L'audiovisivo e lo sconvolgimento delle piattaforme
Le piattaforme, le piattaforme, le piattaforme: lo sconvolgimento causato dallo streaming è stato uno degli argomenti ricorrenti del MIA, il Mercato Internazionale dell'Audiovisivo, che si è svolto a Roma tra l'11 e il 15 ottobre
di Gianluigi Rossini
4' di lettura
Le piattaforme, le piattaforme, le piattaforme: lo sconvolgimento causato dallo streaming è stato uno degli argomenti ricorrenti del MIA, il Mercato Internazionale dell'Audiovisivo, che si è svolto a Roma tra l'11 e il 15 ottobre e ha ospitato, nelle sale del cinema Barberini appena ristrutturato, cinque intensissimi giorni di incontri con i vertici delle più importanti aziende del comparto audiovisivo.
Il MIA ha una doppia anima: da un lato è una convention di industriali, tecnica e fredda quanto potrebbe esserlo il congresso internazionale dei produttori di laminati plastici; dall'altro è un parco giochi, un luogo di sogni e ambizioni dove nasce parte della cultura del futuro. Nei bistrot turistici di piazza Barberini si intercettano conversazioni su milioni di euro e storie da raccontare, creatività e tax credit. Si va in un panel dal titolo “Storie locali per audience globali” aspettandosi ciniche considerazioni di marketing, e invece si resta folgorati dall'entusiasmo appassionato di una produttrice come Chiara Messineo, che ha raccontato il suo viaggio dalla Sicilia all'Inghilterra, dal teatro sperimentale alle televendite, dai documentari di archeologia a Vatican Girl, docuserie di Netflix su Emanuela Orlandi in uscita il 20 ottobre, della quale sono state mostrati alcuni promettenti spezzoni. Mentre gli sceneggiatori inseguivano i produttori che a loro volta tampinavano i committenti che nel frattempo incontravano i distributori, io ho fatto un'overdose di panel, correndo da una sala all'altra nella speranza di ricomporre il complesso quadro dell'audiovisivo italiano nel contesto internazionale. Sarebbe impossibile rendere giustizia all'ampiezza degli argomenti trattati nei cinque giorni e sui quattro macrogeneri (film, drama, documentari, animazione), ma si può provare a individuare alcuni temi ricorrenti.
Innanzitutto, c'è il contrasto tra un boom della produzione e la situazione drammatica in cui si trovano le sale. Mentre le presenze al cinema crollano, la crescita del settore ha raggiunto un pazzesco +37% nell'ultimo quinquennio, come certificato dal rapporto APA. I film italiani circolano di più all'estero, aumentano le co-produzioni internazionali (dati da uno studio ANICA), c'è talmente tanto lavoro che a volte è difficile trovare chi cuce i vestiti oppure si devono aspettare 24 mesi perché uno sceneggiatore sia disponibile. Principali responsabili di questo boom, è chiaro, sono le piattaforme: a Netflix e Amazon si è affiancata l'orda dei plus (Disney+, Apple tv+, Lionsgate+, Paramount+, la fantasia abbonda), che producono serie ma anche film, documentari e unscripted. Nei due panel dedicati ad Amazon e Netflix, Nicole Morganti e Tinny Andreatta (le rispettive head dei contenuti originali italiani) distribuivano sorrisi e banalità su quanto siano importanti le grandi storie, con la sprezzatura dei vincitori. Interrogata su come Netflix abbia intenzione di affrontare la nuova concorrenza, Andreatta ha tranquillamente risposto “we will stick to our strategy: continueremo a fare quello che stiamo facendo”.
Al contrario, nei panel sul cinema c'era spesso un clima teso, tra appelli accorati e constatazioni schiette. In un confronto tra i vertici della distribuzione cinematografica nazionale, Giampaolo Letta (CEO di Medusa) ha rimproverato il Ministero della Cultura per la burocrazia eccessiva e le sale cinematografiche per la scarsa attenzione alla qualità dei servizi; Paolo del Brocco (CEO di Rai Fiction) ha dato per morta la commedia in sala e ha accusato gli attori italiani di non fare abbastanza per la promozione dei film; Massimiliano Orfei (CEO di Vision distribution) ha detto che indietro non si tornerà più e ha immaginato un futuro in cui il cinema in sala sarà “una super league dei contenuti”: solo i prodotti di più alto valore andranno sul grande schermo.
Da nessuno dei tre incontri citati, c'è da dire, sono emerse idee interessanti per quanto riguarda i contenuti: Orfei, in generale lucido e preciso, tornerebbe a puntare sulla “nostra grande commedia”, ovvero continuerebbe a fare quello che si è fatto negli ultimi trent'anni. Ma nemmeno gli streamer brillano per coraggio editoriale: Morganti ha esaltato il suo team in quanto fatto di persone capaci “di pensare poco a quello che piace a loro e molto a quello che piace al pubblico”, e di superare “il pregiudizio italiano secondo il quale una cosa è bella se è vista da poche persone”. Sembra che tutti puntino allo stesso pubblico generalista, e a livello di sistema non è un buon segno.
D'altra parte, in un panorama mediale in così rapida evoluzione, neanche i giganti dello streaming possono stare tranquilli: c'è la novità importante della crescita dell'AVOD, ovvero dello streaming gratuito finanziato dalla pubblicità. Anche Netflix ha introdotto una formula con abbonamento ridotto e pubblicità, ma gli AVOD puri come PlutoTV sono un mercato diverso, e potrebbero costituire una nuova finestra in cui valorizzare i contenuti di library, i titoli meno recenti e meno attraenti per chi chiede di pagare un mensile.
Mettendo da parte le piattaforme, un altro elemento di innovazione è la crescente integrazione del mercato europeo, generata sia dall'ondata di fusioni e acquisizioni degli ultimi anni, sia da un intensificarsi dei rapporti tra produttori: ne sono un esempio l'Alleanza Europea, che mette insieme Rai, France Télévisions e la tedesca ZDF per la creazione di serie tv di qualità; oppure la cooperazione tra Sky Studios Italia, UK e Germania, che va nell'auspicabile direzione di prodotti multilingue paneuropei. Infine, una menzione alla politica: al netto delle inefficienze, come l'inaccettabile lentezza nell'apertura del tax credit 2022, l'intervento pubblico sembra sostanzialmente promosso. La legge sullo spettacolo 220/2016 funziona, gli investimenti statali sono aumentati considerevolmente, il sistema delle Film commission sta dando ottimi risultati.
All'ottava edizione, la crescita del MIA si vede a occhio nudo, nelle sale stracolme del cinema Barberini: 2400 partecipanti da 60 paesi, un incremento di presenze del 20% dall'anno precedente. Se la Festa del cinema di Roma è il glamour, la vetrina dove si espongono i risultati, il MIA è dove gli ingranaggi vengono messi in moto, e fornisce una preziosa finestra su tutto il comparto.
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