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L'auto italiana al bivio europeo

Il governo italiano ha annunciato il voto contrario alla ratifica della riforma del Regolamento UE che fissa al 2035 l'uscita dall'era del motore a combustione.

di Massimiliano Bienati

(unlimit3d - stock.adobe.com)

3' di lettura

Il governo italiano ha annunciato il voto contrario alla ratifica della riforma del Regolamento UE che fissa al 2035 l'uscita dall'era del motore a combustione. Questo avviene dopo che nei giorni scorsi il Ministro dei trasporti tedesco ha dichiarato che la Germania non sosterrà la riforma a meno di garanzie di esenzione per i carburanti sintetici, come eccezione al regolamento.
L'obiettivo italiano è quello di rivedere al ribasso il target di 100% di riduzione delle emissioni dei veicoli di nuova immatricolazione a partire dal 2035. Nella strategia del governo, questo lascerebbe aperta la porta alla produzione e consumo di massa di auto tradizionali alimentate da biocarburanti, che tuttavia non sono climaticamente neutri. Inoltre, si aggiungerebbe il problema della dipendenza dall'estero per l'approvvigionamento di materie prime: nel 2021, solo il 12% dei consumi di biodiesel è stato prodotto da materie prime nazionali, il rimanente è stato importato da Indonesia, Malesia e Cina, e la spesa erogata per incentivi al consumo di biocarburanti è stata di poco inferiore al miliardo di euro.

Diversamente, il Governo tedesco chiede alla Commissione di fare chiarezza rispetto a quanto già previsto dal Regolamento, come eccezione rispetto alle regole attuali e in conformità all’obiettivo della neutralità climatica dell’Unione, circa l’immatricolazione di veicoli che funzionano esclusivamente con combustibili neutri in termini di emissioni di CO2, anche dopo il 2035. In altri termini, si tratterebbe di lasciare attiva una nicchia di mercato per auto alimentate con e-fuels decarbonizzati – ossia carburanti sintetici prodotti a partire da idrogeno verde e CO2 biogenica, se non prelevata dall'atmosfera, senza spostare l'obiettivo di ridisegnare l'ecosistema automotive europeo verso la mobilità elettrica.Questa differenza è sostanziale per il Governo tedesco, come lo è per la sua industria automobilistica, tra le principali al mondo, fortemente esposta ai rischi di un allentamento della tensione competitiva europea nel settore dell'auto elettrica e per questo da tempo impegnata nella riconversione del tessuto industriale e occupazionale. Grazie a mirate politiche di incentivo, in Germania circolano oggi oltre un milione di veicoli elettrici puri, contro le 170 mila in Italia. Inoltre, il governo tedesco prevede un piano straordinario di sostegno alle infrastrutture di ricarica per 6,3 miliardi di euro nei prossimi tre anni.L'auto elettrica si è già imposta come innovazione trasformativa del settore automotive globale e richiede un radicale ripensamento organizzativo e tecnologico delle filiere produttive.

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Su questa linea i principali competitor dell'Europa, Stati Uniti e Cina, si sono già attivati in modo deciso, supportando l'industria e il mercato dei consumi con enormi investimenti e una visione tesa a creare un vantaggio competitivo delle filiere strategiche. Anche l'Europa, si sta muovendo in questa direzione: il Piano europeo per un green deal dell'industria (Green Deal Industrial Plan) presentato a febbraio dalla Commissione Europea, gli atti che seguiranno e le risorse economiche che saranno rese disponibili, mirano a sostenere lo sviluppo delle filiere innovative abilitanti la transizione nel quadro degli obiettivi climatici e di indipendenza energetica del Continente. Per rimanere competitiva sul mercato dell'auto l'Italia deve entrare con tutto il suo peso nella partita elettrica europea, dando un chiaro segnale ai mercati e ai consumatori e concentrando i suoi sforzi diplomatici e il suo peso politico per negoziare condizioni e spazi di manovra vantaggiosi all'interno del Piano europeo per un green deal dell'industria.

È qui, infatti, che l'Italia può recuperare le risorse necessarie a supporto dell'innovazione per la riconversione tecnologica delle filiere automotive, e del tessuto occupazionale, anche per quel che riguarda le competenze necessarie, attuali e future. Il dibattito in Italia si è fino ad oggi concentrato sul potenziale impatto occupazionale negativo per il comparto auto nella transizione all'elettrico, senza valutare che il vero rischio occupazionale si avrebbe se le filiere automotive nazionali non riuscissero a rimanere ancorati al mercato europeo dell'auto elettrica. In altri termini: quanto costerebbe, in termini occupazionali, non fare la transizione mentre gli altri mercati europei e mondiali vanno avanti spediti e l'elettrico si impone come nuovo paradigma di prodotto per la mobilità su strada?
*Responsabile Programma Trasporti del Think Tank ECCO*

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