L'ascolto è ritornato vintage: memorie di un nerd audiofilo
Il ritorno del walkman: la musica digitale riassapora l'estetica anni Ottanta e analogica. Con pulsanti fisici e qualità dell'audio contemporanea. Con buona pace dei device multitasking.
di Mario Cianflone
5' di lettura
L'azzurro metallico della sua “carrozzeria” e l'arancione acceso delle spugnette delle cuffie, lo stesso colore del tasto Hot Line, per sentire musica in due, in una condivisione ante litteram rigorosamente analogica. Piccoli frammenti di memoria, da boomer un po' nerd e molto audiofilo, del Sony Walkman, il primo device – diremmo oggi 43 anni dopo –, per ascoltare a passeggio la musica in stereo ad alta fedeltà quasi come a casa, con la piastra a cassette, quella bella tipo Nakamichi Dragon, che costava una follia e che, ancora oggi, rimpiango di aver venduto per un registratore Dat.
Il Walkman, si chiamava TPS-L2, era sublime ed esprimeva, per la prima volta, un concetto semplice e meraviglioso: ascoltare musica in stereofonia camminando, in spiaggia, sugli sci e anche in moto (era stupido, lo so, ma non era ancora vietato. Era l'epoca in cui neppure il casco era obbligatorio). E ovviamente a scuola, altrimenti come ci si poteva far espellere dalla classe e continuare ad ascoltare a tutto volume gli Stones o i Jethro Tull (già fuori moda, in piena era Duran Duran)?
L'idea di Akio Morita, il mitico fondatore di Sony, era geniale fino al punto che il termine Walkman divenne definizione di una categoria, come il fuoristrada che molti chiamano Jeep, anche se è una Range Rover. Ovviamente bisognava portarsi dietro un po' di cassette e magari (vi sblocco un ricordo) una matita per riavvolgere il nastro all'occorrenza, infilandola in una delle bobine.
Per oltre un decennio, gli anni Ottanta e un bel pezzo di Novanta, il paradigma del Walkman è rimasto dominante: era lo Strumento (con la S maiuscola) per ascoltare la musica, con decine di imitazioni, spesso eccellenti, altre decisamente scandalose. All'orizzonte però stava arrivando la rivoluzione digitale, i cui primi fuochi furono accesi nel 1982 da Philips e da Sony che, con il Compact Disc, inventarono l'audio digitale, ovvero la musica tradotta in codice binario. Era la fine dei fruscii, del Dolby, di rumori e distorsioni come il terribile “wow and flutter” che faceva rallentare e tremolare il suono perché il nastro era logoro e le testine sporche. Il Compact Disc è ancora nel mio cuore: la cassetta in realtà l'ho sopportata a stento, solo perché necessaria. Il cd suonava e suona ancora divinamente con buona pace degli hipster che ora hanno riscoperto il vinile e fanno gli audiofili esperti con un orrendo giradischi di plastica con connessione Bluetooth.
Il cd però aveva un problema: il lettore portatile era scomodo come un piatto da frutta a tracolla, e non era tascabile. Sony, infatti, aveva inventato il Discman e nello scaffale dei ricordi tech ne ho ancora uno che fa compagnia ai primi player da tavolo Sony CDP-101 e Philips CD100. La tecnologia dell'audio digitale aveva però una forza dirompente: le canzoni diventavano file (c'è ancora da discutere sulla qualità dei sistemi di compressione tipo Mp3, ma sempre meglio della cassetta) che potevano essere scaricati, distribuiti, condivisi e ascoltati con piccoli lettori super tascabili, così il pc, fisso o portatile, soppiantò il vecchio stereo rack in molte case. Arrivò l'era di Napster e della pirateria, dell'iPod di Apple. La Mela di fatto reinventò il Walkman, cambiando le regole del gioco fi no ad arrivare all'iPhone. Soprattutto con lo streaming stile Spotify e gli smartphone, la musica è entrata nelle nostre tasche e sotto i polpastrelli abbiamo accesso alla discografia di tutto il mondo.
