L'arte di mutare pelle: immergersi nelle metamorfosi di Refik Anadol
A Milano, in Piazza Duomo, un'installazione con le caleidoscopiche creature di pixel dell'artista. E una sfida: unire intelligenza artificiale e artigianale
di Laura Leonelli
4' di lettura
Guardava i muri con l'intensità di un serpente, e come il più giovane dei serpenti cosmici, progenitore e distruttore insieme, si chiedeva come mai a pochi anni dal secondo millennio pareti, soffitti e finestre, affacciate sul blu del Mar di Marmara, non si muovessero, non si arrotolassero, non cambiassero pelle e colore insieme a lui.
Refik Anadol , il piccolo Naga, ultimo discendente degli uomini-serpente della mitologia induista, aveva otto anni, era il 1993 a Istanbul, quando si pose la domanda che avrebbe illuminato il resto della sua vita e avrebbe fatto di lui uno dei primi e dei più avveniristici, enciclopedici e grandiosi, nel senso delle superfici di ogni sua opera, media artist e regista. A lui, al suo mirabolante manierismo digitale, Bulgari ha chiesto di realizzare l'installazione Serpenti Metamorfosi, che nascerà nel cuore di Milano, dal 4 al 31 ottobre e da lì si muoverà a Shanghai, a Los Angeles e altre metropoli. Un omaggio, quello della celebre maison romana, alla città che è diventata uno degli epicentri della pandemia ed è oggi simbolo di rinascita e rinascimento.
A Milano, dunque, per la prima volta Bulgari ha presentato la sua collezione di Alta Gioielleria e, di nuovo a Milano, nello spazio fisico e virtuale, espositivo e immaginifico di piazza Duomo, ha scelto di tornare per regalare alla città una mostra aperta a tutti: le ultime creazioni ispirate alla bellezza del serpente, simbolo della casa dagli anni Quaranta, e l'opera immersiva e ipnotica di Refik Anadol. A darle vita sono 200 milioni di immagini di natura, di cui 70 milioni sono fiori, provenienti dalle biblioteche scientifiche online e dalle pagine social di tutto il mondo. Fiori cresciuti nelle immense praterie della “nuvola”, fiori come dati informatici che il computer trasforma in pigmenti, e pigmenti che a loro volta diventano tela in 3D per raccontare la più gioiosa e caleidoscopica primavera contemporanea.
In primavera si rinasce, si cambia pelle, si splende. Doveva essere primavera quando Refik Anadol, bambino, ha scoperto Blade Runner. «Era stata mia madre a farmi vedere il film di Ridley Scott, ed ero talmente dentro quella storia che poche ore dopo ho cominciato a fissare le pareti di casa e a chiedermi perché mai non cambiassero colore come quelle dei grattacieli di Los Angeles. Mia madre mi aveva portato subito dallo psichiatra, ma evidentemente non dovevo avere nulla di strano visto che poco dopo ho ricevuto in dono il mio primo computer, ovvio videogames, e a quel punto mi sono domandato se il cervello della macchina fosse davvero lo spazio nel quale giocavo e nel quale volevo entrare», racconta Refik dal suo studio di Los Angeles, la città vera questa volta, dove è iniziata la sua seconda vita e dove oggi progetta “architetture e sculture postdigitali” insieme ad architetti, neuroscienziati, ricercatori della Nasa e a un gruppo di 14 artisti come lui, giovanissimi e internazionali. Sono nate qui installazioni come WDCH Dreams, rielaborazione di un secolo di archivi digitali della Filarmonica di Los Angeles, proiettata sulla “pelle” della Walt Disney Concert Hall di Frank O. Gehry; o Sense of Place, che trasforma in immagine e in tempo reale i dati ambientali della città di Oakland, o Wind of Dubai, ed è il vento che diventa volume atmosferico, o ancora Interconnected per l'aeroporto Charlotte di Douglas, milioni di dati di passeggeri che prendono davvero il volo, o il recentissimo Sense of Space, Connectome Architecture+Molecural Architecture, presentato all'ultima Biennale di Architettura di Venezia.
Prima di giungere nella città di Rick Deckard, cacciatore di replicanti, prima di studiare sui banchi dell'Università di California, dipartimento di Design Media Arts, di cui oggi è docente insieme ad artisti come Casey Reas, Christian Moeller, Jennifer Steinkamp, e prima ancora di vedere “cose che voi umani non potreste immaginarvi”, Refik Anadol è stato iniziato alle metamorfosi del tempo e dei suoi simulacri attraverso un'altra straordinaria banca dati, quella che Orhan Pamuk, scrittore premio Nobel, ha creato a Istanbul e che ha ispirato un romanzo e un luogo magico, stesso nome. «Per Orhan ho fotografato e classificato più di 6mila oggetti e immagini che compongono il suo Museo dell'innocenza, un anno di lavoro insieme, un'esperienza magnifica, ed è stato proprio Orhan a scrivermi la lettera di presentazione per studiare in California». Ancora un'immagine di innocenza, ed è la fotografia che Refik, 26enne, scatta a sua moglie quando insieme giungono a Los Angeles, entrano nella loro prima casa, vuota, «pareti bianche e solo lei, mia moglie, e ho ancora questa fotografia, l'ho appesa e la guardo come il simbolo di una delle mie più belle metamorfosi». Metamorfosi di coppia. Anche il cuore cambia pelle. E un giorno, anche il curriculum.
Nel 2016 Refik Anadol è uno dei primi artisti residenti in Google e qui viene iniziato, da neo sacerdote, al potere dell'intelligenza artificiale. Nuove domande: «Che cosa vuol dire essere una persona che vive nell'era informatica? Che cos'è oggi la realtà, visto che siamo virtualmente e costantemente collegati a una macchina e visto che questa stessa macchina ci disconnette dalla realtà, ma determina sempre di più le nostre scelte reali?», prosegue Refik. La risposta di un artista, che ha fatto del nostro trasformarci in esseri digitali la sua recherche, è una citazione. Nelle spire del serpente, si torna a Blade Runner, a Philip K. Dick: «La realtà è quella cosa che quando smetti di crederci non svanisce.
La simulazione, invece, è quella cosa che non smette di esistere quando le storie scompaiono». Serpeggiando e sibilando tra i due estremi, Refik è riuscito a creare una quarta dimensione fisica e virtuale, quella strana e incantatoria unione di “realtà” – e sono i milioni di dati che parlano di noi e del mondo in cui viviamo e che l'algoritmo trasforma in pigmenti e forme – e di “simulazione”, ed ecco le creature effimere, che diventano corpo, fiume, vortice di pixel in divenire. Noi, per la prima volta, siamo dentro e fuori l'opera d'arte, ne siamo la materia e l'applauso con cui la salutiamo.
E Anadol che fa? Serpente piumato del mondo che verrà, replicante di cobra egizio, Refik attende silenzioso tra i fili d'erba e ci osserva fotografare, postare, commentare con poche parole e infiniti like le sue incantevoli metamorfosi digitali. E lo sa, ogni nostra immagine, ogni nostro piccolissimo ricordo, sarà cibo delle sue prossime creazioni.
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