L'Argentina e le incognite del nuovo “salvataggio” del Fondo monetario internazionale
È tornata la tensione sul mercato del debito argentino, nonostante il nuovo programma di supporto del Fondo Monetario Internazionale (FMI) sia pienamente operativo
di Marcello Minenna
7' di lettura
È tornata la tensione sul mercato del debito argentino, nonostante il nuovo programma di supporto del Fondo Monetario Internazionale (FMI) sia pienamente operativo. I prezzi dei titoli governativi a lungo termine, che a maggio 2022 venivano quotati intorno al 35% del valore nominale, hanno perso un ulteriore 15%, mentre il governo sta avendo difficoltà a collocare ingenti stock di nuovo debito (vedi Figura 1).
La banca centrale (Banco Central de la Republica Argentina; BCRA) sta intervenendo in supporto delle emissioni direttamente in asta, una misura considerata (ancora) eretica nella maggioranza delle economie sviluppate.
La ragione principale di queste tensioni è la necessità del governo argentino di collocare crescenti quantità di nuovo debito sul mercato domestico, seguendo la linea imposta dal FMI (cfr. Figura 2). Da ottobre 2021, il debito è tornato a salire a tassi crescenti per via dell'impatto progressivo dei titoli indicizzati al tasso di inflazione (barre celesti, i più apprezzati dagli investitori domestici), e di zero coupon (barre blu) emessi a forte sconto. Si riduce invece il peso dei classici titoli a tasso fisso e variabile, considerati inadeguati a fronte di un'inflazione che ha raggiunto il 70% annuo. I mercati internazionali (barre rosse) restano sostanzialmente preclusi a Buenos Aires dopo il default del 2020 e la ristrutturazione di 65 miliardi di $ di debito in valuta detenuto da investitori esteri, e questo riduce i margini di azione del Tesoro.
Il rifinanziamento del debito nei prossimi 18 mesi appare ad una prima analisi piuttosto impegnativo per il governo (vedi Figura 3). Entro il 2023 è previsto il roll-over di titoli per un controvalore complessivo di 160 miliardi di $, di cui 38 denominati in dollari e nei confronti di organismi internazionali, principalmente il FMI (barre rosse). Gran parte dei rimborsi (quasi il 70%) sono da onorare a brevissimo termine, entro la fine del 2022.
Eppure la situazione non è così fosca. L'ombrello protettivo del FMI dispiegato da aprile 2022, grazie a ulteriori 44 miliardi di $ di prestiti a lungo termine, consente il roll-over del vecchio programma da 57 miliardi ed il rimborso del debito estero residuo senza problemi fino al 2026. Il rifinanziamento sul mercato interno, anche grazie al supporto della banca centrale, resta un problema gestibile di natura minore.
La ripresa economica, pur se in indebolimento, c'è: il primo trimestre 2022 ha visto un'espansione del PIL del 6% annuo, dopo il rimbalzo record nel 2021 del 10,6% che ha portato il livello del PIL ben 6 punti percentuali sopra i livelli pre-pandemia. Non si prevedono impatti significativi dal conflitto russo-ucraino per via dei deboli legami economici con i Paesi in guerra. L'occupazione è in recupero soprattutto nel settore privato manifatturiero, un elemento importante nella normalizzazione dell'attività economica, mentre il tasso di disoccupazione si è ridotto al 7%, ai minimi dal 2015. L'export è risultato in decisa espansione grazie al trend ascendente dei prezzi di cereali ed oli vegetali, che insieme rappresentano circa il 30% delle esportazioni.
Vediamo meglio come si articola il nuovo “salvataggio” orchestrato dal FMI.
Il piano del fmi e l'equilibrio dei conti con l'estero
Dopo il conclamato fallimento del programma di aggiustamento del 2018, che ha sostanzialmente bruciato 57 miliardi di $ in un'inutile difesa del cambio peso/dollaro senza riuscire ad impedire il default sul debito in valuta detenuto da investitori esteri, il FMI ha obiettivi più modesti e pragmatici.
Il piano, infatti, sembra puntare a guadagnare tempo, spostando il peso del rimborso del debito sul lungo periodo. Nel frattempo, il governo conta su un recupero progressivo di PIL ed occupazione e su una riforma profonda delle modalità di funzionamento della BCRA, che riduca il finanziamento monetario del deficit e l'utilizzo di strumenti di debito atipici con cui in passato una significativa quota di debito pubblico è stata occultata nei bilanci della banca centrale.
