L’artigiano contemporaneo è sempre più un manager è 4.0
di Chiara Beghelli e Marta Casadei
4' di lettura
A Roma esistono oltre 20 strade che portano il nome degli artigiani che le popolavano, fra cui via dei Baullari, dei Pettinari, dei Coronari. Oggi che quei microdistretti urbani sono sempre più rari, le reti si stringono online, su piattaforme di condivisione di talenti e lavorazioni o marketplace. Questa interessante considerazione si legge nel “Manifesto dei nuovi artigiani del XXI secolo” pubblicato dai Giovani Imprenditori di Confartigianato nel 2015, ancora attualissimo a quattro anni di distanza.
Accanto alla propria creatività e al talento, infatti, gli artigiani contemporanei sono uomini e donne che usano le nuove tecnologie e l’innovazione digitale sia nei processi di produzione sia in quelli di comunicazione e vendita, in linea con la definizione che di essi diede Claude Lévy-Strauss: «I principi degli innovatori». Nelle botteghe come nelle piccole imprese si lavora con mente e mani, ma anche con stampanti 3D e social media. È sempre Confartigianato a confermarlo: nel 2017 (ultimo dato disponibile) nel settore tessile-abbigliamento-calzature, l a prima voce di investimento per le aziende artigiane è stato l’e-commerce, scelto dal 31,1% delle imprese, percentuale più alta del 22,8% del manifattutiero. Più elevata rispetto alla media anche la percentuale di chi vende su marketplace, il 38,3% contro il 30,9% del manifatturiero italiano, mentre è più bassa la percentuale di chi usa almeno un social media (il 34% delle aziende rispetto al 38% generale). Dunque, la rete sembra essere ancora uno strumento di vendita più che un canale di comunicazione o contatto con i propri clienti, anche per ricevere e registrare dati e indicazioni che possano orientare l’offerta.
Sempre secondo i dati Confartigianato, le e-skills avanzate nel settore sono meno diffuse che nel manifatturiero generale (il 9,1% del personale le possiede, contro il 16,3%). «Nell’ambito delle scuole dei mestieri d’arte, per esempio, solo alcune e solo di recente hanno iniziato a offrire una formazione che comprenda anche la managerialità - spiega Alberto Cavalli, direttore generale della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte di Milano -. Da parte nostra già nel 2011 abbiamo lanciato un “mini-master” in collaborazione con Bocconi, Politecnico di Milano e Iulm, per formare artigiani che siano anche imprenditori al corrente delle nuove tecnologie e dei nuovi canali di comunicazione. Finora abbiamo formato in questo senso circa 200 studenti, qui a Milano, ma l’auspicio è che percorsi del genere possano moltiplicarsi anche nel resto d’Italia».
La formazione è uno dei temi chiave. Ce lo conferma Lara Marconi di Giosa , storico indirizzo milanese per accessori e calzature realizzati in coccodrillo: «Gli artigiani del futuro? Sono quelli che hanno voglia di sedersi a un tavolo e imparare. Solo così si possono trasferire competenze che molto hanno a che fare con l’esperienza, tanto che non le possiamo nemmeno affidare a delle macchine». Per creare il modello di una borsa in coccodrillo di Giosa, per esempio, non si possono utilizzare software come i diffusissimi Cad usati nella modellistica per l’abbigliamento: «La pelle di coccodrillo è molto difficile da lavorare, quindi il modello deve essere affidato a un esperto del materiale, che sappia dove e come tagliarlo», continua Marconi. Giosa, nel cuore di Brera, guarda ovviamente al futuro e alle nuove tecnologie: «Vogliamo stare al passo con le novità sia per quanto riguarda la comunicazione con il cliente, che viene fatta online e via social, sia sul piano dei prodotti: abbiamo introdotto sneaker, porta iPad, cover per iPhone».
Anche Daniela De Marchi , titolare di un marchio di gioielli rigorosamente artigianali non può fare a meno della comunicazione via social: «Le persone arrivano in negozio con Instagram aperto e le idee chiare: oggi è fondamentale per una piccola realtà artigianale essere in Rete». Chi ci riesce può provarci da solo («a breve lanceremo l’e-commerce», dice); gli altri possono affidarsi a piattaforme multimarca come Artemest, ma anche Yoox. Il processo creativo, invece, è ancora difficile da “contaminare”: «Abbiamo provato a lavorare con un software, ma la texture in dropage tipica delle mie creazioni va fatta a man, lavorando sulla cera. Altrimenti perde il suo sapore “materico”». De Marchi, che a Milano ha il proprio atelier e una boutique, racconta bene la dicotomia che gli artigiani si trovano a vivere oggi: «Le persone non sono più abituate ad attendere, non concepiscono che per fare a mano un prodotto ci voglia del tempo».
Sapere aspettare, assaporare l’acquisto di un prodotto unico è l’unico atteggiamento che può avere chi entra nell’Antica Manifattura Cappelli di Roma. L’unico modo per acquistare i prodotti che, realizzati a mano, non vengono venuti online. L’attuale proprietaria, Patrizia Fabri, l’ha rilevata nel 2003 «altrimenti, dopo la morte del titolare, si sarebbe persa questa splendida arte». Un’arte che vive consapevolmente in un’altra epoca: «Manteniamo le tecniche di lavorazione originali, modellando il feltro usando ferri e vapore. Certo, oggi si potrebbe fare tutto con la stampante 3D, ma vuol mettere il profumo del legno delle forme?»
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