Altro che le 12 cassette per altrettanti album sotto il sedile della macchina! Ora ci basta dire “Alexa, voglio ascoltare Hai scambiato un Casio per un Rolex” e con un po' di fortuna possiamo sentire il gran tormentone di Shakira. Tutto bellissimo, a tratti tecnologicamente magico, ma c'è anche qualcosa di stonato nell'avere tutta la musica nello smartphone. In primis la qualità. Parlo di dettagli e finezze, ma uno smartphone non suona a livelli adeguati per un vero esperto, soprattutto ora che è scomparso il jack per le cuffie (lo scomodo cavo batte sempre il pratico Bluetooth). Con lo smartphone, poi, siamo costantemente distratti, tra notifiche e social, tra mail e shopping su Amazon. Si continua a skippare da un brano all'altro su Spotify (ma anche su Amazon Music e su YouTube Music o su Tidal, se si ha budget da destinare alla qualità audiofila). Insomma, abbiamo tanta musica, ma concediamo poco tempo di qualità alla musica stessa. Qui il discorso vale soprattutto in casa o all'aperto, perché in auto la situazione è diversa: la macchina, telefonate a parte, è diventata forse l'unico rifugio per ascoltare musica in santa pace. In questo scenario, c'è ancora spazio per un dispositivo il cui unico scopo sia quello di riprodurre musica ad alta qualità e basta? Forse sì, anche se è una scelta radicale. Sony ha da poco lanciato l'ultima incarnazione digitale ed androidiana del Walkman. Si chiama NW-A306 (solita sigla astrusa da ingegnere giapponese) ed è uno smartphone senza phone: un device Android che non telefona e non ha la fotocamera, ma offre soluzioni tecniche per migliorare la resa sonora. Vanta un amplificatore digitale battezzato S-Master HX che porta in cuffia (lo abbiamo provato con le valide, ma non nuove, Sony WH-1000XM4) suoni di strabiliante precisione e correttezza timbrica. Bassi profondi e alti di trasparente precisione.
A patto ovviamente di utilizzare file di qualità e servizi di streaming all'altezza, per non mortificare le prestazioni di un dispositivo costruito con componenti e accorgimenti di classe maniacale. È nato per i contenuti hi-res ed è compatibile con il pazzesco formato DSD (acronimo di Direct Stream Digital). Il nuovo Walkman è una valida sorgente da abbinare a un sistema audio di pregio. Lo abbiamo messo alla prova anche con un impianto wireless Sonos composto dai nuovissimi diffusori Era 300, soundbar Arc e subwoofer Sub Mini del brand americano. L'ultimo nato della dinastia Walkman ha una dote non secondaria: è costruito con materiali metallici e integra pulsanti fisici che si premono senza dover utilizzare il, peraltro minuscolo, schermo da 3,6 pollici senza feedback tattile (Sony, per 400 euro, qui poteva fare di più). L'idea stessa dell'oggetto con comandi fisici è fascinosamente rétro, così come il concetto di dispositivo monouso solo per la musica. Ma nasce un problema: essendo basato sul sistema operativo Android di Google, presenta app e funzioni come mail e mappe che sono inutili, fuori luogo e disturbano. Forse Sony avrebbe dovuto mettere a punto un'interfaccia dedicata e blindata (il browser web non mi serve). Il piccolo Walkman offre la possibilità di installare app, e qui occorre disciplina: inutile caricare Instagram o TikTok. Sarebbe uno spreco, meglio puntare solo sulle app musicali, almeno fino all'arrivo della prossima rivoluzione digitale, quella dove l'intelligenza artificiale creerà artisti virtuali e brani inventati da una mente di silicio. Io non sono affatto pronto ad ascoltare dei finti Beatles. Quasi quasi metto il mio enorme smartphone in modalità aereo, attivo il Walkman e mi godo un po' di musica senza notifiche. Ma forse è meglio disintossicarsi dal mondo connesso, accendere il mio vecchio stereo, sentire il caldo odore dei Mosfet e far girare un caro, antico cd, e magari dimenticarsi pure di andare a staccare l'auto elettrica dalla colonnina.
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