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L’autonomia strategica è altra cosa rispetto al protezionismo miope

Nell’era post-Covid, che ha rilanciato in diversi settori la mobilità internazionale dei capitali, molte nostre imprese fornitrici specializzate di componenti a media e alta tecnologia sono appetibili partner per medio-grandi gruppi mondiali, già attivatori di catene globali di approvvigionamento

di Fabrizio Onida

(Westend61 - stock.adobe.com)

4' di lettura

Nell’era post-Covid, che ha rilanciato in diversi settori la mobilità internazionale dei capitali, molte nostre imprese fornitrici specializzate di componenti a media e alta tecnologia sono appetibili partner per medio-grandi gruppi mondiali, già attivatori di catene globali di approvvigionamento. Alcuni di questi gruppi stanno cercando di accorciare (backshoring, nearshoring) le suddette catene, rinunciando a qualche risparmio sul costo del lavoro per assicurare maggiore tempestività, affidabilità e controllo di qualità nelle consegne.

In questo contesto non dovremmo ostacolare, semmai favorire presso gli investitori esteri multinazionali, lo scouting di Pmi italiane desiderose di crescere, anche aprendo la base azionaria e cercando alleanze che potenzino la nostra capacità produttiva orientata a servire il più ampio spettro dei mercati mondiali.

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Banche d’affari e fondi di private equity gestiti secondo logiche non predatorie, che operano con orizzonte temporale medio-lungo, possono validamente contribuire a superare le note resistenze di tante piccole e medie imprese a rinunciare al rigido controllo sul capitale familiare e favorire un corretto ricambio manageriale.

Di recente, in armonia con le direttive comunitarie che auspicano una «nuova politica industriale», il governo è impegnato a coltivare un’«autonomia strategica» (espressione non priva di ambiguità per un Paese come il nostro, fortemente integrato in una rete di interdipendenza continentale) e al tempo stesso mettere a punto una disciplina di poteri speciali del governo (Golden power) per impedire o condizionare fortemente proposte di ingresso di investitori esteri nel controllo su attività ritenute strategiche per la difesa di beni pubblici come difesa, sicurezza e ordine pubblico.

Per evitare visioni velleitarie e connesse tentazioni protezionistiche, l’«autonomia strategica» dovrebbe innanzi tutto mirare a rafforzare gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo (tema non molto presente nei verbosi programmi dei partiti in vista del voto del 25 settembre), valorizzando le nostre riconosciute competenze in campo tecnico-scientifico, evitando la dissipazione del patrimonio nazionale intellettuale e di imprenditorialità innovativa. Senza trascurare i vantaggi che possono derivare alle tante «imprese dinamiche» (definizione dell’Istat nei Rapporti annuali sulle attività produttive) dall’entrare a far parte di giochi competitivi a più ampio respiro, anche guidati da azionisti e management non italiani, ma prossimi per cultura industriale e volontà di valorizzazione del capitale umano.

La nuova disciplina del Golden power ha sostituito quella della Golden share introdotta nel 1994 per tutelare società a partecipazione pubblica in via di privatizzazione: normativa contestata dalla Commissione e dalla Corte di giustizia, con procedura di infrazione poi archiviata nel 2017.

Sullo sfondo restano in vigore i vincoli del Trattato Ue contenuti negli artt. 49 e 63-65 Tfue (movimenti di capitali, libertà di stabilimento). L’art. 65 riconosce tuttavia il diritto dei Paesi membri di introdurre misure limitative alla libera circolazione dei capitali quando sussistano ragioni di «public policy or public security». Questa forzatamente vaga definizione del Trattato rimanda alle normative specifiche che ogni Paese membro sta varando negli anni, nel rispetto della Framework Regulation Eu 2019/452 che contiene direttive e raccomandazioni in proposito. Spetta comunque agli Stati nazionali istituire uno specifico organo per valutare, selezionare (screening) ed eventualmente proibire l’ingresso di investitori esteri, in nome di difesa, sicurezza e ordine pubblico.

Resta il problema del non facile coordinamento fra questa nascente normativa sui poteri speciali e la normativa Ue sulla concorrenza che sottopone ad attento esame i casi rilevanti di concentrazione di dimensione comunitaria, a cui si applica il regolamento (CE) n. 139/2004.

Andando indietro nel tempo, in Italia il decreto legge 21/15 marzo 2012 aveva introdotto poteri speciali per salvaguardare assetti proprietari in società operanti in settori di interesse nazionale (difesa, sicurezza, energia, trasporti, telecom). Più recentemente la legge 41 del 20/05/2019 ha rafforzato l’esercizio dei poteri speciali a reti telecom elettroniche con tecnologia 5G. A seguito della crisi sanitaria, il decreto legislativo 8 aprile 2020, n. 23 (Decreto liquidità) estende notevolmente i settori meritevoli di tutela: infrastrutture critiche (inclusi acqua, salute, comunicazioni, media, trattamento dati, aerospazio, processi elettorali, credito, assicurazione), tecnologie critiche e prodotti dual use (fra cui intelligenza artificiale, robotica, semiconduttori, cybersicurezza, nano e biotecnologie).

Per rafforzare le competenze richieste nelle procedure di filtro e autorizzazione delle notifiche in materie inevitabilmente complesse, in cui vi è il rischio che la lentezza e l’opacità delle risposta del governo induca gli investitori esteri a considerare alternative di localizzazione della propria iniziativa, sarebbe probabilmente utile che anche in Italia (come avviene nel caso dello statunitense Cfius-Committee on Foreign Investment in the Us) il previsto apparato delle singole amministrazioni ministeriali delle autorità indipendenti di settore potesse avvalersi di un apposito comitato di esperti indipendenti (R.Garofoli, M.D’Alberti e altri nel volume FDI screening. Il controllo sugli investimenti esteri diretti, a cura di Giulio Napolitano, Il Mulino 2019).

Guardando ai dati, nel 2020 sono più che decuplicate (342 da 30 nel 2017) le operazioni notificate ai sensi del Decreto 21/2012, per due terzi nei nuovi settori elencati nel Decreto liquidità. Si noti che quasi metà delle notifiche non sono state considerate rilevanti ai fini della normativa speciale (Pozzi, Cassetta e Lo Re, «L’Industria», 4, ott.-dic. 2021). E stato posto il veto solo a due operazioni proposte da Huawei Technologies Italia Srl e da Shenzen Invenland Holdings Ltd.) In diversi casi l’operazione notificata è stata approvata imponendo specifiche condizioni-raccomandazioni, come la continuità degli approvvigionamenti.

Nel 2021 le notifiche al governo sono ulteriormente salite a 496. In tre casi governo ha posto il veto e per altre 26 notifiche ha imposto specifiche condizioni. Principale settore di intervento è stato il 5G: timore per la sicurezza nazionale quando gestione delle reti è affidata a società non-Ue (Huawei e Zte in particolare).

A marzo 2022 il governo Draghi ha firmato un accordo per cui la cinese Efort Intelligent Equipment (robotica) può salire fino al 49% nella proprietà della piemontese Robox che produce componenti elettroniche per la robotica e sistemi di controllo a distanza di macchinari. La notifica è stata approvata ma è stato messo il veto sulla parte dell’intesa che prevedeva il trasferimento di tecnologia e di codici informatici.

Difendere la sovranità del Paese dall’invasione dello straniero non basta. Occorre inseguire con le proprie energie i protagonisti più forti.

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