Vincoli e crescita

Debito pubblico: come ridurre la zavorra sui conti dello Stato?

In valore assoluto il debito pubblico è attorno ai 2.700 miliardi. In rapporto al Pil siamo al 153,5%, 20 punti percentuali in più rispetto al 2019

di Dino Pesole

Illustrazione di Giorgio De Marinis / Il Sole 24 Ore

5' di lettura

Rimosso dal dibattito pubblico, per effetto della momentanea sospensione delle regole europee e dei reiterati scostamenti di bilancio disposti dal 2020 in poi, torna ora a riproporsi con forza il dilemma: come avviare a costante riduzione il pesante fardello che pesa da decenni sul nostro Paese?

In valore assoluto il debito pubblico è attorno ai 2.700 miliardi. In rapporto al Pil siamo al 153,5%, 20 punti percentuali in più rispetto al 2019. Davanti a noi c’è solo la Grecia, con il 197,9 per cento. La Francia è al 115,3%, la Germania al 72,3%, la Spagna al 119,5 per cento.

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Il fardello

Non è solo un problema di regole europee, che dal 2023 torneranno (se pur aggiornate dopo lo shock originato dalla pandemia), ma è soprattutto una questione legata alla sostenibilità del debito e al costo del suo finanziamento. Finora, grazie alla politica monetaria ultra-espansiva della Bce, si è viaggiato in zona di assoluta sicurezza. Ma il vento sta per cambiare, e complice la ricomparsa in grande stile dell’inflazione che viaggia al 5%, i tassi cominceranno a muoversi all’insù e per noi sarà un problema. La spesa per interessi (60,4 miliardi, pari al 3,4% del Pil) dovrebbe ridursi fino al 2,5% nel 2024 (50,4 miliardi), ma alla condizione che non intervengano nuovi shock originati da crisi di fiducia dei mercati, dal rialzo dei tassi e dall’impennata dello spread.

INDICATORI DI FINANZA PUBBLICA 2020-2022*
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L’inversione di tendenza è in atto da novembre dello scorso anno, quando lo spread ha cominciato a muoversi. Principali imputate le fibrillazioni politiche esplose in vista dell’appuntamento con l’elezione del presidente della Repubblica. Il differenziale Btp/Bund si è spinto oltre i 140 punti base, 40 punti in più rispetto ai livelli dello scorso autunno. E il 3 febbraio, in coincidenza con la conferenza stampa della presidente della Bce, Christine Lagarde, che ha ammesso che l’inflazione comincia seriamente a preoccupare e che dunque il rialzo dei tassi non è più da considerarsi un tabù (quando, non è al momento dato sapere) lo spread tra Btp e Bund ha superato i 150 punti base e il rendimento dei Btp decennali ha raggiunto quota 1,642% il massimo dal 2020 (due giorni fa lo spread ha raggiunto i 166 punti per poi flettere a 156, ieri si è viaggiato attorno ai 160 punti). Il che potrebbe avere effetti sulle prossime emissioni lorde (circa 462 miliardi nel 2022), con conseguente impatto sul fronte degli interessi. La vita media dei titoli del debito pubblico è attualmente di 7,11 anni che sale a 7,29 anni se si considerano anche i prestiti dei programmi Sure e Next Generation Eu.

QUANTO È (E CHI LO DETIENE)
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L’effetto di un aumento dei tassi potrebbe non essere dirompente nell’immediato, a patto che la principale “clausola di garanzia” per la sostenibilità del debito, vale a dire la crescita (il denominatore) rimanga tale, e anzi si stabilizzi nel tempo.

Preparare il terreno

Occorre preparare il terreno con politiche di bilancio accorte e orientate al sostegno della crescita, senza alterare gli equilibri di finanza pubblica. Solo così si potrà evitare che il costo del finanziamento del debito torni non solo a limitare fortemente ogni velleità di politiche economiche espansive da qui ai prossimi anni, ma possa far riemergere lo spettro di manovre di rientro difficili da gestire. Siamo in un contesto di uscita graduale dalla crisi e di ripresa dell’economia, con il Pil che dopo il robusto “rimbalzo” congiunturale del 2021 (+6,5%), dovrebbe attestarsi nei dintorni del 4% quest’anno. Potremmo già a metà anno tornare ai livelli pre-Covid, ma le incognite non mancano, a partire dall’impatto sulle prospettive di crescita del balzo del costo dell’energia, delle materie prime e dell’inflazione. Il governo aggiornerà le stime con il Documento di economia e finanza di metà aprile, e non potrà non tener conto delle tensioni in atto.

