L’anima africana bacia il sound dell’Europa
Fatoumata Diawara si offre come raffinato anello di congiunzione tra vecchio e nuovo continente, mentre Aurora propone elettropop boreale, accanto alla regina dell’art-rock Laurie Anderson con il suo nuovo «Let X=X»
di Enzo Gentile
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In un mosaico pregiato e multicolore, i magnifici sette (appuntamenti) che nel Ravenna Festival appartengono a filoni del mondo extra-classico raccontano musiche tanto diverse tra loro, eppure nutrite da quel bisogno di originalità che il pubblico saprà trasformare in una sana escursione fuori dalla routine.
Per inaugurare la manifestazione, dunque, non si poteva scegliere una figura più emblematica di Laurie Anderson (7 giugno), folletto elettrico dalle molteplici, pionieristiche attività che ne hanno fatto la pietra angolare dell’avanguardia newyorkese dagli anni Ottanta in poi.
Idiomi stratificati
I suoi idiomi stratificati - video, parola, voce, immagini, installazioni ospitate da musei e istituzioni - hanno poggiato sempre su una tecnologia che era cucina povera, tangibile, fatta di manipolazioni e ricette audaci perché sperimentazioni dell’anima, prima ancora che sofisticate diavolerie istruite dalle macchine. Nemica di trucchi e simulazioni - un credo che ben l’assimilava alla filosofia del marito Lou Reed -, Laurie (1947), a Ravenna presenta in esclusiva italiana una performance per tornare al cuore della sua poetica avventurosa: Let X=X riprende una traccia del suo folgorante album d’esordio, Big science (1982). Di quel disco si ricorda la singolarissima O Superman, capace di inerpicarsi nelle classifiche: pochi ingredienti dai sapori forti, un messaggio stupefacente di elettronica domestica, che la portò nel mondo.
Da allora, grazie anche a incontri con la crème intellettuale di un art-rock che lei stessa contribuirà ad evolvere, la Anderson si dedica a progetti di poesia e cinema, ma proprio quando la si dava dispersa alla causa musicale, rieccola a capo di una band, Sexmob, stimolante quintetto di jazz visionario fondato dal trombettista Steven Bernstein: una finestra che si riapre sulla stagione musicalmente più eccitante della Grande Mela.
Eccentricità
Nel piacere di affastellare eccentricità, il Festival concede una sorta di red carpet musicale al femminile, Nord e Sud del mondo rappresentati dai laboratori di Aurora Aksnes norvegese, e di Fatoumata Diawara, nata in Costa d’Avorio, ma cresciuta in Mali, annunciate il 4 e il 13 luglio.
Con un’anzianità di servizio di una decina di anni occupano caselle di rilievo nella musica d’oggi: l’una, Aurora, 1996, per uno stile onirico, evocativo, in punta di voce, con il suo elettropop boreale, l’altra, Fatoumata, 1982, di slancio, da un universo più ambizioso che nel lavoro appena uscito, London KO, prodotto dall’esuberante leader dei Blur, Damon Albarn, si offre come anello di congiunzione tra l’esorbitante ricchezza musicale del suo Paese e le leggi di un sound contaminato (ad arte) con l’Africa. L’operazione mandata in porto da Albarn, non nuovo a scorrerie nel continente nero (l’eccellente Mali music del 2002) si rivela rispettosa e di grande acutezza nel mettere a tavola, insieme alla Diawara, anche il soul Usa di Angie Stone, il pianoforte cubano di Roberto Fonseca, e poi un coro di bambini, un rapper ghanese, l’afrobeat nigeriano. Bamako chiama Londra, a dimostrare come pure in musica sia preferibile edificare ponti, piuttosto che muri.
Il programma ravennate si spalanca poi alla bontà tutta da indagare di altre invitanti pozioni: come l’esecuzione dell’ultimo progetto mandato in porto da Frank Zappa, poco prima della scomparsa. The yellow shark venne esportato in Germania e Austria per poche repliche nel settembre 1992, alla presenza dell’autore già debilitato dalla malattia: una partitura complessa, con echi delle stagioni rock di Zappa, opportunamente rivisitate e affidate alla maestria dell’Ensemble Modern, nel ruolo che stavolta toccherà al Parco della Musica Contemporanea Ensemble diretto da Tonino Battista (9 giugno).
Dopo l’incursione tra le memorie zappiane, altre date da appuntare in agenda: la Filarmonica Toscanini insieme a Kristian Järvi e a Stefano Bollani, per la prima assoluta della sinfonia Doctor atomic di John Adams (30 giugno), e poi, a premiarne le divagazioni rock, i perugini Fast Animals and Slow Kids con l’Orchestra La Corelli diretta dal maestro Carmelo Emanuele Patti (22 luglio).
Infine, fra commistioni all’insegna del famolo strano la pennellata jazz, in tutta sicurezza, del quintetto del chitarrista bostoniano Mike Stern (1953): uno degli alunni di Miles Davis, alla sua corte nei dischi elettrici di inizio anni Ottanta, estro e talento al servizio di una fusion senza età (23 luglio).
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