L’asciutta creatività di Prada, la gentilezza festaiola di Etro, il gusto sottile di Tod’s
«La creatività ha senso ed è utile solo quando scopre cose nuove», dice Miuccia Prada. Il buon inizio di Marco De Vincenzo che ringiovanisce l’uomo Etro. E i nuovi talenti da seguire, da Luchino Magliano, Federico Cina e Simon Cracker
di Angelo Flaccavento
4' di lettura
La parola d'ordine della stagione, ormai è chiaro, è concretezza. Protagonista assoluto, senza troppi svolazzi e preamboli, è il prodotto: nudo, crudo, desiderabile nella sua autoevidente semplicità. Per alcuni ciò significa ritorno all'essenza, per altri reiterazione dei codici identitari.
Miuccia Prada e Raf Simons, direttori creativi a quattro mani di Prada, si concentrano su ciò che è utile. Dice la signora, a conclusione di una sfilata di pradissima asciuttezza, modernista, tesa, priva di ogni sorta di orpello ad eccezione del logo in tono e di svolazzanti colletti a punte lunghe che planano su tutto: «Nei momenti seri bisogna lavorare seriamente, con responsabilità. Non c'è spazio per inutile creatività. La creatività ha senso ed è utile solo quando scopre cose nuove». Sulla passerella, di nuovo c'è poco in effetti, eppure è tutto insieme nuovissimo e già visto nel gioco inesorabile, matematico-architettonico, delle proporzioni: i bomber si accorciano e gonfiano, oppure si allungano in volumi da alta moda; i montgomery e i parka si rastremano in lunghissimi astucci che custodiscono il corpo ossuto; gli abiti hanno un disegno netto, irreprensibile; i cappotti appiombano come scatole. Le idee chiave sono comfort, esagerazione e intimità, sicché i piumini sono immaginati come nude imbottiture di cuscino, mentre le silhouette sono ora amplificate, ora attenuate.
Il cambio continuo di prospettiva include il set, con il tetto che si alza facendo passare l'immensa stanza dall’intimità claustrofobica alla grandiosità della cubatura verticale accentuata dagli chandelier modernisti, e poi si riabbassa. Ma pur sempre di Prada si tratta, per cui il pensiero in apparenza lineare fa glitch e sbalzi continui. L'efficienza, così fredda e coriacea, così come la concentrazione sugli archetipi, è contraddetta da una vena palpabile di fragilità, da una ossessione estetica per la gioventù adolescente e implume: protagonista vero è lo sterno, sempre nudo e ossuto, in vista sotto i cappotti e le giacche, esibito senza tema di martirio. È una questione di gesti, e questa collezione è duale, perché parla del vestirsi ma suggerisce lo svestirsi, e perché gli autori sono due, e si vede. È pradissima ma anche raffissima. «Un movimento, e il colletto si stacca», chiosa Raf Simons, elettrizzato, sul particolare che più gli sta a cuore.
Altro forza centripeta di questa tornata di sfilate, è il richiamo alla sfera domestica, alla sicurezza sonnolenta di coperte e cuscini, alle memorie d'infanzia: paradossale, in qualche modo, visto che dopo lo iato pandemico ci si aspettava una generale propulsione verso l'avventura, la festa, altri lidi. Comprensibile, pure: in momenti difficili urge qualcosa di rassicurante, senza dire che la spinta in fuori e il desiderio di rimanere tra le quattro mura di casa possono anche non contraddirsi.
La collezione di Etro, prima prova al maschile del nuovo direttore creativo Marco De Vincenzo, ad esempio, sa un po' di party in casa. È festaiola ed escapista quel tanto che basta, perché magari il viaggio che si suggerisce è tutto intorno ad una camera, e la grande borsa di feltro può servire per arredare l'angolo della stanza o andar per strada, e cosí gli zoccoli, anch'essi di feltro. De Vincenzo sceglie come campo di azione semantica la casa, e lo fa esplodere nelle due direzioni della casa di moda e dell'ambiente familiare. Lo show si svolge in un capannone, tra pezze e rotoli di stoffa, e questo richiama le origini di Etro, che affondano proprio nel tessuto.
Però il primo cappotto ha lo stesso pattern ipnotico di una coperta che De Vincenzo amava da bambino, e questo rimanda alla cameretta. Si oscilla nelle due direzioni, con sicurezza e gusto, mentre il maschio della casa si ringiovanisce e ingentilisce. Deve trovare però una identità profonda, un suo spirito e ragion d'essere al di là di eccentricità a tratti gucciane, nella vena di Alessandro Michele. Intanto, è un buon inizio.
Parla di intimità, domesticità e spazio sicuro del ricordo d’infanzia anche Jonathan Anderson, ma lo fa senza romanticismi, con brutale schiettezza, in maniera diretta e letterale mentre annuncia che da ora in poi terrà le sfilate uomo della linea JW Anderson a Milano. La collezione è una tabula rasa: si parte con il rotolo di tessuto, si prosegue con cuscini e abbracci, si conclude con montgomery, scarpe e abiti inchiavardati e chiusi da lucchetti. Sono pezzi autoevidenti, pensati per lui come per lei in una pratica autenticamente unisex. In passerella ritornano anche gli shorts con i volant che tanto scandalizzarono otto anni fa, e che adesso sono un classico.
Punta sui classici, o meglio sugli archetipi, Walter Chiapponi, che da Tod's continua ad aggiornare il guardaroba maschile con sottigliezza e gusto. Il suo lavoro è tanto più penetrante, quanto più sembra inapparente, ed è questo che lo rende cavallo di razza. È un fuoriclasse anche Luchino Magliano, in arte semplicemente Magliano, brillante esempio, in tempi di improvvisazione e influencing, di come ogni visione della moda davvero di sostanza debba partire da come si fanno i vestiti. Quelli di Magliano sono dolenti, sfatti e ciondolanti, ma belli e pieni di vita, nella gloriosa vena di Comme e Yohji, con una malmostosa carica di sinistra tutta emiliana, poetica.
È poetico e materico il tocco di Federico Cina, che muove dall’intimismo degli esordi ad una delicata eppure carnale sensualità, rivelando una capacità espressiva invero malleabile. Simone Botte e Filippo Biraghi, in arte Simon Cracker, infine, esprimono il ben necessario rifiuto per il tempo presente con verve autenticamente punk. Il loro bricabrac upcycled è ruvido e sconclusionato quanto vitale, perché dietro la follia c'è metodo e a Milano non c'è solo il prodotto leccato e ripulito.
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