Formalmente Buenos Aires può accedere ora ad una Extended Fund Facility (EFF), un programma concepito in connessione con un set di riforme economiche di lungo termine, diverso nelle finalità dalla linea di liquidità accordata con lo stand-by agreement del 2018. L'obiettivo primario del FMI è quello di garantire l'equilibrio dei flussi finanziari con l'estero almeno fino al 2026, attraverso iniezioni progressive di liquidità che supportino il rimborso del debito estero e rafforzino il livello delle riserve valutarie. La Figura 4 illustra la struttura dei flussi in entrata/uscita dal Paese previsti nei prossimi 5 anni, fornendo il razionale per valutare il programma del FMI, che prevede l'esborso di 24 miliardi di $ nel 2022, in riduzione progressiva a 17 miliardi nel 2023 e poco più di 3 nel 2024.
Il rimborso del debito estero, pur ragguardevole, non rappresenta la causa principale dei deflussi strutturali di capitale dell'economia argentina: infatti tra il 2022 ed il 2027 sono previsti rimborsi per 65 miliardi di $ (barre arancioni), notevolmente meno dei 106 miliardi stimati di capitali esportati all'estero dal settore privato (barre gialle), un valore che è previsto aumentare per un probabile rilassamento dell'attuale regime di controllo dell'esportazione di valuta estera. A questi deflussi, ovviamente si deve aggiungere la restituzione del prestito FMI del 2018 per oltre 57 miliardi (barre rosa a righe), da effettuarsi prevalentemente tra il 2022 ed il 2023.
Per ottenere ciò, il Fondo innanzitutto conta su un rafforzamento del surplus commerciale argentino (barre verdi) dai 12 miliardi di $ previsti nel 2022 ai 21 previsti per il 2027, da ottenersi principalmente con un'espansione dell'export di oltre il 25%. Al fine di compensare la riduzione dei prestiti del nuovo programma (barre blu a righe), il FMI prevede inoltre 63 miliardi di afflussi netti di capitale derivanti da investimenti diretti dall'estero (barre azzurre), in aumento del 70% tra il 2022 ed il 2027. L'emissione di nuovo debito in valuta estera dovrebbe aumentare (anche se in misura modesta, barre rosse) in risposta alla progressiva normalizzazione delle relazioni tra governo argentino e creditori internazionali.
Complessivamente, la BCRA dovrebbe attingere a 29 miliardi di $ di riserve valutarie (barre blu) per garantire la compensazione piena dei flussi in entrata/uscita e l'equilibrio dei conti con l'estero.
La fuga di capitali del settore privato: una battaglia persa
Il FMI nel nuovo piano riconosce che, sebbene i cittadini e le imprese argentine siano soggetti oramai da quasi 3 anni ad una rigidissima normativa per quanto riguarda l'esportazione di valuta estera, la fuga di capitali verso l'estero prosegue ininterrotta con altri mezzi.
Imprese e risparmiatori “dollarizzano” storicamente i propri risparmi in conti di deposito/prestiti esteri, in una tipica mossa difensiva a fronte di una valuta locale in costante deprezzamento. Durante la crisi pandemica è proliferato l'utilizzo di elaborati meccanismi (i c.d. Contado con liquidacion) che prevedono l'acquisto di assets finanziari in pesos argentini e la loro liquidazione in dollari su mercati esteri da parte di società di brokeraggio specializzate che aggirano le restrizioni.
Di conseguenza anche nel 2022 è proseguito lo scollamento tra il tasso di cambio ufficiale peso/dollaro (area gialla, Figura 5) ed il tasso di cambio parallelo (area azzurra) utilizzato nelle transazioni reali, che risulta svalutato quasi del doppio. Ovviamente un tasso di cambio in caduta libera accresce la bolletta energetica ed il costo delle importazioni, rinfocolando le pressioni inflazionistiche all'interno del paese, in un momento in cui queste sono al picco in tutte le principali macro-aree economiche.
