controllo e comando – ha spiegato Salles –. A queste persone della regione che verranno sottoposte a indagini più intense daremo anche un’alternativa economica affinché non sia così invitante tornare alla illegalità».

Più che proposta è stata definita un ricatto. Infatti il ministro brasiliano ha già comunicato che, nel caso il Paese non riceva aiuti internazionali, la lotta al disboscamento continuerà comunque, anche se non sarà possibile stabilire un obiettivo preciso. Quest’anno il ministero dell’Ambiente ha ricevuto i finanziamenti più bassi degli ultimi 21 anni. Le risorse per la gestione delle unità di conservazione della natura sono state ridotte. Nel 2020 erano 209 milioni di dollari, mentre nel 2021 saranno 131,1 milioni, il 37 per cento in meno.

Le rilevazioni

C’è un legame innegabile tra l’andamento della deforestazione in Amazzonia e le politiche pubbliche brasiliane. Uno studio mostra che mai prima d’ora, da quando esistono puntuali rilevazioni satellitari, erano sparite porzioni di foresta così ampie. L’unica spiegazione è il “liberi tutti” del governo Bolsonaro e la certezza dell’impunità: così sono state smantellate le misure che avevano portato a un decennio di riduzione della deforestazione.

L'accelerazione degli incendi è determinata, indirettamente, anche dal Covid-19 che non ha tenuto in quarantena i responsabili del disastro. Indebolita la tutela della foresta. La dinamica è questa: vengono accesi i roghi nella stagione secca, per ripulire i terreni dalla vegetazione rimasta, in modo da poterli usare per i pascoli o per l'agricoltura.

Da qui il disastro. I dati del Global Forest Watch rilevano che nel 2019, nel mondo, abbiamo perso 11,9 milioni di ettari di foresta, di cui 3,8 milioni di foreste tropicali. Solo in Brasile, nel 2019 è stato distrutto 1 milione e 361 mila ettari di foresta tropicale.

Le previsioni, a consuntivo, per il 2020 sono nere; Marco Tulio Garcia è un analista del Crr (Chain Reaction Research), gruppo di ricerca che pubblica uno studio puntuale in cui si sovrappongono le mappe delle aree colpite dagli incendi nel 2019 e le mappe delle aree di approvvigionamento dei principali produttori di carne bovina e soia in Amazzonia. Ebbene, i ricercatori osservano una maggiore incidenza degli incendi intorno ai silos di grandi aziende che commercializzano soia, in particolare Cargill e Bunge, o intorno ai macelli di produttori di carne, in particolare JBS, Minerva e Marfrig Global Foods.

Lo studio dimostra ancora una volta il legame tra incendi, deforestazione, agricoltura, produzione ed esportazione di materie prime.Il ruolo della Comunità internazionale è complesso ma anche ambiguo. Alcuni Paesi hanno espressamente contestato le politiche di Bolsonaro, che incentivano, de facto, la deforestazione.

Tuttavia le attenzioni e le misure di tutela sono principalmente dirette al legname, fatto certamente positivo. Ma sono poco incisive riguardo all'importazione di carne, soia e olio di palma. Uno studio di Etifor, ente di ricerca legato all’Università di Padova, stima che dal 2000 al 2010 l’Europa abbia importato in media 36.585 milioni di tonnellate l’anno di carne, soia e olio di palma, equivalenti a 225.400 ettari l’anno di deforestazione.

La coltivazione

Coltivare l’Amazzonia. Detta così parrebbe una stravaganza lessicale, la foresta è selvaggia e, per antonomasia, non coltivabile. Invece “rende”, soprattutto quando non è sfruttata nelle modalità più elementari e devastatrici.

Il Brasile è un cliché globale sotto scacco. E ora il Paese si ribella al proprio ritratto, proprio come un Dorian Gray geografico. L’Amazzonia non è un tema solo ecologico ma economico e geopolitico. Il polmone più verde dell’America Latina dovrà davvero farsi carico dei veri rischi e delle finte opportunità, che potranno “consumarla” o “conservarla”.

Uno studio pubblicato su Nature spiega che un ettaro di foresta amazzonica rende ogni anno 148 dollari se trasformato in terreno da allevamento, 1.000 dollari se impiegato per l’estrazione di legname commerciale distruggendo tutti gli altri tipi di arbusti e 6.820 dollari se la foresta viene rispettata, limitandosi a “mieterla”, per raccogliere frutta, lattice e legname.

Il taglio illegale di legname e altre attività come il contrabbando di animali esotici contribuiscono al degrado della foresta amazzonica, ma le cause principali che provocano più del 90% dell’impatto della deforestazione sono l’allevamento del bestiame e l’agricoltura.

Quest'ultima può paradossalmente provocare anche danni, per esempio liberando il terreno con il fuoco che spesso si estende al di là delle aree che si vorrebbe ripulire. Un'indagine del Climate policy initiative (Cpi), un think tank specializzato su temi ambientali, fornisce anche un'ulteriore prospettiva: il 70% delle attività di deforestazione deriva da disboscamenti effettuati per la costruzione di piccole proprietà.

Amitav Gosh, scrittore e antropologo indiano, autore del recente libro “La grande cecità”, 3 milioni di copie vendute in tutto il mondo, riconduce allo stesso paradigma concettuale, i tre disastri epocali: i disastri ambientali, le crisi climatiche e le migrazioni. «Il problema – racconta Gosh – non è il negazionismo della crisi climatica, ma la sua indicibilità». Che significa ? «Oggi chi assiste a un violento tornado è più interessato a farsi un selfie che a salvarsi».


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