L'avventura di una vita: attraversare l'Oceano Atlantico a remi
Dalle Canarie ad Antigua, 3mila miglia e 48 ore in mare. Quattro amici hanno imparato quanto sia vitale il lavoro di squadra
di Fergus Scholes
3' di lettura
Cronaca di un'avventura no limits: un equipaggio di quattro amici deciso a compiere l'impresa sognata (e preparata) da una vita e una traversata a remi di 3mila miglia nell'Oceano Atlantico, dalle Isole Canarie ad Antigua. Tempo di percorrenza: 48 giorni, remando a turni di due ore alla volta, ininterrottamente. Rischi quotidiani con cui fare i conti: uomo in mare, mancanza di elettricità, onde alte nove metri. I preparativi: la traversata doveva avvenire in completa autosufficienza (in caso di bisogno, ci sarebbero voluti giorni per ricevere soccorso). Per questo sotto coperta abbiamo stivato razioni di cibo per 60 giorni. Avevamo studiato ogni dettaglio e predisposto meticolosamente l'attrezzatura: uno strumento multifunzione dimenticato o una batteria in meno avrebbero potuto compromettere l'impresa.
La partenza: l'avventura in mare è cominciata sotto i migliori auspici, con il sole e il cielo blu di La Gomera, a 25° C. Per i primi quattro giorni tutto è filato liscio. Poi, improvvisamente, è arrivata una forte tempesta. Le onde alte e il vento facevano arretrare la barca. È stato necessario scendere sottocoperta e rifugiarci, tutti e quattro, nella minuscola cabina, grande come una tenda a due posti. Per tre giorni e tre notti siamo rimasti stipati lì dentro, come sardine, aspettando che il peggio passasse. Soffrivamo tutti il mal di mare. Il kit di pronto soccorso si è velocemente svuotato di compresse per la cinetosi, antidolorifici e integratori di sali minerali. L'unico contatto con il mondo esterno e con la terraferma era il nostro weather router, un marinaio esperto, di stanza sull'Isola di Wight, che ci comunicava le previsioni del tempo. Grazie a un localizzatore fissato sulla barca, era in grado di leggere, in tempo reale, le carte meteorologiche in base alla nostra posizione e indicarci, così, la rotta migliore. Parlavamo con lui grazie a un telefono satellitare Iridium, uno strumento di vitale importanza nel nostro kit. Senza questo dispositivo, le altre modalità di comunicazione disponibili erano piuttosto rudimentali: una radio VHF, con una portata di circa 35 miglia, o un EPIRB, un trasmettitore di localizzazione d'emergenza da azionare per allertare il servizio di salvataggio. Questo dispositivo era chiuso in una valigetta Peli, impermeabile e resistente agli urti in grado di proteggerlo anche se la barca si fosse capovolta.
Passata la tempesta, c'è stato poco tempo per rilassarsi. Occorreva ripartire. Chi non era di turno ai remi, doveva svolgere altri compiti per mantenere tutto in ordine e sotto controllo: attrezzatura da sistemare, cirripedi da rimuovere dallo scafo, rotta di navigazione da controllare, pasti da cucinare. Fra gli inconvenienti affrontati a bordo, le due grandi batterie della barca non sono mai state ben cariche per colpa dei pannelli solari difettosi – per alcune settimane non abbiamo potuto usare il dissalatore elettrico. Così ricorrevamo a un dispositivo manuale di scorta: immergendo un tubicino in mare e azionando una leva per mezz'ora, riuscivamo a ottenere una bottiglia di acqua potabile. Senza questo fantastico gadget la spedizione sarebbe finita poco dopo la partenza. L'arrivo: ad Antigua la barca portava alcuni segni di rattoppo e noi marinai eravamo decisamente più magri e più barbuti di quando eravamo partiti, ma felici di avercela fatta. Tante le lezioni imparate da questa avventura no limits: l'importanza del lavoro di squadra, la capacità di far fronte alle emergenze, l'impegno a non mollare. E poi, il perfetto kit di sopravvivenza: saperlo predisporre con tutto l'occorrente è fondamentale per la riuscita di qualunque impresa.
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