L’ascesa della creator economy genera affari per un miliardo
In Italia i talenti che producono contenuti per le piattaforme sono 350mila. Nel mondo il business è di 100 miliardi di dollari, con un guadagno medio di 20mila dollari a testa
di Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano
3' di lettura
«Alla fine tutti noi entreremo a far parte dell’economia dei creator». Così ha dichiarato Naval Ravikant, uno dei più noti investitori al mondo, presidente ed ex CEO di AngelList, piattaforma per startup e business angel che rappresenta il termometro dell’innovazione statunitense. Una previsione che si è già realizzata perché la pervasività della creator economy la si coglie nei numeri. Secondo l’ultimo report di Statista il mercato mondiale oggi si attesta a 14 miliardi di dollari.
Ma è una cifra calcolata al ribasso perché non tiene conto di una filiera allargata legata al comparto dell’audiovisivo e che abbraccia agenzie e case di produzione. Con l’indotto il rapporto NeoReach arriva a definire un mercato complessivo aggregato della content creation pari a 104 miliardi di dollari.
Identikit dei nuovi creator
Dalla nuova economia ai suoi protagonisti: a livello mondiale si contano oltre 50 milioni di creator attivi, di cui almeno 2 milioni definibili come professionisti. Ad oggi il 46% che ha costruito la propria audience negli ultimi quattro anni guadagna in media più di 20mila dollari annui. In Italia il dato è difficile da delineare. Per OBE (Osservatorio Branded Entertainment) nel 2020 solo il mercato dei contenuti delle aziende si attestava a 600 milioni di euro. Così la creator economy potrebbe spingersi a 1,5 miliardi di euro con una crescita del +20-25% di anno su anno.
Da noi i creator sono 350mila, ma si arriva a 450mila figure coinvolte se consideriamo anche chi opera nel settore a supporto dei creator stessi. Un riflesso dall’alleanza sempre più strutturata tra brand e creator. Per il report ONIM (Osservatorio Nazionale Influencer Marketing) abbiamo una media di oltre 20.000 post sponsorizzati al mese. Un dato che monetizzato per UPA tocca 272 milioni di euro.
La produzione di contenuti
«Il contenuto è da sempre elemento essenziale di Internet e dei social, principale strumento per attirare l’attenzione, creare dialogo e relazioni. Questa rilevanza ha dato crescente peso a chi questi contenuti li produce, facendoli diventare veri e propri riferimenti per network più ampi. Una crescita di percezione che oggi li ha resi molto più che semplici creatori, ovvero figure capaci di muovere all’azione, di condizionare. Se a ciò aggiungiamo l’evoluzione delle piattaforme, l’immunità degli utenti alle comunicazioni commerciali e la spinta verso la polarizzazione utilità-intrattenimento è facile capire perché oggi si viva una sorta di era del creator», afferma Matteo Pogliani, fondatore di ONIM.
Oggi la creator economy intercetta altre dinamiche di monetizzazione, con la retribuzione per chi crea contenuti di impatto tramite YouTube, TikTok o Twitch. «Oggi sono i creator a delineare le caratteristiche dei canali, i trend e persino a modificare la user experience. Basti pensare all’affermarsi di canali sempre più creator-oriented come TikTok e Twitch o all’arrivo dei paywall come Patreon o Onlyfans, piattaforme che permettono ai creator di trovare fonti dirette di remunerazione senza dipendere dalle collaborazioni con i brand, fondamentali ma non più totalizzanti», dice Pogliani.
Talenti multipiattaforma
Ma quello che sta avvenendo è una moltiplicazione di business che va oltre la mediazione degli schermi. Perché questi professionisti si posizionano in una modalità multipiattaforma, arrivando a intercettare nuove tribù di utenti. «Il ruolo che molti di questi creator hanno sulla loro fanbase aumenta ulteriormente le occasioni di monetizzare tra prodotti e merchandising, capsule collection e presenze in media diversi come la tv. Un cortocircuito che la pandemia ha accelerato», conclude Pogliani.
Il valore delle nicchie
La crescita esponenziale è ascrivibile a lockdown e restrizioni, con l’approdo inevitabile a narrazioni in rete. «L’emergenza della pandemia ha accelerato questo nuovo posizionamento, creando una ricollocazione ancora più centrale di queste figure, che prendono quote di mercato a tutti perché intercettano un nuovo modo di fruire l’intrattenimento. Di fatto rappresentano il nuovo Carosello, ma non si può parlare di mass market perché il brand deve sapere che puntando sui creator deve andare necessariamente su nicchie di valore perché la forza è nell’aggregazione di community. L’investimento però deve prevedere l’allocazione di risorse economiche per fare un’efficace content strategy», afferma Luca Leoni, CEO di Show Reel Media Group, realtà nata nel 2007 e che oggi conta 30 dipendenti e 36 talenti in esclusiva per un fatturato di 4,7 milioni di euro e un previsionale di crescita del +35%. Show Reel Media Group è da poco nella nuova sede del quartiere milanese Bovisa, in un hub creativo di 1.500 metri.
La formazione dei creator
«La formazione è purtroppo ancorata a modelli tradizionali, ma non esiste il creator che parla a tutti o il testimonial trasversale di una volta perché oggi si lavora sempre per segmenti. In realtà formati, linguaggi e relazioni sono cambiati e quindi bisogna avere professionisti e società che rappresentino questa evoluzione», precisa Leoni. Ancora una volta la partita si gioca sul necessario reskilling di un mercato trainato dall’esperienza dell’utente.
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