L’automobile nel labirinto tra microchip e transizione
Il crollo delle immatricolazioni causato anche da un passaggio all’elettrico imposto dall’alto che ha spiazzato i consumatori
di Mario Cianflone
3' di lettura
L’automotive si lascia alle spalle un 2021 di grande crisi. Una crisi che è non solo economica e commerciale ma culturale e tecnologica. Il chip shortage, cioè l’assenza dei semiconduttori causato da una tempesta perfetta sui mercati globali ha messo al tappeto un’industria già vacillante sotto i colpi della pandemia. E, solo in Europa è stato perso per mancate consegne un quarto del mercato. E a rendere ancor più difficile la situazione non c’è solo l’assenza di microchip e materie prime ma anche una corsa all’elettrico che imposta dall’Unione europea e adottata dalle case alcune con entusiamo - è il caso di Volkswagen, anche per gli inevitabili riflessi sul titolo in borsa - ed a alcune dichiaratamente obtorto collo - basti leggere le ultime affermazioni dell’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, che sull’elettrico frena.
Del resto il passaggio alla trazione elettrica con tempi accelerati dettati dall’Unione europea e da lobby come la influente Trasnport and Environment qualche problema lo sta creando. La domanda di auto elettriche, è vero, cresce a ritmo serrato, ma è generata da un’imposizione dall’alto che l’automobilista medio invece subisce.
Beninteso le auto elettriche sono fantastiche, piacevoli da guidare, divertenti (anche molto sportive) e aiutano (seppur meno di quanto si pensi) a ridurre le emissioni antropogeniche di CO2. La questione è semplice: il futuro dell’auto è certamente elettrico ma sarebbero opportuni tempi più graduali anche per assicurare una transizione morbida per la filiera e lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica. La sensazione è, invece, che la transizione energetica imposta in questo modo favorisca solo alcuni produttori (soprattutto cinesi) penalizzando altre case, comprese quelle giapponesi che, come il colosso Toyota, leader dell’ibrido, al pari di case più piccole come Mazda, mantengono un approccio multienergy. E guai a parlare di e-fuel, i carburanti sintetici che potrebbero contribuire a decarbonizzare il parco circolante perché il ciclo della C02 è chiuso. Ma in sede Ue questa tecnologia, ci ha spiegato un top manager una grande casa giapponese, non vogliono sentir parlare. Del resto gli e-fuel sono stati anche condannati anche da Trasport and Environment che, nel voler spinger solo l’elettrico a batteria, stigmatizza un fatto ovvio: i motori a combustione alimentati da e-fule emettono NOx e altri inquinanti. Ma il problema non erano le emissioni di CO2? Perché, allora, se si devono mettere insieme le mele con le pere ritorna con forza il tema delle emissioni generate per produrre l’energia elettrica.
Intanto, si moltiplicano il proclami delle case tipo «produrremo solo auto elettriche dall’anno X» e questo non può che generare perplessità nei consumatori. In un momento in cui, a causa della mancanza di chip le consegne si dilatano, chi ha davvero voglia di comprare un’auto termica (ma anche una ibrida plug-in) sapendo che si sta mettendo nel box un pezzo da museo, nuovo di pacca però? Una domanda alla quale non si trova risposta. E intanto gli autosaloni si svuotano.
C’è anche un altro fattore evidenziato proprio dalla crisi dei chip: l modello di business, tipico dei brand premium tedeschi, basato su alti margini generati da optional hi-tech a pagamento mostra la corda. Perché all’auto di oggi e di domani, tanto più se è elettrica, serve un approccio sul full optional e sull’integrazione di tutte le funzioni in un “computer” centrale e non in una miriade di centraline con decine di chip. Questo schema di funzioni non integrate nativamente è ormai perdente: servono troppi semiconduttori ed è più difficile gestire la supply chain. Se le case tedesche vogliono davvero contrastare il dominio culturale di Tesla non possono offrire vetture elettriche e phev con una dotazione di base priva di funzioni ormai fondamentali come il keyless entry o i display di grandi dimensioni. E qui si apre tutto il tema della qualità del software e delle interfacce utente che ancora lasciano parecchio a desiderare quanto a ergonomia e funzionalità. La battaglia è soprattutto con Google e i colossi del tech Made in Usa che si stanno impadronendo dei display di bordo forti del fatto di controllare il modo smartphone sempre più integrato in quello delle interfacce automotive.
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