La Banca d’Italia già prevede che quest’anno la crescita non supererà il 3,8%, e comunque – stante l’attuale quadro macroeconomico – nel 2023 saremo nel profilo programmatico attorno al 2,8% e nel 2024 all’1,9%. Come attrezzarci al mutato scenario?

Lo scenario e la storia

L’opportunità offerta dai 191,5 miliardi messi in campo grazie al Next Generation Eu è al momento la principale carta che abbiamo a disposizione. A patto di riuscire a utilizzare tale mole di risorse a pieno e nei tempi stabiliti, altrimenti si tratterà di un’enorme, irripetibile occasione perduta.

Pare allora quanto mai utile proporre ai nostri lettori una sorta di “viaggio” a puntate nel debito pubblico per indagarne a fondo la genesi (con il debito facciamo i conti fin dai primi vagiti dello Stato unitario nel 1861), la composizione, gli elementi di fragilità e quelli che potranno garantirne la sostenibilità da qui ai prossimi decenni.

La storia che ci apprestiamo a raccontare è lì a dimostrare (è accaduto nel 1992, quando la lira uscì dal sistema di cambi europeo e fu necessario ricorrere a una maxi manovra di risanamento finanziario, ma anche nel 2011 quando esplose la crisi del debito e lo spread volò a 575 punti base) che il prezzo da pagare rischia di essere salato. E non possiamo permettercelo.

La storia che racconteremo mostra con assoluta evidenza che, prima dell’esplodere del disavanzo tra gli anni 70 e 80, il debito era assolutamente gestibile.

Si preferì imboccare la strada del ricorso esponenziale all’aumento del deficit, piuttosto che finanziare (come fecero altri Paesi a noi vicini) l’aumento della spesa corrente con contestuali tagli e aumenti dell’imposizione fiscale.

Certo, era repentinamente mutato il contesto internazionale, con le due crisi petrolifere degli anni 70 che fecero volare l’inflazione, mentre gli alti rendimenti sui titoli di Stato creavano quella sorta di “illusione monetaria” raccontata nei libri di storia economica.

Un mix perverso di aumento dei prezzi e impennata del disavanzo cui si provò a porre rimedio con il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia del 1981. E c’era l’esigenza di mantenere intatta la coesione sociale, in anni turbolenti segnati dal terrorismo e dalle tensioni originate dalle rivendicazioni sociali. Il risultato, alla fine degli anni Ottanta, fu l’aver consegnato alle generazioni future un fardello enorme, con cui ancora oggi ci troviamo a dover fare i conti.

La sfida per la classe dirigente del Paese

La sfida chiama in causa non solo la politica, ma l’intera classe dirigente del Paese. E la si gioca prima di tutto attraverso il ripristino pieno di un bene primario: la fiducia. Eccolo l’ingrediente decisivo, il fondamentale atout che venne seriamente messo in discussione negli anni della crisi dei debiti sovrani, e a ritroso nel drammatico autunno del 1992. Gli investitori guardano prima di tutto alle prospettive di breve e medio termine: variabili politiche (quante elezioni ci saranno? Quali maggioranze si alterneranno alla guida del governo? Chi sarà chiamato a guidarlo?), ed economiche (quali i punti di forza e di debolezza? Il debito è pienamente sostenibile?). Nel 2021, la credibilità dell’azione di governo, resa palese dal rispetto dei 51 obiettivi assegnati dal Pnrr, consentirà di ottenere a breve la prima tranche degli aiuti europei (21 miliardi), dopo l’anticipo di 24,9 miliardi ricevuto nell’agosto dello scorso anno. Quest’anno sono in ballo altri 40 miliardi, da conseguire con il rispetto di 102 obiettivi.

Il programma di riforme è imponente. Ed eccola l’altra clausola di garanzia e di sostenibilità del debito pubblico. Le riforme – se effettivamente attuate e monitorate – possono contribuire a spingere il pedale sul Pil potenziale avviando la crescita su un sentiero stabile e strutturale di medio/lungo periodo. La “cintura di protezione” sarebbe tale da rendere meno dirompenti eventuali, nuove tensioni sui mercati. Quando, nella storia che stiamo per raccontare, siamo stati in grado di operare una svolta radicale, la gestione del debito non è mai stata un problema. Sta ora in noi provare a replicare quelle felici stagioni. Il “vincolo esterno”, che spesso ha imposto drastiche cure di risanamento, questa volta potrà agire come stimolo a innovare la nostra economia all’insegna delle priorità del nostro tempo: la transizione verde e digitale, prima di tutto.

(primo di una serie di articoli)

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