L'asfissiante controllo della liquidità in uscita scoraggia peraltro gli investimenti dall'estero, soprattutto nel settore energetico, riduce le chances di ingresso di nuova valuta forte e sta perdendo progressivamente efficacia. Per questo il programma FMI prevede l'abbandono progressivo del regime di controllo di capitali a partire da dicembre 2022. A fine luglio 2022 sono state prese le prime timide misure che agevolano l'accesso ai dollari ai turisti e alle grandi aziende importatrici nei settori dell'energia.
Eliminare il “debito occulto” della Banca centrale: il piano Fmi può funzionare?
La BCRA purtroppo non opera con standard occidentali di rigore: da anni il FMI osserva un'operatività non convenzionale di prestiti a breve termine, che ha portato ad accumulare nei bilanci della banca centrale 70 miliardi di $ di debito “atipico” a breve termine molto costoso.
Storicamente la BCRA ha sempre finanziato il deficit governativo attraverso la creazione di base monetaria e l'utilizzo di anticipi di cassa e trasferimenti al governo dei profitti (contabili).
Dal 2015 l'amministrazione Macri, nel tentativo di porre sotto controllo l'alto tasso di inflazione, aveva incentivato un'ulteriore operatività atipica della banca centrale. In sostanza la BCRA riduceva il tasso di crescita della base monetaria attraverso operazioni di sterilizzazione, cioè emettendo titoli di debito a brevissimo termine (LEBAC - Letras del Banco Central) sottoscrivibili da tutti gli operatori, financo retail, che ottenevano un tasso di interesse – teoricamente – privo di rischio. In questa maniera la BCRA ritirava dal mercato la liquidità immessa nel sistema per garantire il finanziamento monetario del deficit. Naturalmente le LEBAC dovevano essere periodicamente rinnovate, ad un tasso di interesse ancorato al tasso di inflazione per garantire il ricollocamento.
In difetto di risorse di capitale adeguate, la BCRA era costretta a finanziare il costo degli interessi sui LEBAC tramite monetizzazione, la cui sterilizzazione a sua volta incrementava la necessità di ricorrere a maggiori emissioni di LEBAC.
Lo stock di LEBAC nel bilancio della BCRA è cresciuto esponenzialmente, raggiungendo il 100% della base monetaria a metà 2018, nel momento in cui esplodeva la crisi valutaria che avrebbe portato all'intervento del FMI.
All'epoca il Fondo ha imposto la liquidazione progressiva dei LEBAC insieme ad un obiettivo di crescita zero della base monetaria, ammettendo l'utilizzo più limitato di uno strumento simile, i LELIQ (Letras de Liquidez), che avevano durata di 7/14 giorni e potevano essere collocati soltanto alle banche.
Nel corso del fallito programma di aggiustamento, la mancata risoluzione degli squilibri macro-economici e la sostanziale somiglianza in termini di ingegneria finanziaria dei LELIQ con i LEBAC hanno amplificato gli stessi problemi. La svalutazione del cambio e la crescita del tasso di inflazione hanno imposto un tasso di interesse sui LELIQ rapidamente in aumento: dal 25% annuo del 2017, al 72% del 2018 fino all'85% di fine agosto 2019. A fine 2019 il FMI ha imposto un'(ulteriore) drastica riforma: 1) la formalizzazione nel bilancio federale di parte del debito atipico in LELIQ tramite la ricapitalizzazione della banca centrale attraverso il conferimento di titoli governativi a lungo termine; 2) una durata minima dei prestiti LELIQ elevata a 28 giorni insieme alla sostituzione del tasso variabile determinato in asta con uno fisso stabilito dalla BCRA, al fine di ridurre l'impatto dei LELIQ in termini di interessi passivi.
Da febbraio 2022, per compensare gli effetti di un incremento progressivo dei tassi di interesse (che necessariamente devono seguire quelli USA), la BCRA ha introdotto i LELIQ a 180 giorni (vedi Figura 6), che però sembra non stiano riscuotendo particolare successo tra le banche. La necessità di monetizzazione del deficit ha continuato a far lievitare lo stock di LELIQ fino al valore record di 70 miliardi di $, mentre paradossalmente la base monetaria è in riduzione.
In definitiva, a fronte degli enormi problemi posti dall'economia argentina e dal complicato contesto internazionale, anche il FMI procede pragmaticamente a vista. Stavolta, un maggiore realismo negli obiettivi potrebbe essere una buona premessa per ottenere risultati migliori.
Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali
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